2 settembre 2019

Disciplina Dolce o Disciplina Assente?

Quando si diventa genitori si scopre un’ecosistema di metodi, teorie e filosofie educative. Una di quelle che apprezzo maggiormente è la Disciplina Dolce, che parte da un assunto che approvo, ovvero di trattare i bambini con dignità ed empatia. Sembrerà scontato, verrebbe da dire. E invece no, perché la nostra società, nella pratica, ci ha insegnato a pensare al bimbo come a un piccolo adulto, al massimo a un adulto poco evoluto. Estevill, il guru di “Fate la nanna“, si è arricchito presentando neonati e lattanti come dei furbi manipolatori, pronti a soddisfare ogni vizio prosciugando energie vitali ai genitori. Non sentitevi in colpa se piangono, se lo meritano – sembra dirci.

La mia generazione è stata spesso cresciuta con attenzioni limitate agli aspetti materiali. Fin dal primo vagito siamo stati separati dalla mamma e messi in gelide (la mia lo era davvero!) nursery, assieme ad altri neonati urlanti. Ma se è scientificamente dimostrato che un cucciolo privato della mamma preferisce un peluche caldo a un freddo erogatore automatico di cibo, perché diamo per scontato che il cibo sia più importante del senso di protezione o di calore? Perché siamo diventati dei feticisti delle curve di crescita ma non spendiamo neppure un secondo a pensare se nel dare il biberon abbiamo abbracciato il pupo o abbiamo avuto un contatto visivo con lui? Perché i pediatri non chiedono quanto tempo passa un neonato a contatto con la madre e molti considerano una “scocciatura” l’eliminazione delle nursery ormai attuata negli ospedali?

Eppure lo scarso contatto con la madre può avere esiti negativi, come ben sanno nei reparti di terapia intensiva neonatale, dove i genitori sono invitati – per quanto possibile – a toccare i propri figli, favorendo così la corretta costruzione neurologica e la maturazione cerebrale (Schore, 2008). Perché staccarsi dal proprio “cucciolo” a 3 o 4 mesi viene visto come la “normalità” e non come un sacrificio imposto a madre e bimbo da una società sempre meno rispettosa della fisiologia umana, al punto che alcune donne che pur potrebbero tenere i bimbi con sé si chiedono se non sia il caso di mandarli al nido?

In questo scenario adultocentrico, chi sostiene l’allattamento al seno, il contatto pelle-a-pelle, il baby-wearing, il co-sleeping, l’autosvezzamento e tante altre pratiche che condividono l’idea di “assecondare i bisogni naturali” si trova naturalmente orientato alla Disciplina Dolce. Che non è un metodo, quanto un approccio rispettoso verso i propri figli (ma più in generale verso il genere umano, perché avrebbe poco senso non urlare al proprio bimbo e tirare pentole sulla testa del padre in sua presenza).

Il rischio è che la Disciplina Dolce si trasformi in un “fate come vi pare”: il lassismo.

Chiariamo, ci sono persone che fanno un lavoro egregio mantenendo sempre la calma, non alzando mai la voce (le mani non parliamone neppure) e insegnando il rispetto per il prossimo ai figli partendo dall’esempio (e i gesti quotidiani valgono più delle parole). Ma come le vittime de Il signor Distruggere hanno screditato per estensione tutta la categoria “mamme” (perché ormai se si allatta fino all’anno come consigliato dall’OMS ci si becca della “Pancina”), così i genitori troppo permessivi e iperprotettivi hanno reso la Disciplina Dolce una realtà da cui prendere le distanze per non essere giudicati negativamente dall’uomo della strada.

Un esempio pratico? Madre che in anonimo racconta in uno di questi gruppi che il figlioletto ha investito di proposito una bimba con la bicicletta e si è vantato del gesto. Il tutto avviene al parco giochi in presenza di entrambi i genitori. La madre lo spinge a pedalare altrove, il padre anche per dare “giustizia” ai genitori della vittima (che per fortuna non si è fatta un graffio) vuole reagire con un castigo (sequestro del mezzo); ne esce una discussione perché accusa la madre di avere un approccio troppo permissivo, tanto che i figli dicono che in casa nessuno comanda. Fin qui niente di strano, una dinamica familiare abbastanza normale, una madre chiede consiglio su come gestire la differente visione educativa col marito e cerca rassicurazioni sul proprio approccio. Che ovviamente non tardano ad arrivare.

Non si può giudicare un genitore da pochi commenti.

Astraendoci da questo caso specifico, che serve solo come esempio, noto una confusione di fondo tra riconoscere al bimbo la dignità di un adulto e riconoscerlo come pari di un adulto. Un bambino non è un adulto, deve imparare a rispettare le regole di una società che è sempre più spietata e competitiva ed è compito del genitore accompagnarlo in questo difficile percorso, scegliendo se farlo con uno stile autoritario o autorevole. Non col lassismo e il “è giusto che nessuno comandi”, perché una forma genitoriale troppo accondiscendente è inadeguata e potenzialmente nociva tanto quanto quella autoritaria.

In famiglia si ascoltano tutti i pareri, ma gli adulti sono i genitori, non è una tavola rotonda di pari.

La Disciplina Dolce non è lassismo. Ricordarlo non fa mai male.

24 luglio 2019

Allattamento al seno, le cose che nessuno (o quasi) ti dice per tempo

Alzi la mano chi è arrivata impreparata all’allattamento. Io sì, eppure avevo fatto un corso preparto che, rispetto ad altri, ha dedicato un sacco di tempo all’argomento. Comunque ho scoperto di essere in buona compagnia.

Purtroppo si parla tanto di gravidanza (spesso anche a sproposito) e poco di cosa accade dopo. Da un lato è facilmente spiegabile: le variabili in gioco sono troppe. Mentre le gravidanze più o meno procedono per tappe standard uguali per tutte – e se non lo sono, c’è un problema -, quello che avviene dopo il parto è molto meno prevedibile.

Me ne accorgo guardando le guide dedicate ai bimbi: in gravidanza puoi trovare mille siti che settimanalmente ti parlano dello sviluppo di tuoi figlio e dei sintomi che ti puoi attendere; dopo c’è poco e quel poco è così lontano dalla tua realtà che risulta quasi inutile.

L’altro problema è legato al fatto che le neomamme hanno pochissimo tempo e spesso poca voglia di confidarsi. Delle più ciarliere si sa tutto quello che accade prima, pochissimo di quello che accade dopo.

Quando si emerge dall’apnea il ricordo è annacquato. E’ questo uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire il blog: ricordare questi momenti e le montagne russe emotive che accompagnano la nascita del primo figlio.

Passiamo quindi a tutto quello che ho scoperto sull’allattamento solo all’atto pratico. 

  1. Fa male. Non per sempre ma fa male.
    Ai corsi preparto non ho mai sentito dire che attaccare il bimbo nei primi tempi è doloroso. Forse non si vuole scoraggiare le puerpere, ma è un errore perché il dolore c’è lo stesso e senza rassicurazioni una donna può pensare di avere dei problemi e scoraggiarsi. Perché l’intensità è variabile, ma fa male, in alcuni casi malissimo. Proverete dolore spremendo il seno, proverete dolore col tiralatte, proverete dolore quando vostro figlio con una fame vorace sembrerà sul punto di staccarvi il capezzolo. L’immagine della madre in allattamento con le unghie conficcate sulla poltrona non è necessariamente un’iperbole. Però pensate che è solo per i primi giorni, massimo la prima settimana, e poi non sentirete più niente. C’è anche chi dice sia piacevole. Abbiate quindi pazienza, fa bene a voi – sì, nonostante il dolore aiuterà il vostro corpo a riprendersi prima dalla gravidanza – e il latte materno è sicuramente la scelta migliore per un neonato. Se il dolore non passa, c’è un problema di attaccamento sbagliato che andrà corretto il prima possibile. Ci sono consultori e la Leache League a supportarvi.
  2. Ma è arancione! No è giallo! Ora è blu!
    Il latte materno varia col passare del tempo. Il più nutriente è quello che viene chiamato colostro, che è una sorta di prelatte (o superlatte se guardiamo alle sue caratteristiche) che viene prodotto appena dopo la nascita del bambino (e spesso fa la sua comparsa durante la gravidanza). Il colostro si trasforma via via in latte, quello di transizione è giallastro, per poi diventare sempre più bianco, trasparente, con riflessi bluastri (all’inizio potreste pensare di avere allucinazioni da stanchezza ma no, è proprio blu).
    Ho anche scoperto che il latte può cambiare colorazione in caso di malanni del bambino, perché la madre dà razioni extra di leucociti (fonte).
  3. Allenate i capezzoli
    Ai corsi preparto si parla tanto di pavimento pelvico e non una parola sui capezzoli. Perché basta dire “controllate che escano correttamente, altrimenti è il caso di allenarli per facilitare un buon attacco”. In vendita esistono dei formacapezzoli (dal nome sembra uno strumento di tortura, in realtà sono simili alle coppette raccogli-latte con i fori più piccoli) da utilizzare durante la gravidanza: a tantissime donne infatti l’aumento repentino del seno comporta introflessione del capezzolo. Potete tirarlo oppure mettervi durante la notte queste “formine” che faranno il lavoro sporco. A voi la scelta, l’importante è che sappiate che pensandoci prima vi risparmierete una scocciatura dopo (visto che ce ne saranno già abbastanza).
  4. The winter is coming
    I primi tempi di assestamento ormonale avrete delle vampate di calore alternate a momenti in cui sentirete freddo. Ma è un freddo che – almeno io – non avevo mai provato nella mia vita. E’ un freddo che arriva dall’interno, come se nelle vostre viscere al posto del sangue avesse iniziato a scorrere frozen yogurt. Non ve ne libererete con coperte o altro, anzi, si rischia solo di addormentarsi e svegliarsi in una pozza di sudore quando poi arriverà la vampata di calore. Quando sta per arrivare preparatevi una tisana bollente. Non passerà del tutto ma vi sentirete meno Regina di ghiaccio.
  5. Influenza? No, montata lattea
    L’arrivo della montata lattea può essere annunciato da sintomi gradevoli quanto un’influenza invernale. Sul petto possono fare la loro comparsa delle placche dure, le ascelle potrebbero gonfiarsi, vi sentirete completamente fuori fase. Ma non misuratevi la febbre mettendo il termometro sotto l’ascella: il vostro seno ha raggiunto temperature da piastra per toast e finireste per prendervi una tachipirina senza motivo.
  6. Oddio un nodulo!
    A un certo punto vi capiterà tra le mani un nodulo. E vi metterete a calcolare, in preda all’ansia, quando avete fatto l’ultima visita ecografica. Senza trascurare i sintomi, è probabile che non sia nulla di grave. Keep calm and… have a hot shower! Anche se verrebbe spontaneo farlo, non interrompete l’allattamento al seno: nessuno meglio di vostro figlio potrà sgorgarvelo.
  7. Normale, mucca o fontana?
    Ci sono donne che hanno poco latte, donne che ne hanno il giusto e donne che ne hanno troppo. E quando è troppo, è uno stress per la madre – che si trova costretta a fare più cambi d’abito di una soubrette sul palco di Sanremo – ma anche per il bimbo: per lui, soprattutto i primi tempi, sarà come farsi sparare in gola con una bottiglia seltzer. Se notate che il vostro seno zampilla o sgocciola eccessivamente e che il bimbo non è soddisfatto delle poppate, si agita, si stacca, urla e tossisce, non trascurate il problema. Alcune mamme arrivano addirittura a fraintendere la situazione (angosciate dal continuo “ma avrai abbastanza latte?” di donne che a loro volta se lo sono sentite chiedere) e a dare integrazioni di latte artificiale che il piccolo prende senza tante tragedie. Ci sono passata: nonostante sapessi di avere latte in abbondanza (al punto da mettere ko il tiralatte elettrico), di fronte ai pianti di mio figlio avevo comunque il dubbio che non fosse sufficiente. Perché tutti parlano della carenza di latte, non dell’eccesso. Per escludere questo problema, quando sentite la “scarica” che vi avverte della fuoriuscita del latte, verifica il flusso. Se zampilla, lo farà anche nella gola del pupo, causandogli ingestione d’aria, latte che gli va di traverso e così via. Io ho risolto con due semplici accorgimenti: allattamento in posizione totalmente sdraiata e sessione di tiralatte prima di farlo attaccare nel caso in cui il seno sia particolarmente gonfio.
  8. Maledette coppette d’argento
    Non servono a nulla se non a tenere lontano il capezzolo dolorante dai vestiti (quindi si può ottenere lo stesso risultato con una coppetta in silicone, una conchiglia o stando a seno nudo); di solito hanno una placcatura troppo blanda che si toglie dopo poco, sono rigide (a me si conficcavano nelle costole stando sdraiata) e se si perde molto latte peggiorano la situazione perché lasciano il capezzolo sempre umido. Ci sarà sempre qualcuno pronto a consigliarvele dicendo “mi faceva male, con quelle è passato tutto in un giorno e non ho avuto ragadi”. Bene, a me stava venendo una ragade ed è passata in una notte non mettendoci nulla. Se non ve le regala la nonna, risparmiate questi soldi per regalarvi un piccolo sfizio.
  9. Lo stress ruba il latte
    Se il bimbo si nutre di latte materno ma non riesce ad attaccarsi al seno, può capitare che abbia fame in un momento non previsto (più difficile col latte artificiale che è meno digeribile e sempre uguale a se stesso) o che il latte messo da parte non sia utilizzabile e che quindi dobbiate ricorrere al tiralatte in tutta velocità.
    Immaginate la scena. Sono le 2 di notte, avete appena nutrito il pargolo, il seno è svuotato. Stupido cercare di riempire il biberon in quel momento, col tiralatte ci mettereste un’ora. Decidete quindi di mettete la sveglia alle 4.30 per darvi il tempo di mangiare qualcosa e preparare il biberon delle 5. Peccato che il pupo abbia una serie di rigurgiti e si svegli alle 3.30 affamato come non mai. Vi svegliate di soprassalto, avete sete, mal di testa. Capite il problema e vi armate di tiralatte. Ma cercare di riempire un biberon mentre un neonato famelico urla come se lo stessero dilaniando è un’esperienza stressante (essì che – lavorativamente parlando – non mi sono fatta mancare le emozioni). E più lui urla, più voi vi agitate, più il latte si fa attendere.
    In quei casi non sentitevi la madre peggiore del mondo se fate l’unica cosa sensata: prendetevi una pausa. Andate in un’altra stanza, bevete qualcosa, mangiate qualcosa, ascoltate musica o guardate la tv. Spegnete il baby monitor mentre lo fate, tanto sapete che sta urlando dalla fame. Svuotate la mente. Tirate il latte mentre vi rilassate. In 5 minuti di relax avrete fatto quello che non sareste riuscite a fare in mezz’ora e potrete dare il biberon a vostro figlio con tutta la positività che gli serve.
  10. Il vostro latte potrebbe – occasionalmente – fargli schifo
    Mi riallaccio al punto precedente con una precisazione che è stata anche una scoperta. Vi chiederete: ma perché non lasciavi delle dosi pronte, in modo da non doverti trovare col pupo urlante? La risposta è lipasi. Gli esperti o i produttori di formaggi sanno bene di che si tratta, io l’ho scoperto dopo vari rifiuti da parte di mio figlio. Si tratta di un enzima pre-gastrico che si trova normalmente nel latte materno e che ha la funzione di aiutare il neonato o lattante a digerire i grassi. Tutto molto bello, se non fosse che quando lavora troppo a lungo dà al latte un caratteristico odore rancido. Sembra andato a male. Però il latte è commestibile, ha ancora tutte le sue proprietà e si può dare tranquillamente al bambino. Se accetta di assumerlo, ovviamente. E secondo voi mio figlio lo accettava?
    Un altro problema è legato ad alcuni cibi che possono dare un gusto “particolare” al latte. Cavoletti, broccoli, aglio, spezie… Anche in quel caso si potrebbe verificare un rifiuto. Mio figlio aveva l’abitudine di fare una ciucciata dal biberon e poi staccarsi. L’assaporava guardandoti, tipo sommelier, e poi decideva se riaprire la bocca e farsi mettere in bocca la tettarella oppure serrare le labbra.
  11. Ingorghi e dintorni
    Anche una volta che l’allattamento è avviato, possono capitare dolorosi problemi. L’ingorgo l’ho sperimentato dopo la prima vaccinazione, quando mio figlio ha avuto (stranamente) poco appetito il seno si era riempito eccessivamente. Durante le 4 docce e relative spremiture e sessioni di tiralatte ho pensato che non mi sarei più lamentata dei risvegli notturni a causa della maglietta zuppa di latte. Ho anche avuto per una pressione sbagliata delle dita sul seno, un dotto infiammato. Anche in quel caso dolore e malessere. La volta successiva ho avuto una bolla di latte sul capezzolo e dotto otturato: quando mio figlio si attaccava era come essere infilzati da uno spillone. Nonostante il dolore si deve continuare ad attaccare il neonato. Ringrazio l’ostetrica per avermelo detto o avrei fatto la fine di mia madre, a cui per un ingorgo trascurato venne la mastite.
  12. Fate ciò che vi fa star in pace con voi stesse
    Mio figlio si è riuscito ad attaccare a 50 giorni suonati. Stavo disperando di farcela. Posso dire con assoluta certezza che tirando il latte facevo il doppio della fatica e ci mettevo il doppio del tempo. Dubito avrei potuto far fronte al continuo “attacca e stacca” del mio assetato pargolo in periodo estivo (a 20 gradi il latte tirato può stare per ore a temperatura ambiente, a 30°C non regge da una poppata alla successiva). Ho avuto la fortuna di poter insistere, il supporto di un’ostetrica, la pazienza di mio marito. Non avevo altri figli. Altrimenti sarebbe stato impossibile. Quindi capisco che non ce la si possa fare. Capisco che tanti secondi figli non arrivino allo svezzamento col latte materno.
    Però rassicuratevi, l’ho visto con mio figlio: quando non poteva attaccarsi al seno usava il biberon per nutrirsi e il ciuccio come consolazione; quando si è attaccato io facevo da biberon e da ciuccio. Ma il nostro rapporto non è cambiato: io ero sempre la persona più importante per lui perché ero quella che lo accudiva giorno e notte. Il latte materno è una risorsa preziosissima, molto utile alla sua salute e per questo non deve essere subito accantonata per comodità o mancanza di supporto. Ma non si deve neppure arrivare agli estremi opposti, con una mamma deperita e distrutta dalla stanchezza.
    Cercate quindi di vivere con la massima serenità questi primi mesi di vita di vostro figlio: una mamma serena e felice di passare il tempo con lui è il più grande regalo che possiate fargli. E farvi.

Devo aggiungere in conclusione un disclaimer che quanto riportato non ha valenza scientifica e neppure pretesa di valere per tutte? No, vero?

20 luglio 2019

Chi ha paura del latte materno?

Oggi su un gruppo di riciclo e fai da te, una donna chiedeva come non far ingiallire il latte materno per utilizzarlo nella produzione di gioielli. Sono rimasta stupita dal tenore dei commenti. Tantissimi utenti (quasi tutte donne) hanno chiosato con un “che schifo”. A fare schifo non era il gioiello in sé, ma proprio il latte materno. Una commentatrice ha raccontato di averlo assaggiato ed è stata oggetto di scherno e insulti. L'impressione è che ormai siamo così abituati a considerarci solo produttori di rifiuti biologici, che ci siamo dimenticati che siamo in grado di produrre anche un prezioso alimento. A conferma, in un commento si chiedeva se si intendeva conservare anche la prima “cacchina” per ricordo. Un alimento messo sullo stesso piano delle feci.

Hanno cancellato la discussione prima che potessi chiedere all’utente che aveva fatto una simile domanda se beveva il latte di mucca e se lo metteva sullo stesso piano del letame. Perché, al netto dei processi di pastorizzazione, sempre di latte parliamo. Anzi, essendo specie-specifico, dovremmo essere più disgustati da quello di capra o di pecora (che poi, quanto puzzano le mammelle di una pecora? Io che sono cresciuta in campagna, la risposta la conosco).

Quindi no, il latte materno – quello che alimenta un cucciolo umano per i primi 6 mesi come da linee guida OMS – non è disgustoso. Può fare schifo se te lo mettono nel caffè o nelle torte a tua insaputa, ma di base è un alimento, anzi uno dei più preziosi in assoluto. Se qualcuno vuole trasformarlo in ciondoli, saranno un po’ fatti suoi. Certo, se poi dovesse regalarmene uno, come minimo gli toglierei il saluto. Ma questa è un’altra questione.

12 luglio 2019

Breastfeeding, un’app gratuita che aiuta le neomamme

Doverosa premessa

Capita che nascano bimbi molto piccoli e capita che non riescano ad attaccarsi al seno o a succhiare correttamente. Se in passato la soluzione scontata era il latte artificiale, oggi fortunatamente non è più così. Non sono una fanatica dell’allattamento al seno – se mi avessero chiesto qualche anno fa come avrei alimentato mio figlio avrei detto “bah, vediamo”, del resto io sono cresciuta a latte Nestlé senza grossi problemi – ma quando ho visto quello scricciolo nato quasi prematuramente ho pensato che avesse bisogno di tutto l’aiuto possibile e non ho avuto neppure per un secondo il dubbio di voler tentare il tutto e per tutto per dargli un latte più digeribile e che avrebbe supportato le sue difese immunitarie.

Modalità tiralatte

Ho iniziato a usare il tiralatte il secondo giorno in ospedale – il mitico “Symphony” Medela – e mi avevano intimato di fare 7 estrazioni nell’arco delle 24 ore da 15 minuti per seno (“fallo o ti torna il ciclo!”) e di dare dei tempi a mio figlio che – all’inizio – non era minimamente interessato a nutrirsi: mi stava sul petto, si accarezzava il viso coi miei capelli ed era appagato. Mai visto amore più grande. E mai avuta tanta pressione addosso.

Dovevo ricordargli di mangiare almeno ogni 2 ore di giorno e soprattutto controllare che assumesse un’adeguata quantità di cibo quotidianamente, perché la bilirubina aveva raggiunto valori preoccupanti.  Trovando estremamente scomodi i calendar dello smartphone e avendo dopo 3 giorni riempito fogli e fogli di appunti e dosi, ho cercato aiuto nella tecnologia.

Ho avuto la fortuna di trovare al primo colpo Breastfeeding, un’app gratuita che a dispetto del nome fa molto di più di un mero supporto all’allattamento al seno. Tanto che la uso ancora adesso che mio figlio in neanche 4 mesi è passato dalla taglia prematuri (che gli stava anche comoda) alla 6-9 mesi.

Non tutti sono ferventi raccoglitori di dati e non tutti metterebbero su grafico qualsiasi cosa per studiarne l’andamento. Lo capisco. Se invece avete un approccio molto “data-driven” (usando un termine che va molto di moda negli ultimi anni), la mia esperienza potrebbe esservi utile.

Breastfeeding, cosa offre e come funziona

L’app è perfetta sia per chi allatta al seno che per chi utilizza il tiralatte. In entrambi i casi è possibile selezionare il seno utilizzato e a colpi di “tap” sullo schermo dello smartphone avviare e chiudere la sessione: a quel punto si avrà l’indicazione automatica della durata e nel caso del “tiraggio” si potrà mettere l’indicazione dei millilitri estratti.

Esempio di poppata in corso. Al tap sul pulsante “D” si è segnalato l’inizio dell’alimentazione dal seno destro.

Di default ogni 3 ore una notifica ricorderà che è tempo di allattare o tirare il latte. Il valore è personalizzabile, per cui con la crescita si possono portare a 4 o i primissimi tempi ridurre a 2.

 

Durante le sessioni l’app continua a lavorare in background senza impattare le performance dello smartphone – quindi potete anche guardare dei video di Youtube mentre tirate il latte – e non perde il dato neppure se il cellulare si spegne. Se la sessione supera l’ora perché ci si dimentica di spegnerla, ne tiene comunque traccia (così da poterla correggere in un secondo momento). Funziona anche senza rete, aspetto che ho decisamente apprezzato perché quando sono vicina al pargolo metto lo smartphone in modalità aereo.

Oltre agli aspetti relativi all’allattamento è possibile indicare tutti i cambi pannolino (con relativo contenuto) – molto importante per avere conferma che il frugoletto mangi abbastanza senza fare pesate ogni giorno -, le sessioni di sonno – con modalità identica a quelle dell’allattamento, ovvero segnalando inizio e fine – la crescita (con altezza e peso, manca la circonferenza cranica), i pasti solidi per quando viene avviato lo svezzamento e i commenti.

Statistiche


Grafici automatici

Quello però che mi ha fatto amare quest’app e mi ha portato a usarla sempre, sono le statistiche, tanto più importanti quanto più sono complete. Soprattutto con il latte tirato, si hanno sempre sott’occhio i millilitri assunti giornalmente e l’ammontare dei pasti, nonché il numero dei pannolini sporchi. In pratica mi trovavo a fare meno fatica di prima (perché non dovevo più calcolare i tempi, mettermi notifiche, appuntarmi dosi su foglietti volanti) e in più ad avere un’enorme mole di dati facilmente consultabili grazie alle statistiche e ai grafici.

Inserendo i dati delle pesate settimanali, ad esempio, potevo controllare facilmente l’andamento del grafico a linee e sapevo, ben prima che me lo dicesse la pediatra, che tutto stava procedendo secondo il suo percentile di crescita (in realtà ben oltre il suo percentile, perché avrebbe dovuto esserci un calo che di fatto non si è verificato).

Perché mi ha salvato dal delirio

Tutto carino, ma perché ne parlo in modo così entusiastico? Perché in un certo senso le voglio bene, dal momento che mi ha dato supporto in un periodo di delirio intenso. Nel primi tempi non dormivo praticamente mai, mio figlio soffriva di reflusso, rischiava di non crescere adeguatamente (lui che era già minuscolo) e grazie a quest’app riuscivo a restare in contatto col tempo “oggettivo”, quello delle persone “normali”, quello della mia vita passata, prima che il delirio dovuto ad assenza di sonno, sessioni continue di tiralatte e pianti inconsolabili mi portasse in una dimensione parallela dove le giornate di 24 ore erano rimpiazzate da un susseguirsi di minuti che a seconda del momento potevano dilatarsi per ore o volare come secondi. Se avessi dovuto rappresentare la mia settimana non sarebbe stata composta da “lunedì, martedì, mercoledì…” ma da “feriale, weekend”.

Nei momenti in cui crollavo addormentata e mio marito era invece a casa, prendeva l’app dove tenevo traccia di tutto e si muoveva in totale autonomia nella gestione del piccolo col latte che lasciavo sempre di scorta in frigo. Al mio risveglio, se lui stava dormendo, prendevo l’app e controllavo le sue comunicazioni. Per un paio di mesi è stato uno strumento al servizio del lavoro di squadra. In questo l’app può essere un valido aiuto anche per chi somministra il latte artificiale.

Un uso intelligente dei grafici permette di capire meglio le esigenze di proprio figlio, a colpo d’occhio. Dal grafico dell’alimentazione ad esempio mi è chiaro anche a distanza di tempo quali sono stati i momenti degli scatti di crescita e ricercando i commenti relativi a quei periodi posso avere conferma che alcuni comportamenti insoliti siano invece fisiologici (anche perché a distanza di tempo di ricordi dei periodi di carenza di sonno me ne sono rimasti pochi…). Usando il monitoraggio del sonno ho scoperto che mio figlio ne dormiva 13 in un periodo in cui ne avrebbe dovute dormire più di 20. Il tutto quasi senza sforzo.

App Breastfeeding - grafici
App Breastfeeding – Grafico dell’andamento delle alimentazioni.

Anche per pianificare le attività può essere molto utile. Non sono una sostenitrice del famoso metodo EASY (che forse potrà funzionare per chi usa il latte artificiale, ma di certo non con il latte materno) ma credo che una routine sia utile al bambino e anche alla madre per riappropriarsi della sua vita e dei suoi spazi. Prendiamo ad esempio le poppate: io odio farle in pubblico, sarebbe meglio potessi sdraiarmi per ridurre l’intensità del flusso e quindi cerco per quanto possibile di organizzare gli appuntamenti per essere nella tranquillità domestica quando mio figlio scalpita per la fame. Ma in che orari prevederle?

Grazie a questa visualizzazione ho notato che spontaneamente mio figlio sta poppando sempre negli stessi orari e posso instaurare una routine che tiene conto dei suoi ritmi naturali.

soprattutto in caso di figli con reflusso e che quindi richiedono molto impegno perché non possono stare sdraiati, c’è un aspetto non trascurabile legato all’autostima: mio marito usciva al mattino, ero a casa da sola tutto il giorno e quando rientrava la sera mi sembrava di non aver fatto nulla. I piatti erano ancora lì da lavare, la casa un disastro, a fatica ero riuscita a fare la lavatrice per il pupo svomitazzante. Mi sentivo un’inetta. Poi guardavo l’app e scoprivo che avevo tirato latte per 3 ore e dato il biberon per un’altra ora e mezza, di aver cambiato 8 pannolini, cambiato 3 pigiamini e fatto altrettanti bagnetti lampo, di averlo tenuto in braccio per contrastare il reflusso per altre 3 ore… ero stata brava a riuscire a farmi una doccia e a pranzare.

E per una neomamma al primo figlio, abbattuta per l’aumento di peso, la carenza di sonno, i dolori post-parto e lo scombussolamento ormonale, anche una pacca sulla spalla virtuale può fare la differenza.

2 luglio 2019

Minacce e ricatti 3.0

Ho appena ricevuto questa email che non perdo occasione a pubblicare.

Un ottimo esempio di alcune pratiche illegali praticate online. E un promemoria importante: piccole cifre su grandi numeri fruttano fortune. Il truffatore tipico di Internet chiede cifre abbastanza grandi da guadagnarci ma abbastanza piccole da essere saldate per evitare problemi.

Ovviamente i miei soldi non li hanno visti, ma il dominio è ancora bello attivo. Non abboccate!

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1 luglio 2019

Allattamento e sindrome della balia… a saperlo prima!

E niente, l’aggiornamento giornaliero di questo blog incontra un nuovo ostacolo: la tendinite.

Sono soggetta, è vero, ma proprio per questo se qualcuno mi avesse informata ad avvio allattamento di una sindrome soprannominata “della balia” magari ci avrei prestato attenzione. Anche perché per settimane e settimane ho sollevato male il pupo e nessuno mi ha detto “guarda che appena arriva a 5 chili ti si spezza il polso se lo usi come leva”. Ho retto fino a 5,6, ma il risultato è stato lo stesso.

Negli ultimi giorni ho sottovalutato quel simpatico dolore e ora posso buttare nel cestino dell’umido la mano sinistra.

Comunicazione di servizio alle donne in allattamento: se iniziate a provare dolore al pollice e al polso non trascuratelo, munitevi subito di tutore: è la sindrome di De Quervain (c’è un facile test di autodiagnostica che consiste nel chiudere il pollice all’interno della mano e di ruotare il polso verso l’esterno. Se vi fa male… tombola!).

E’ una grossa scocciatura perché limita fortemente l’uso della mano (che mai come in questo periodo vi serve), fa un male cane e durante l’allattamento vi sconsigliano perfino l’uso del Lasonil. Potete mettere le pomate di arnica, che nel mio caso portano lo stesso beneficio di una spugnatura con acqua fredda.

Oltre al tutore controllate di sollevare correttamente vostro figlio: non dovete mai sentire il peso sul polso, che deve solo servire per indirizzare il peso stesso sul braccio.

29 giugno 2019

Allattamento, come fai sbagli

Che problemi ha una società che finisce per colpevolizzare o addirittura trovare scandaloso l’allattamento? Me lo sono chiesta stamattina, vedendo la campagna “Io ciuccio dove mi pare”, lanciata dal Comune di Firenze. Ho letto i commenti surreali, di donne che dicono di mettersi nei cantucci per non dare fastidio, di aver avuto il bimbo che reclamava cibo e di essere state invitate ad allattare fuori dalla chiesa in pieno inverno, di altre donne che le accusano di poco pudore, di uomini che trovano “arrapante” una donna che allatta. Seriamente, come siamo arrivati al punto che un gesto così semplice e naturale (e automatico a un certo punto, perché quando lo si fa 10 volte al giorno per mesi lo diventa per forza) è così controverso da dover diventare oggetto di campagne progresso?

Nella nostra società se sei donna, come fai sbagli.

  • Se allatti al seno sei senza pudore e devono fare delle campagne progresso per aumentare la tolleranza nei tuoi confronti;
  • se allatti col biberon – dopo decenni di propaganda delle multinazionali sul latte artificiale – sei una madre egoista, incosciente o disinformata; se hai figli da giovane ti comprometti le opportunità lavorative;
  • se lo fai tardi “tuo figlio avrà una madre vecchia” e ti trovi pure in target per la campagna del Ministero che ti dice di darti una mossa che le tue ovaie fanno “tic tac tic tac” come il coccodrillo di Peter Pan;
  • se non fai figli sei un donna non realizzata, “un albero che non fa frutti”, non hai scopo nella vita e se per caso hai gatti Radio Maria ti prospetta l’inferno;
  • se ne fai uno è troppo poco, “quando fai il secondo?”;
  • se ne fai più di tre sei un’incosciente, sei anti-ecologico e “ti dovrebbero chiudere le tube”;
  • se ne hai due o tre sei nella norma, quando ti vedono con le borse sotto gli occhi con cui puoi partire per le ferie ti dicono “massì li abbiamo fatti tutti” e quindi evita di dire che sei stanco o ti becchi pure dell’incapace.

Allattamento al seno: naturale sì, facile sempre meno spesso

Ultimamente molte donne lamentano le pressioni da parte di ostetriche e ginecologi per l’allattamento al seno. Si sentono colpevolizzate se non ce la fanno o scelgono a un certo punto di rinunciare. Capisco a cosa si riferiscono: spesso e volentieri ci sono delle pretese molto elevate a fronte di informazioni limitate o quasi trascurabili.

Nessuno in ospedale spiega come attaccare il neonato al seno, come gestire un ingorgo o sbloccare un dotto intasato; ma ancor peggio, nessuno neppure avvisa che il dolore lancinante dei primi giorni non durerà a lungo e se dura l’attaccamento è sbagliato ma è comunque risolvibile, insomma madri non spaventatevi, passerà.

Nessuno normalmente negli ospedali italiani dà questo tipo di supporto. Sei lì, che ti stai riprendendo a fatica dal parto, magari hai i punti che ti fanno un male cane e devi pure subire l’equivalente di una pugnalata prolungata nel petto ogni due ore. Allatti con le unghie conficcate nel materasso per il dolore. Oppure, nel caso il pupo non riesca ad attaccarsi, devi fare la spremitura. Spremi e continui a spremerti sempre più in ansia senza che nessuno ti dica “rilassati, fai una doccia, prenditi una pausa, concediti qualcosa di buono e poi vedrai che andrà meglio”.

Ai corsi preparto spesso si parla poco dell’allattamento. Ho avuto la fortuna di seguirne uno in cui addirittura erano previste due lezioni, una delle quali di pratica. Ma poi è tutto diverso. Provare ad attaccare un bambolotto non è come attaccare un bimbo che magari si ribella, fatica a succhiare o che inizia a rigurgitare davanti ai tuoi occhi il latte dal naso perché gliene è arrivato troppo di colpo. Nessuno ti dice che se hai un riflesso di emissione forte il tuo bimbo rischia di rifiutare il seno o di piangere a metà poppata perché ha ingurgitato troppa aria. Nessuno neppure ti dice che esiste il “riflesso di emissione”. Io l’ho scoperto per caso, mio figlio ha allontanato il seno di colpo e ho visto che uno zampillo gli ha lavato la faccia. Mi sono documentata – per fortuna esiste la Leche League – e ho capito perché a fine pasto anziché addormentarsi felice urlava di dolore (no, il mio latte non era urticante).

Nessuno mi aveva spiegato che a un certo punto potresti trovarti un nodulo gigante e doloroso, che equivale a un dotto bloccato. O la bollicina sul capezzolo, che attesta un’ostruzione. Mi avevano invece istruita sugli ingorghi e su come gestirli, ma non ero comunque pronta al dolore e al malessere generale (quando capita sembra di avere l’influenza).

Certo, ci sono i consultori, che fanno un importante lavoro di formazione e supporto, ma non tutti hanno la fortuna di averli nelle vicinanze. Io ad esempio avrei dovuto prendere la macchina e andare in un comune limitrofo per poterne usufruire. Comodissimo con un neonato. Poi ci stupiamo se le neomamme si affidano a gruppi su Facebook o a forum…

L’allattamento al seno è naturale, ma noi non viviamo nelle caverne

Si dà per scontato l’allattamento perché è la cosa più naturale del mondo, ma noi non viviamo in un mondo naturale: abbiamo ciucci, abbiamo stress, abbiamo vestiti, abbiamo bimbi che non stanno costantemente a contatto corpo a corpo. Abbiamo parti medicalizzati e per fortuna la sopravvivenza dei neonati oggi è di gran lunga superiore a quella che ci sarebbe in condizioni appunto “naturali”.

Le generazioni attuali poi non hanno spesso neppure supporto in famiglia, perché usciamo da generazioni allevate a latte artificiale: vale la pena di sottolineare che io sono tornata a casa dall’ospedale con un bell’opuscolo sull’allattamento al seno, mia madre con uno sul latte artificiale.


L’allattamento non è semplice e neppure così piacevole all’inizio, ma se gestito con il supporto di persone competenti può diventare emozionante e portare innegabili benefici a madre e figlio. Per il figlio sono abbastanza noti, dal momento che il latte materno è specie-specifico (addirittura individuo specifico, visto che lo produce la stessa persona che prima aveva il piccolo in grembo) e a differenza del latte “artificiale” (che non è altro che latte di mucca modificato per adattarlo agli esseri umani) è vitale, sempre diverso, orientato alle necessità del bimbo. Pochi sanno ad esempio che il “primo latte” ha una più elevata componente di acqua perché serve per dissetare il neonato, che non assume acqua.

Sono invece spesso taciuti i benefici per la madre. Nel mio caso, ad esempio, l’ossitocina artificiale non faceva alcun effetto. Finché non sono riuscita ad avviare l’allattamento, che è avvenuto col tiralatte al quarto giorno post parto e al seno dopo ben 50 giorni, il mio utero non ha iniziato a contrarsi. Solo allora ho scongiurato il rischio raschiamento. Con la suzione del bambino la situazione è cambiata ulteriormente e la pancia è tornata piatta o quasi nel giro di neanche una settimana.

Si sentono poi assurdità del tipo “latte poco nutriente” o “poco latte”, coi pediatri spesso troppo pronti a dare l’integrazione che in breve fa sparire del tutto il latte alla madre. Il latte materno di una donna sana è sempre nutriente e se non è sufficiente basta tenere attaccato il neonato perché si regoli la produzione. Siamo macchine perfette orientate alla sopravvivenza, se c’è qualcosa che non funziona, a parte casi particolari, è perché le stiamo inceppando con le nostre credenze. Capita così che donne si trovino davvero senza latte, ma perché il bimbo passa buona parte delle sue giornate a usare il ciuccio, non dando adeguata stimolazione; capita che si integri con il latte artificiale, più pesante e meno digeribile, che proprio per questo sazia maggiormente e aumenta il convincimento che “sì, il mio latte è poco nutriente”. Con inevitabili sensi di colpa. No, se vostro figlio reclama cibo dopo due ore se lo avete allattato al seno e dopo 5 a biberon non è un problema del vostro latte: sarebbe come dire che un piatto di farro integrale con insalata è meno valido di una peperonata.

Non sono una fanatica dell’allattamento al seno, penso che per un neonato sia preferibile la combinazione “madre serena + latte artificiale” che “latte materno + stress e insofferenza”, quindi se non ci sono le condizioni ottimali, colpevolizzare le madri non è solo stupido, è anche crudele.

Chi decide o non riesce ad allattare al seno non deve essere colpevolizzato. Dalle altre madri in primis.

26 giugno 2019

Il mio primo acquisto su Facebook Marketplace

Facebook lo introdusse nel lontano 2017. In occasione del suo lancio alcuni giornalisti nostrani ebbero l’ardire (o l’inconsapevolezza) di definirlo “una sfida ad Amazon” (chissà se volevano scrivere eBay).

Sto parlando di Facebook Marketplace, l’area di Facebook dedicata alle compravendite tra privati.

In passato non mi aveva  impressionata. Ma si sa, a fare la differenza in questi casi è la quantità di annunci. E a due anni di distanza ora è davvero pieno di offerte, con alcuni vantaggi non trascurabili:

  1. una ricerca veloce, con la possibilità di filtrare in pochi click per area geografica d’interesse (indicando anche la distanza chilometrica da un punto specifico);
  2. la facilità di comunicazione, dal momento che si chatta su messenger senza dover passare da messaggi anonimi spesso ignorati;
  3. nessuna necessità di farsi un nuovo account, dal momento che si sfrutta quello già esistente di Facebook (che quasi ogni italiano possiede);
  4. l’associazione al profilo personale, utile per valutare il venditore (o il compratore, se si è dall’altra parte della barricata).

Soprattutto quest’ultimo punto è un elemento da non trascurare: altrove hai solo un nickname dietro il quale può nascondersi di tutto. Con un profilo personale invece hai minori rischi truffa e tendenzialmente “mettendoci la faccia” c’è qualche remore in più nel far perdere meno tempo al prossimo (motivo per cui ho smesso di usare siti come Subito.it).
Con tutti questi pro ho fatto il mio primo entusiasmante acquisto su Facebook Marketplace.

Stavo cercando il Newborn Set per la Tripp Trapp Stokke, ovvero la sdraietta che si attacca alla sedia evolutiva per sfruttarla dalla nascita o quasi. Ho pensato di orientarmi sull’usato (da visionare, quindi cercandolo nella mia città) perché si tratta del classico oggetto che sfrutti per pochissimo ed è interamente lavabile.

Ho monitorato gli annunci per alcune settimane (l’algoritmo di Facebook semplifica ulteriormente il compito segnalando le offerte d’interesse) e dopo aver contattato alcune venditrici che non avevano aggiornato la vendita, ho trovato una ragazza squisita che oltre a vendermi un prodotto in ottime condizioni e farmi lo sconto senza che glielo chiedessi, mi ha pure dato consigli sugli accessori del Tripp Trapp evitabili.

Alla fine ho risparmiato 40 euro, ho avuto delle informazioni utili da chi ha già utilizzato la sedia e ho finalizzato l’acquisto in poche ore.

Spero che non sia stata la fortuna del principiante perché conto di sfruttarlo ancora.

25 giugno 2019

Fasciare un bebé per farlo felice e dormire tutta la notte

I neonati sono creature incredibili, che impersonano milioni d’anni di evoluzione. Dispongono di una serie di riflessi primitivi, detti anche arcaici o neonatali, che è bene conoscere per saperli gestire al meglio in un mondo, quello moderno, che spesso è molto lontano dalle condizioni che li hanno originati. A volte ci fanno sorridere, come quello di suzione (per cui appena sfiori la guancia col dito te lo vedi fagocitato), ma se pensiamo al ruolo che hanno nella sopravvivenza di questi esserini così fragili e delicati c’è da restarne affascinati.
(Qui l’elenco dei riflessi neonatali).

Quello che mi aveva colpita maggiormente è il riflesso di Moro, che si scatena quando il neonato ha la sensazione di cadere nel vuoto: s’irrigidisce, spalanca le braccia e le mani, ti guarda con gli occhi sbarrati o piange per la paura. Insomma, è terrore allo stato puro. A contatto col corpo materno non si verifica se non durante gli spostamenti, ma quando è lasciato da solo in culla, specialmente in assenza di riduttori, il sonno si fa molto disturbato.

Ecco perché fasciare mio figlio dal primo giorno di vita mi è sembrata una buona idea. Lui dal canto suo non si è mai lamentato, anzi. Col passare dei mesi, quando il riflesso di Moro si è attenuato, ha comunque continuato ad apprezzare di essere avvolto nel telo di mussola, che è diventato il rituale della nanna. E per me una carta da giocarmi quando proprio non c’era verso di calmarlo (come durante le famigerate “coliche”, che poi coliche non sono… ma questa è un’altra storia).

La fasciatura è un rituale facile ed economico: basta munirsi di alcune mussole di cotone e imparare la tecnica che più si adatta al proprio bambino. Nelle prime settimane aiuta a prenderlo più facilmente in braccio, dal momento che impedisce il ciondolamento libero di testa e arti, dando l’idea di un abbraccio più sicuro;

Per i primi mesi consiglio un formato 100×100 (mio figlio è nato di 44 centimetri ed è stato ben avvolto dal telo 80×80 per almeno un mese e mezzo), per poi passare al 120×120.

Ci sono varie modalità per fasciare un neonato, la mia preferita consiste nel:

  1. prendere un angolo della mussola e ripiegarlo verso il basso;
  2. adagiare il neonato con schiena sul lato ripiegato;
  3. prendere l’angolo di sinistra e passarlo dietro la schiena coprendo il braccio sinistro;
  4. sollevare l’angolo opposto a quello ripiegato e portarlo verso l’alto senza bloccare eccessivamente i movimenti delle gambe;
  5. piegare il braccio destro e fasciarlo come da punto 3.

In altre parole, questo:

In estate se fa molto caldo è possibile continuare questo rituale: si potrà usare la mussola al posto del body o del pagliaccetto (è importante però che il bimbo non sia già in grado di liberarsi da solo). Si può anche lasciare libere le gambe, omettendo il punto 4.

Quando interrompere la fasciatura? Il riflesso di Moro si attenua fino a sparire nel corso dei mesi. Già a 6 dovrebbe essere archiviato. Potrebbe però succedere che a un certo punto siano i bambini stessi a far capire che non è più gradita: si ribelleranno, urleranno cercando di svincolarsi, li troverete liberi come Houdini al mattino. Il rituale a quel punto avrà fatto il suo tempo e andrà sostituito con uno nuovo.

24 giugno 2019

Il paradosso temporale delle neomamme

Negli ultimi mesi, ovvero da quando ha fatto la sua comparsa nel mondo il mio primogenito, le ore stanno volando. Mi avevano anticipato che dopo la nascita di un bambino ci si trovi a vivere un “tempo lento”, ma al tempo stesso mi pare che qualcuno abbia premuto il piede sull’acceleratore.

In questo articolo viene spiegato che la percezione della velocità del tempo è direttamente proporzionale alla “densità dell’esperienza umana” per unità temporale: in altre parole, quando si è alle prese con molte novità o si è molto coinvolti il tempo sembra rallentare; in caso contrario il tempo vola.

Si parla anche dell’erosione della memoria episodica, che porta a cancellare nel corso del tempo gli eventi di routine. Il mese scorso finisce per sembrare più lungo dell’anno precedente.

Arriviamo quindi alla situazione paradossale delle neomamme: da un lato un sacco di esperienze completamente nuove; dall’altro troppe attività di routine con dei tempi davvero dilatati.

Capita così che a volte le 2 ore che corrono tra una poppata e l’altra sembrano lunghe un intero giorno se cerchi di dormire (invano) attendendo che al pupo torni la fame. Volano invece se nel frattempo ti sei dedicata alle 600 attività in attesa.

Insomma, un minuto dura sempre un minuto ma a volte più essere più ricco di un intero mese. E per questo memorabile.

23 giugno 2019

I blog prima dei blog

In un tempo lontano di Internet, quando si scambiavano file su Napster, si sognava su Second Life e ci si promuoveva su MySpace, esistevano i blog.

Non erano i blog di oggi, magazine a tutti gli effetti, portali verticali che macinano denaro attraverso il network Adsense. Erano dei “diari di bordo”, dove si parlava delle proprie passioni o si raccontava le proprie giornate. Capitava così di imbattersi in pagine dove gif animate o effetti visivi del calibro dei “coriandoli” si accompagnavano a testi di vita vissuta. Ricordo ancora, nonostante sia passato un ventennio, il blog in cui una giovanissima elencava periodicamente lo shopping della settimana appena conclusa.

Allora il Web era poco affollato e ci si appassionava perfino alle dissertazioni sulla gonne in offerta al 50%. Oggi probabilmente quella ragazzina non avrebbe neppure un blog e starebbe condividendo su Instagram le sue pose dal camerino di qualche negozio alla moda. E avrebbe un seguito che alla fine degli anni ’90 sarebbe stato inimmaginabile.

Allora il Web era per pochi nerd o per giornalisti in punizione, pochi in Italia erano pronti a scommettere che sarebbe diventato parte integrante delle nostre vite. Ma allora navigare coi telefonini era un miraggio, il WAP – per chi se lo ricorda – una forma estrema di masochismo.

A me quei primi blog piacevano, perché erano una versione virtuale di quei diari in cui avevo iniziato ad annotare i miei pensieri a partire della scuola elementare.

Fissando su carta gli eventi e le emozioni della giornata non passava giorno che fosse uguale al precedente e le settimane finivano per essere più varie anche nella più grigia delle routine.

Potevi raccontarti, sfogarti, approfondire un ragionamento, creare luoghi di memoria senza sprecare carta e con una grandissima novità: la condivisione. Mettersi a nudo davanti ai propri lettori mantenendo un assoluto anonimato era l’enorme privilegio offerto dal Web ai primi blogger “introspettivi”.

Poi i confini tra giornalismo e blogging si sono fatti sempre meno chiari (con relative barricate di categoria), sono comparse le piattaforme di microblogging e i social network, gli utenti Internet sono aumentati vertiginosamente, gli smartphone hanno permesso di fruire e di generare contenuti in modalità prima impensabili… e tutto è cambiato.
Oggi non saprei dire cosa sono i blog.
Ma so dire che cos’è questo blog: un diario di bordo, per spingermi a fare ordine nella mia vita, a fissare alcuni momenti che senza rielaborazione rischiano di scivolare via senza lasciare traccia o quasi, per costringermi a non temporeggiare sempre e comunque.

13 maggio 2019

Il successo dei giocattoli LIDL: scene di ordinaria frenesia pre-natalizia

La catena LIDL è abbastanza abitudinaria nella sua proposta di prodotti. In questo periodo gli scaffali abbondano di prodotti dolciari a tema natalizio (inclusi i dolcetti in pan pepato a cui non so mai dire di no e che mi regalano con due mesi d’anticipo i rotolini di ciccia da festività) e di… giocattoli in legno.

Quelli della LIDL hanno il pregio di essere ben realizzati, vari e soprattutto sicuri, dal momento che sono provvisti di tutte quelle certificazioni che prodotti ugualmente economici si sognano.

Il volantino che elenca i giochi in vendita rimbalza sempre sui gruppi d’ispirazione Montessoriana, dove si trovano persone che postano le foto di carrelli stra-pieni di scatole e determinatissime mamme – con padri molto rassegnati – aspettano in coda anche con un’ora d’anticipo l’apertura del negozio per comprare l’attesissima cucina per i loro pargoli. Ebbene sì, in questi gruppi ho scoperto che la cucina giocattolo venduta alla LIDL è valida quanto quella IKEA, ma costa la metà.

Ma torniamo al tema: perché tanta frenesia per questi giocattoli, per cui ci si mette in fila come per il nuovo iPhone?
Iniziamo col dire che il metodo Montessoriano sostiene i materiali naturali, perché offrono maggiori stimoli sensoriali e varietà rispetto alla plastica. Il legno è il materiale più utilizzato per i giocattoli, ma è costoso a livello di materia prima e oneroso a livello di lavorazione.
Il prezzo riflette entrambi questi aspetti: i giochi in legno sono costosi, di norma sotto i 10 euro non si trova neppure un sonaglio. Non tutti i giochi in legno sono Montessoriani, ma nei gruppi che s’ispirano al metodo sono comunque amati perché offrono un intrattenimento ragionato, senza eccessive stimolazioni e distrazioni elettroniche.
Se in generale è difficile trovare giocattoli in legno nella GDO, è ancor più difficile trovarli a buon prezzo. Alla LIDL era in vendita una scarpa in legno per permettere al bambino di allenarsi ad allacciarsi le scarpe (molto simile ai telai Montessoriani) a 4.99 euro.
Inutile dire che ho dovuto girare 4 sedi diverse nel primo giorno dell’offerta per trovarne una in vendita. Però ne è valsa la pena.