31 gennaio 2009

La saggezza di Quino

Stasera, navigando in rete, mi sono imbattuta per caso in alcune vignette di Quino, fumettista che adoro e che ritengo uno dei migliori di tutti i tempi (anche perché ne ammiro la sensibilità e l'impegno sociale e ambientale).
Ho scoperto che qualcuno ha addirittura trasposto in 3d un personaggio della raccolta che più adoro, "Stai al tuo posto!". La vedete qui sotto:






Sempre navigando ho trovato questa nuova vignetta che non conoscevo... e poi dicono che gli italiani sono mammoni!
:

















E visto che si parlava sopra dell'impegno ambientale...

28 gennaio 2009

"Tropical Extravaganza" e altre curiosità sui fiori...


Gli appassionati di orchidee dovrebbero darsi tutti appuntamento nei famosissimi Kew Gardens: dal 7 febbraio all'8 marzo si terrà infatti la "Tropical Extravaganza", una mostra dedicata alle orchidee e ai fiori esotici. Ecco il programma...
Una curiosità: i Kew Gardens sono provvisti di archivi decennali con le date delle fioriture. In passato sono stati portati a prova del surriscaldamento globale.
Ma c'è una novità. L'inverno quest'anno è stato così rigido da aver ritardato l'apparizione dei bucaneve, primo segnale dell'arrivo della primavera.
La cronaca dell'evento la lascio all'articolo del Guardian intitolato "Blooming late: chilly winter delays snowdrops"

27 gennaio 2009

Dai voce alle tue piante

Se le piante potessero parlare sarebbe decisamente più semplice prendersi cura di loro. In Giappone non hanno ancora dotato le petunie e i cactus della facoltà di parola, ma ci si sono avvicinati parecchi con un vaso particolarmente "espressivo".
Le vostre piante non vi potranno urlare che hanno sete, ma in compenso vi terranno il muso.

Si chiama "Digital pot" e non è altro che un vaso dotato di vari sensori che permetteranno di conoscere condizioni del suolo e dell'acqua, umidità e temperatura. Basterà collegarlo via Usb al computer perché tutte queste informazioni vengano elaborate per capire la condizione della pianta. Nel caso l'abbiate troppo inzuppata, ci penserà il vaso stesso a porre rimedio. Insomma, geniale.
Il design è di Junyi Heo, può piacere come non piacere. Personalmente lo trovo troppo simile a una lampada della Philips o peggio ancora a una radiosveglia della Sony per innamorarmene. Forse avrei preferito un contenitore dalla forma più tradizionale (ovviamente dotato di display). Tralasciando l'estetica, è di certo un salvagente per chi coltiva o tenta di coltivare piante particolarmente delicate. Ma basterà un aggeggino elettronico per far affiorare il pollice verde nascosto in ciascuno di noi? E quanto sarà il prezzo? Al momento non sono riuscita a scoprirlo.
Visto che siamo in tema, ricordo anche il "vaso che respira". Tanto per ricordare a tutti che le piante, anche se non sporcano e non si lamentano, sono degli esseri viventi a tutti gli effetti

26 gennaio 2009

La strada per l'acqua

Ieri sera ho visto una delle più belle puntate finora trasmesse de "Il testimone".
Evito di dilungarmi inutilmente e riporto l'esaustivo testo che accompagna il video su Youtube:
Il Testimone Pif Mtv Puntata 9
Cosa succede quando decidiamo di dare dei soldi in beneficenza per la costruzione di un pozzo in Africa?
Pif parte alla volta del Kenya, in compagnia di alcuni volontari di Amref International, per capire qual e' il percorso delle nostre donazioni. Insieme ai volontari dell'associazione raggiunge Oloitokitok, in Kajiado, una località a 6 ore di fuoristrada da Nairobi dove la gente del luogo, supportata da Amref, costruisce pozzi per l'acqua potabile. Le donne Masai, alle pendici del Kilimanjiaro, lo aspettano per mostrargli la strada per arrivare al pozzo, e dissetare il villaggio. Nel viaggio di ritorno a Nairobi, Pif incontra un gruppo di ex ragazzi di strada che sta preparando uno spettacolo con strumenti musicali improvvisati, alla maniera dei più celebri Stomp; attraversa lo slum di Kiberia, una delle piu' grandi baraccopoli al mondo dove vivono circa un milione di persone; intervista Padre Kizito, un comboniano italiano legato all'associazione Amani, fonte di ispirazione e guida per tanti volontari che vanno in Africa ogni anno. Durante il viaggio Pif capisce che il percorso tra la donazione di soldi per realizzare un pozzo di acqua potabile in Africa e la sua effettiva realizzazione può in alcuni casi essere tanto immediato quanto uno schiocco di dita...

Vale la pena di darci un'occhiata, per ricordarsi che si può essere felici anche con poco. E che basterebbe rinunciare a una vacanza per regalare un pozzo a 5 villaggi assetati.

25 gennaio 2009

Una vittoria impossibile

Per allietare la domenica, un vecchio video della Gialappa's band su una vittoria impossibile.
Per ricordare a tutti che anche se si parte svantaggiati (o si fa un inizio disastroso), è sempre possiible arrivare primi. Soprattutto con una buona dose di fortuna.

23 gennaio 2009

L'educazione non sempre paga

Non sempre l'educazione paga, soprattutto se riservata a persone che educate non sono. Ma non parliamo della fila alla cassa, degli spintoni sull'autobus, dei parcheggi rubati sotto il naso o del principio che chi urla più forte ha sempre ragione.
Una testimonianza estrema arriva dai passeggeri del Titanic. A salvarsi sulla nave più sventurata del secolo scorso sembra siano stati soprattutto i cafoni. E a morire gli inglesi, educatamente in fila indiana ad attendere il loro turno per salire sulle scialuppe di salvataggio. Che come ben sappiamo erano insufficienti.
Una notizia Ansa di oggi che meriterebbe qualche riflessione.
TITANIC: BRITANNICI TROPPO EDUCATI, MORIRONO IN FILA
di Mattia Bernardo Bagnoli

LONDRA - I britannici, normalmente, vanno fieri delle loro buone maniere: sempre educati e compassati - almeno per quanto riguarda la classe dirigente e le cerimonie pubbliche - raramente escono dalle righe. E quando si tratta di far la fila sono poi imbattibili: lord e muratori si mettono di buon grado in coda ad aspettare il loro turno. Comportamento esemplare. Che sul Titanic è però costato la vita a centinaia di sudditi di sua Maestà. Invece di sgomitare per conquistarsi un posto sulle poche scialuppe di salvataggio - così come facevano i 'cugini' americani, i 'fratellastri' irlandesi, e persino i vicini di casa svedesi - i britannici hanno infatti atteso pacifici in coda. E sono colati a picco.

Ecco dunque spiegata l'alta percentuale di vittime registrata tra i passeggeri della Gran Bretagna. O almeno, questa è la spiegazione data da un team di ricercatori svizzeri e australiani dopo aver passato un anno a studiare l'identità dei passeggeri del Titanic, il transatlantico finito in fondo al mare durante il suo viaggio inaugurale il 14 aprile 1912. Gli americani, dicono i ricercatori, mostrarono un tasso di sopravvivenza più alto del 15% rispetto ai britannici. Percentuali simili anche tra gli irlandesi e gli svedesi. Una sorpresa, per gli studiosi. "Ci aspettavamo - ha detto al Daily Mail Bruno Frey, ricercatore dell'università di Zurigo - che i britannici risultassero i più 'bravi' a sopravvivere visto che la nave era stata costruita nel Regno Unito, la compagnia proprietaria era britannica e l'equipaggio era britannico".

"Pensavamo - ha proseguito - che avere rapporti stretti con l'equipaggio fosse un elemento molto importante per arrivare alle scialuppe di salvataggio". Che erano pochissime: solo 20 per soddisfare le esigenze di 2.223 persone. E infatti si salvarono solo in 706. "Invece è venuto fuori che gli inglesi hanno avuto circa l'11% di possibilità in meno di essere salvati rispetto a tutte le altre nazionalità". Dato che resta uniforme anche quando le differenze di classe e di età vengono livellate. Un risultato che ha lasciato di stucco i ricercatori.

"Credevamo di poter dimostrare che quando si tratta di vita o di morte le regole culturali scompaiono e lo spirito di sopravvivenza entra in azione", ha concluso Frey. Che evidentemente non aveva fatto i conti con la forza delle tradizioni britanniche. Il detto marittimo "prima le donne e i bambini", infatti, non restò lettera morta tra le file britanniche. "A quel tempo gli americani non erano molto sofisticati - ha fatto notare Frey - mentre gli inglesi erano ancora dei gentleman: e rispettarono le norme sociali".

22 gennaio 2009

La vittoria di Europa7, l'ennesima beffa per gli italiani

La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma alle spalle c'è una battaglia legale e di diritti decennale, culminata con l'ennesima beffa (ma dopo le due Alitalie non c'è neppure da farci troppo caso) per gli italiani che - loro malgrado - sono ancora una volta costretti a finanziare i lauti guadagni di alcuni privati con le loro imposte.
Brevissimo riassunto della questione (visto che sembra ignorata dal mondo intero). Protagonisti: Europa7 e Rete4.
Attori in gioco: i politici, gli spettatori, l'Ue.
Trama: Europa7 ha la licenza nazionale per trasmettere i suoi programmi in tutto il Paese, ma non lo può fare perché le frequenze risultano occupate da Rete4. Il principe azzurro sul cavallo bianco è a farsi un giro, e dopo 10 anni Europa7 riceve degli spiccioli a titolo di risarcimento. Nel silenzio più totale dei mass media.

E dove sta la beffa per gli italiani, vi domanderete? Sappiate che dopo 10 anni di frequenze occupate da Rete4 - una tv privata, anche se appartiene al presidente del Consiglio - e dopo 10 anni di introiti a suo favore, ora lo Stato dovrà pagare 1 milione a Europa7. E ci è andata pure bene: il risarcimento richiesto era pari al triplo della somma ricevuta.
A pagare il milione e 41mila euro sara' il ministero dello Sviluppo Economico - spiega Apcom - che ha ereditato le competenze del dicastero delle Comunicazioni, ma il sottosegretario Paolo Romani ha espresso soddisfazione per la decisione della magistratura amministrativa: "Il Consiglio di Stato ha messo la parola fine alla vicenda".

Non credo che durante l'attuale legislatura qualcuno si rivarrà su Rete4. E del resto è colpa dei Governi che si sono succeduti in questi anni e che non hanno mai voluto risolvere la questione (ovviamente a destra, ma anche a sinistra, che hanno dato tutti i tempi e modi agli avversari politici di ricambiare le carte in tavola).
Peccato che le colpe degli amministratori e dei politici ricadano sempre sui cittadini. Più che le colpe, le spese...
Sul Mattino.it è stato riportato un interessante riassunto della vicenda, che permette di capire le responsabilità dei vari Governi (purtroppo mancano i palleggi pre-gasparri, davvero interessanti da approfondire. Comunque basta fare una ricerca in internet per scovare tutto lo scibile sull'argomento).
LUGLIO '99 - Europa 7 ottiene dallo Stato la concessione per varare una tv nazionale, ma non le frequenze necessarie a trasmettere: è l'inizio di una lunga battaglia legale per l'emittente di Francesco Di Stefano. Retequattro, munita allora di un'autorizzazione provvisoria, continua a trasmettere.
NOVEMBRE 2002 - La Corte Costituzionale impone il rispetto del termine del dicembre 2003.
DICEMBRE 2003 - Dopo il rinvio della legge Gasparri alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, con cosiddetto decreto "salvareti", il governo Berlusconi evita il trasloco di Retequattro su satellite e lo stop alla pubblicità su Raitre. Sempre nel 2003, Europa 7 presenta un ricorso al Tar del Lazio per ottenere che ministero e Autorità le assegnino le frequenze. Respinto dal tribunale amministrativo, quel ricorso finirà al Consiglio di Stato.
APRILE 2004 - Viene definitivamente approvata la legge Gasparri. L'articolo 25 ingloba il testo del dl salvareti e di fatto allunga la vita a Retequattro, affidando l'apertura del mercato tv e l'aumento del pluralismo al passaggio al digitale terrestre (fissato al 31 dicembre 2006, termine poi slittato prima a fine 2008 e poi a fine 2012).
LUGLIO 2005 - Il Consiglio di Stato sospende l'esame del ricorso di Europa 7 e chiama in causa il tribunale del Lussemburgo.
LUGLIO 2006 - La Commissione europea apre una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia perchè favorisce gli attuali operatori analogici, Rai e Mediaset, nel passaggio al digitale.
OTTOBRE 2006 - Il governo Prodi vara il ddl di riassetto del sistema tv, che porta la firma del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. Tentando di rispondere ai rilievi dell'Europa, il provvedimento punta ad aprire il mercato intervenendo sulla concentrazione delle risorse pubblicitarie e delle frequenze (è previsto il passaggio anticipato di una rete Rai e una Mediaset sulla nuova tecnologia).
LUGLIO 2007 - L'Europa dà ancora due mesi di tempo all'Italia per modificare la Gasparri, chiedendo di fatto un'accelerazione della legge. L'ultimatum Ue scade il 20 settembre e a nulla vale la richiesta di Gentiloni di una proroga dei termini. Approvato a dicembre dalle commissioni Trasporti e Cultura della Camera, il ddl Gentiloni sarebbe dovuto approdare in Aula agli inizi del 2008.
GENNAIO 2008: Arriva la sentenza della Corte di Giustizia europea sul caso Europa 7 che, interpellata dallo stesso Consiglio di Stato, impegnato a decidere sul caso, afferma che il sistema televisivo in Italia non è conforme alla normativa europea che impone criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori nell'assegnazione delle frequenze.
MAGGIO 2008: I giudici di Palazzo Spada chiedono al ministero dello sviluppo economico di pronunciarsi nuovamente sulla richiesta dell'emittente di ottenere frequenze, tenendo conto della sentenza della corte di Giustizia di Strasburgo emessa il 31 gennaio 2008.
15 OTTOBRE 2008: Il ministero dello sviluppo economico individua alcune frequenze assegnabili alla tv di Francesco di Stefano.
11 DICEMBRE 2008: Il ministero assegna la frequenza a Europa7.
21 GENNAIO 2009: La sesta sezione del consiglio di Stato stabilisce che Europa 7 dovrà ottenere un risarcimento dallo Stato di poco più di un milione di euro.

Ho apprezzato enormemente l'articolo pubblicato sul Tgcom, che riporto integralmente (tanto è molto breve)
Frequenze tv: risarcita Europa7
Un mln di euro da Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha assegnato all'emittente televisiva Europa7 un risarcimento di un milione di euro. La battaglia giudiziaria di Europa7 era iniziata nel '99, in seguito alla mancata assegnazione delle frequenze in analogico dopo che si era aggiudicata una licenza nazionale per l'emittenza tv. La richiesta presentata dalla società era di 3,5 milioni di euro senza l'assegnazione di frequenze e di 2,1 milioni con le frequenze.

Era difficile parlare dell'argomento senza spiegare la questione di Rete4, eppure loro ci sono riusciti con grande nonchalance. Se questa è la libera informazione che regala questo Paese... Poi è ovvio che si cerchi in tutti i modi di mettere dei bavagli a blog e forum. Non sia mai che la gente inizi davvero a capire come vanno le cose...

21 gennaio 2009

Usavich, conigli russi con gli occhi a mandorla


Li ho scoperti da poco, ma li trovo geniali sia per le storie assurde che per l'aspetto (e le espressioni) che hanno dato ai protagonisti.
Sono gli Usavich. Ecco cosa ne dice Qoob:
Kirenenko e Putin sono due conigli cresciuti in cattività in un Gulag russo. Non avendo speranza di scappare come passeranno le loro giornate in quella piccola cella? Costanti battaglie con le guardie si trasformani in una rivoltosa quanto divertente commedia in questa unica produzione della Kanabian Graphics.

Che si tratti di una produzione giapponese, è facile capirlo: i conigli rispecchiano una serie di convenzioni che qualsiasi appassionato di manga e anime conosce bene. Applicate al 3D, però, si trasformano in qualcosa di inedito.
Per non spoilerarvi la serie, che troverete su Youtube, ecco un remix da non perdere:

20 gennaio 2009

Perché le zebre hanno messo le strisce?


Sul Guardian ho pescato un interessante articolo dal titolo How did the zebra get his stripes?, sullo scopo delle colorazioni - o dell'assenza di colorazioni - di alcuni animali.
Un nuovo studio scientifico ha infatti tentato di dare una risposta alla domanda "Perché la zebra ha messo le strisce?". La conclusione è quasi imbarazzante. Secondo Tim Caro dell'Università della California, sappiamo ancora troppo poco sulla colorazione del manto degli animali (o della pelle, in alcuni casi).
Anche il co-scopritore della selezione naturale di Charles Darwin, Alfred Russel Wallace, si pose il problema della ragione evolutiva delle strisce delle zebre.
Per lui le zebre vivono costantemente in condizioni di grande pericolo, circondate come sono da leoni e predatori vari. Secondo Wallace però la notte, in occasione dell'abbeveramento, sono ancora più a rischio. Le strisce servirebbero alle zebre a mimetizzarsi al chiaro di luna, a non farsi notare a distanza e ad apparire meno numerose qualora intraviste.
Darwin però non era d'accordo. Le striscie nella savana totalmente aperta allo sguardo, non servono proprio a nulla: addirittura, nelle parti bianche, arrivano a riflettere la luce. Un'altra teoria, che conoscevo anch'io prima di questo articolo, considera le striscie un mezzo per disorientare il predatore: in mucchio le zebre corrono in tutte le direzioni, le striscie diventano quasi ipnotiche e soprattutto non è possibile, nel trambusto generale, capire la direzione dei fuggitivi. Sembrerebbe inoltre utile a evitare le mosche tse tse (ma ignoro la motivazione concreta).
Le zebre sono un vero mistero. Altri animali invece sembrano dare meno problemi. Particolari colorazioni del muso sono frequenti negli animali che hanno raggiunto una posizione eretta, e hanno principalmente uno scopo intimidatorio.
Nel caso del panda, nessuno scopo comunicativo invece. Se fosse stato tutto bianco la luce si sarebbe riflessa sul pelo, rendendo più difficoltosa la visione.
Ecco la splendida gallery del Guardian, alla scoperta delle più strane colorazioni (e di alcune ipotesi che le spiegano)

19 gennaio 2009

Blue Monday, il giorno più deprimente dell'anno

Non so se sia dovuto alla nottata insonne, o al risveglio al grido radiofonico di “allarme nevicate a Milano”, ma oggi ho un mal di testa martellante. Che sia dovuto alla depressione?
Comunque sia, oggi, lunedì 19 gennaio, è il giorno più depresso dell’anno. Anzi, il più depresso della storia, è arrivato a sostenere il Daily Mail (ripreso dall’immancabile Ananova). Francamente credo che in passato, tra guerre, pestilenze e carestie, ci fossero stati lunedì ben meno allegri; ma mai contraddire un sito che è continua fonte d’ispirazione (e di notizie a metà strada tra l’inutile e il curioso).
Ogni anno gennaio è portatore del giorno più triste dell’anno. Le vacanze natalizie sono solo un ricordo (a cui a volte si resta avvinghiati per settimane e settimane), anche se novembre è passato, basta guardare fuori dalla finestra per sentir riecheggiare versi di pascoliana memoria (“È l’estate, fredda, dei morti”). Soprattutto se sul terrazzo sono allineate in fila indiana le mie piante diventate vittime del gelo. Insomma, pochi dubbi che non sia il periodo dell’anno che ispira di più la gioia e la vitalità. Senza contare la cappa lugubre della depressione economica. Siamo depressi, anche economicamente.
Sentiamo che dice Ananova in questo articolo sul tema

Gli esperti sostengono che lunedì 19 gennaio 2009 sprofonderà al livello del giorno più deprimente della storia. Il clima freddo, i ricordi natalizi che si scolorano e il tradimento dei buoni propositi del Nuovo Anno rendono sempre infelice questo periodo dell’anno. Ma l’effetto della crisi economica rende quest’anno il peggiore di sempre, sostiene il Daily Mail. Si prevede che milioni di persone si siano sentite così scontente (n.d.t. il verbo usato nella versione originale è “to glum” che nel suono dà alla perfezione l’idea del groppo in gola) da decidere di stare a letto e che fino a un quarto dei lavoratori sia siano dati malati.
Il psicologo Cliff Arnall ha individuato una formula matematica che definisce con precisione la data odierna come “Blue Monday”.
Ha spiegato che esistono 6 fattori depressivi – clima invernale, conti natalizi delle carte di credito, abbandono dei buoni propositi dell’anno nuovo, paure lavorative, aumento del debito e crollo dei prezzi delle case. Il dottor Arnall, 43 anni, ha dichiarato: “la crisi finanziaria porta a credere che quello odierno sia il più deprimente Blue Monday che ci sia mai stato”.

16 gennaio 2009

Il fascino delle scatole

C'è una passione tutta femminile che risulta spesso incomprensibile agli uomini: è quella delle scatole. Gli uomini tendenzialmente le snobbano, non sanno come usarle, mentre le donne le accumulano, le riempiono e organizzano scaffali pieni di scatolette e scatoline (a volte inserite l'una dentro l'altra stile matrioska).
Pensate all'organizzazione dei cassetti. Questo è quello di una donna:
Questo è quello di un uomo:
O almeno è uguale al cassetto della scrivania di mio marito...

Personalmente penso che non siano mai abbastanza e mi piace realizzarne anche per fare regali. Ad esempio riempiendole di cioccolatini o biscotti fatti in casa.

Partiamo dalle basi. Guardate questa immagine per farvi un'idea di come a un template bidimensionale può corrispondere un oggetto tridimensionale (nello specifico scatole di svariate forme):

Se volete tanti modelli pronti da stampare vi consiglio di fare un giro sul sito Canon dedicato al papercraft: http://cp.c-ij.com/en/contents/3200/list_15_1.html
Sul sito troverete le istruzioni e i template pronti per il download per realizzare queste scatoline e molte altre:


Ci sono poi delle scatole molto più particolari, come questa (per i fan di Biancaneve):
Le istruzioni e i template li trovate qui: http://paperkraft.blogspot.it/2009/10/wicked-queen-heart-box-papercraft.html

Questa invece ha come base la tecnica dell'origami:
Io la trovo molto carina. Le istruzioni qui: http://inspirationaltechniquesandtutorials.blogspot.it/2009/05/origami-box-with-wrap-lid.html 

Cambiamo materiale, passiamo al feltro. Ecco che cosa si può fare col minimo sforzo:
Le istruzioni per realizzarla le trovate qui: http://www.hollychristian.com/felt-box.html

Dalle scatolette si possono anche ottenere simpatici personaggini totalmente inutili ma che possono regalare momenti di svago in ufficio. Come questo:
Le istruzioni qui: http://www.mypapercraft.net/2012/09/mgs-solid-snake-in-a-box-papercraft/

Per la cronaca quello sopra è un esempio di "paper toy", giocattoli di carta facili da realizzare, a costo quasi zero. Sono carini, colorati e se un giorno vi trovate bloccati in casa per un temporale o un raffreddore e non sapete cosa fare, vi risolvono il pomeriggio.
Navigando in Rete ho trovato uno splendido blog ricco di idee e soprattutto di modelli gratuiti pronti per il download: Crafty me
E' lì ad esempio che ho trovato questa bambolina (difficoltà media per chi è munito di taglierina, alta per chi ha solo le forbici):


15 gennaio 2009

La grande beffa della social card

In Italia dove quasi tutto sembra sul punto di essere privatizzato, essere poveri (anzi, meno abbienti, per essere politically correct) è motivo di umiliazione e sofferenza, che va ben oltre la fatica di arrivare a fine mese.
"E' anonima naturalmente per non creare imbarazzo" fu il commento del premier al momento del lancio. Ipse dixit. Una delicatezza inappuntabile verso tutti coloro che si trovano a vivere con poco o niente proprio in un paese che si definisce "ricco". Peccato solo che tanta delicatezza - grazie alla tortosità della burocrazia italiana - si sia risolta in una nuova umiliazione per i potenziali beneficiari della carta, e in un inaspettato beneficio a favore dei religiosi che hanno fatto voto di povertà. Ma andiamo con ordine e partiamo con la puntata di Mi manda Rai Tre che ha sollevato il polverone (ma già da settimane alcuni organi d'informazione avevano evidenziato l'assurdo iter per abilitare la tessera).

La signora anziana presenta la carta e si sente rispondere che è vuota. E gli occhi le si riempiono di lacrime anche a distanza di tempo, semplicemente rievocando quella spiacevole vicenda. Tanto "per non creare imbarazzo", diceva qualcuno.
In effetti a tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di trovarsi senza contanti e con un bancomat smagnetizzato, o rigato, o scaduto. Magari qualche occhiataccia della commessa è pure capitata. Però ben pochi si sono sentiti domandare "è una social card?", rispondendo alla quale avrebbero subito svelato il proprio reddito.
Il titolo del post è farina (stantia) del mio sacco. E' il classico titolo quasi "preconfezionato" che il redattore frettoloso, svogliato o privo d'idee estrae dal cilindro. E fa comunque la sua porca figura in pagina. Magari non è il massimo dell'originalità.
E infatti anche Repubblica titola "La grande beffa della social card
Una su tre è senza soldi"
. Ma l'articolo è di certo più ispirato e merita di essere letto con attenzione. Riporto alcuni passaggi.
La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. "E' anonima naturalmente per non creare imbarazzo", commentò Silvio Berlusconi il giorno dell'inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d'Italia. Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: "Ha per caso la social card?". Il no è asciutto e risentito. "Scusi, ma era per capire come pagava".
Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l'aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di "Mi manda Raitre" e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull'altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.
[...]
Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l'una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.

8 milioni e 500mila di euro. Mica bruscolini. Per delle tessere che forse hanno aiutato pochi, di sicuro hanno beffato e umiliato molti. Ne valeva davvero la pena? Già nella sua formula iniziale era apparsa alquanto discutibile (cos'è, un accordo economico con mastercard? Perché per dare 40 euro al mese agli indigenti si poteva anche fare una piccola integrazione alla pensione, o mandare un assegno con raccomandata. Di sicuro si poteva trovare una via meno macchinosa) ma nella resa effettiva è degna della casa che rende folli di Asterix.

Ma alla fine qualcuno è riuscito a beneficiare della social card?
Parrebbe di sì.
Dall'Arena.it
Potremmo definirlo un effetto collaterale della Social Card. Chissà, infatti, se i cervelloni del ministero al momento di ideare la versione elettronica della vecchia tessera del pane, avevano pensato che una fetta consistente dei beneficiari sarebbe stata composta da... religiosi.
Il sospetto ad alcuni veronesi è venuto quando, in questi giorni a scavalco dell'anno, hanno notato che negli uffici postali c'erano moltissime suore anziane e un buon numero di frati in là con gli anni. Non è una scena usuale. Di solito, difatti, nell'organizzazione dei conventi c'è sempre una persona che - come nelle caserme - s'incarica di svolgere certi compiti, come quelli che richiedono di recarsi in posta, anche per tutti gli altri, basta avere in mano una delega. Ma a ritirare la Social Card bisogna andare di persona, ed ecco quindi le file. E sono tanti perché la maggior parte delle congregazioni religiose chiede ai propri appartenenti di fare voto di povertà e quindi essi risultano nullatenenti e privi di reddito, rientrando di fatto nelle categorie previste dalle norme.
«È vero», conferma da Venezia Patricia Da Rin, della Direzione comunicazione e relazione esterne del Triveneto di Poste italiane, «a Verona sono particolarmente numerosi perché c'è una grossa presenza di istituti religiosi. Dai dati che abbiamo sono oltre 300 le suore e i frati che hanno già ottenuto la Carta d'acquisto recandosi negli uffici postali della città a ritirarla dopo aver ricevuto la comunicazione dal ministero. Di questi più di 60 sono quelli che hanno fatto capo agli sportelli della sede centrale di piazza Isolo. Ma il dato più curioso», conclude, «è che una piccola sede come Castelletto di Brenzone ne ha liquidate da sola più di 50».
Nel paese lacustre, è noto, c'è l'istituto delle Piccole suore della Sacra Famiglia, che ospita molte sorelle anziane.

E vabbé. La Chiesa costa allo Stato italiano 4 miliardi di euro all'anno. Se si prendono anche delle briciole degli 8 milioni e 500mila di euro destinati ai poveri, non si può certo gridare allo scandalo. L'importante è che vengano investiti nel modo giusto...

14 gennaio 2009

Lo speciale Ansa su De André

Il sito dell'Ansa ha dedicato a Fabrizio de André uno splendido speciale in ricordo del decennale della sua morte. Cito i pezzi più significativi per evitare che, tolto il link, spariscano anche i contenuti.
'Tra 10 anni saro' immortale o dimenticato'. Faber, nelle sue parole
FABER, LO CHIAMO' PAOLO VILLAGGIO
Faber è il soprannome che gli ha dato Paolo Villaggio, suo amico di infanzia.

LA PAURA DEL PALCOSCENICO
Fino agli anni ’70 Fabrizio De André non si è esibito in pubblico. Quando le pressioni da parte della sua casa discografica per farlo andare in concerto divennero troppo pressanti, lui chiese un compenso volutamente esagerato, convinto di ottenere un netto rifiuto. Il produttore accettò senza battere ciglio e così cominciò la sua carriera live.

IL SODALIZIO CON LA PFM
Nella buona novella, l’album del 1970 suonano I Quelli, la band destinata a diventare la Premiata Forneria Marconi, la Pfm, con la quale nel 1979 e nel 1980 realizzò due tour trionfali registrati su due live di grande successo.

LA CAMPAGNA
“Dell’infanzia ricordo soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina: allora le vacanze estive duravano quattro mesi e, a parte quindici giorni di mare, che avevamo sotto, le passavamo tutte in campagna, con mio grande piacere. Lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura Contadina”

DALL'UNIVERSITA' A MARINELLA
Ho fatto un po’ di tutto: ho frequentato un po’ di medicina, un po’ di lettere e poi mi sono iscritto seriamente a legge dando, se non mi sbaglio, 18 esami. Quasi laureato dunque […] poi ho scritto Marinella, mi sono arrivati un sacco di quattrini e ho cambiato idea […] dopo che Marinella l’aveva cantata Mina, eravamo nel ’65, io ero sposato da tre anni e lavoravo negli istituti privati di mio padre […]. Lavoravo lì non sapendo cos’altro fare, visto che di laurea non se ne parlava perché stentavo molto a studiare, insomma questa Canzone di Marinella, me la canta Mina, mi arrivano 600 mila lire in un semestre (somma davvero considerevole per quegli anni). Allora mi sono licenziato, ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova […]. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse le canzoni m’avrebbero reso di più e soprattutto divertito di più.

CUOCO PER HOBBY, AGRICOLTORE SUL SERIO
Oltre alla musica, le grandi passioni di De André erano la cucina e l’agricoltura che, dopo aver messo su l’azienda agricola dell’Agnata, era diventata la sua principale attività. Ai fornelli era molto bravo e amava curare I pasti per I suoi ospiti in tutti I dettagli dall’antipasto ai vini. .”Fare il cantautore può essere tuttosommato un hobby per il fine settimana. Quello dell’agricoltore invece è un lavoro che ti dà più spazio, che ti consente di guardare al futuro in maniera più tranquilla. Chissà perché, ma mi sento più serio in questa mia nuova veste”.

LA GUERRA
“Le canzoni contro la Guerra le facevo a 19 anni. Ma certe cose si giustificano o come un impulso giovanile o come un modo per fare quattrini perché il prodotto si vende. E’ per questo che mi sono rivolto ad altri temi. Perché 19 anni non li ho più e seguire la moda per fare quattrini mi ripugna”.

PAROLE E MUSICA
“Occorre superare la concezione della canzonetta che si muove entro dimensioni espressive troppo anguste. L’opera d’arte è qualcosa di molto più complesso. E poi c’è il problema del rapporto tra testo e musica. Normalmente si tende a dare più importanza al testo che non alla melodia. Io stesso musicalmente sono alquanto scarso, come per molti altri autori le mie canzoni devono la loro attrattiva ai versi e al loro contenuto particolare”.

GESU', UN ANARCHICO CONVINTO DI ESSERE DIO
“Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico. Furono I suoi personaggi miserandi e marginali a suscitarmi la voglia di saperne di più. Cominciai a leggere Bakunin, poi da Malatesta imparai che gli anarchici sono dei santi senza Dio, partendo da questa scoperta ho potuto permettermi il lusso di parlare anche di Gesù Cristo, prima in “Si chiamava Gesù” e poi in “La buona novella” e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio”.

IL DEBITO CON BRASSENS
“Forse più che agli chansonnier francesi in generale devo pagare il mio tributo al solo Brassens. Poi I poeti maledetti francesi, di cui Cecco Angelieri era un nonno. Loro sono la forma, hanno rivoluzionato il modo di scrivere, hanno inventato tecniche nuove, come ha fatto il Surrealismo. Parlo di tecniche pur non conoscendo altro che le tecniche rudimentali. Breton insegnava a prendere una lettera, liberare la mente e poi da quella lettera, come nelle libere associazioni di Freud, scrivere quello che viene in mente. Ci ho provato ma venivani fuori delle stronzate allucinanti. Però amo la ricerca dei termini, la scelta degli aggettivi, resto sempre abbagliato dalla bravura in questo senso di Gesualdo Bufalino, per esempio. Credo che in ciascuno di noi ci sia un elemento di vritusismo, di funambolismo verbale”.

IMMORTALE O DIMENTICATO
“Tra dieci anni le mie canzoni non esistono pù nemmeno nella memoria. Tra dieci anni ho inventato qualcosa di grosso, di immortale che adesso non mi passa nemmeno per la testa oppure ho una barca e navigo il mondo mentre la mia famiglia campa di rendita. Io non sono affatto un protestatore. Vabbé, Morandi è uno che sa cantare e che ha le sue idee: eppure non si vergogna per niente di sottoscrivere Zingara, accetta il suo personaggio. Anch’io accetto il mio personaggio. E’ colpa mia se Fabrizio De André corrisponde a un personaggio che non si lascia ingoiare dai fabbricanti di canzoni?”.


Non batté ciglio quando seppe del tumore
di Enrico Marcoz

AOSTA - "La morte verrà all'improvviso, avrà le tue labbra e i tuoi occhi, ti coprirà di un velo bianco addormentandosi al tuo fianco...". Nel 1967 Fabrizio De André, ad inizio carriera, raccontava così la Morte nell'omonima canzone inserita nell'album 'Volume I'. La sua, forse, se l'era immaginata diversa. Magari nella tenuta in Sardegna, davanti al mare, in età avanzata. La prospettiva di avere ancora poco da vivere gli è invece piombata addosso all'improvviso, in un'afosa giornata di fine estate, a soli 58 anni. Era il 25 agosto 1998. Quella sera doveva suonare a Saint-Vincent, tappa del tour estivo. Un improvviso e acuto dolore alla spalla e alla cervicale lo aveva portato all'ospedale di Aosta.

La diagnosi provvisoria: 'Due costole incrinate, una forma di 'nevrité alle articolazioni superiori e un'infiammazione al braccio sinistrò. Visita in pronto soccorso e poi in sala raggi. Già la prima lastra alla spalla non aveva lasciato dubbi, evidenziando una grossa massa nel polmone. Il giorno dopo la Tac aveva confermato i peggiori sospetti. "Non ha battuto ciglio - raccontano i sanitari valdostani - quando gli abbiamo spiegato che aveva un tumore, non ha detto nulla. E' rimasto impassibile, senza reazioni". Dopo un'iniezione antidolorifica era rientrato a Genova. "...la morte va a colpo sicuro non suona il corno né il tamburo...".

De André e la morte, un rapporto che si è sviluppato attraverso decine di canzoni-poesie. Da 'La guerra di Piero' (Ninetta bella dritto all'inferno/avrei preferito andarci d'inverno), alla 'Canzone di Marinella' (E lui che non ti volle creder morta/bussò cent'anni ancora alla tua porta), da 'La ballata del Miche'' (Stanotte Miché si è impiccato ad un chiodo perché/non poteva restare 20 anni in prigione lontano da te) al 'Cantico dei drogati' (E soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo/dove vivo la mia morte con un anticipo tremendo?). E poi 'La domenica delle salme', 'Il pescatore', l'intero album 'Non al denaro non all'amore né al cielò.

La morte nelle sue parole era quasi sempre violenta e tragica, insensata, un vero e proprio strappo dalla vita. Ma a volte anche tenera come in 'Fiume Sand Creek' (...ora i bambini dormono sul letto del Sand Creek...). Gli ultimi sei mesi della vita Fabrizio De André li trascorse a combattere la malattia, "come un guerriero" raccontò il figlio Cristiano, dentro e fuori l'Istituto per tumori di Milano. Sulle sue condizioni era stato steso un velo di riserbo da amici e parenti. Lui stesso aveva dichiarato alla stampa di soffrire di un problema congenito che gli aveva provocato delle ernie al disco. Riservato e schivo come sempre. Prima un miglioramento, poi la ricaduta fatale. La morte è arrivata nella notte dell'11 gennaio 1999, alle 2.30. Vicino a sé la moglie Dori Ghezzi e i figli Cristiano e Luvi. "...davanti all'estrema nemica non serve coraggio o fatica, non serve colpirla nel cuore, perché la morte mai non muore".

13 gennaio 2009

De Andrè, 10 anni dopo

Con la musica di Fabrizio de André sono cresciuta. Da bambina conoscevo solo le sigle dei cartoni animati e i suoi concerti con la Pfm. Gli anni sono passati e ho scoperto nuove canzoni, fino a imparare a memoria l'intera discografia. Dopo la morte di mio padre il ricordo di quelle canzoni è diventato ancora più pesante e in questi giorni di celebrazioni per il decennale della morte di Faber non è stato facile trattenere le lacrime...
Ho seguito i vari (e doverosi) speciali sulle varie Reti (cioé Rai, Mediaset non mi pare abbia fatto molto a riguardo). Ho trovato splendida la puntata speciale de "La storia siamo noi". Molto intima, toccante, più "per appassionati" - diciamo - di quella di Fazio su Che tempo fa, decisamente più ricca ma non così sentita (ma c'erano dei momenti memorabili, come lo splendido intervento di Renzo Piano, Cristiano De Andrè alla chitarra con le dita congelate e il delicato saluto del porto di Genova al cantautore).
Anche se in ritardo, non ho potuto non dedicare un post al decennale della morte di un cantante a cui devo un pezzo della mia anima.

8 gennaio 2009

Story of stuff

Mentre la neve cade copiosa in buona parte della penisola minacciando la corsa ai saldi, un filmato (in 3 parti) che spiega il problema della corsa al consumismo iniziata negli anni Cinquanta