19 settembre 2009

Facebook, quando i fan vengono mercificati


Facebook da tempo si è aperto alle aziende. Le pagine sono state create proprio per promuovere marchi e prodotti, con un dichiarato intento commerciale. A tale scopo, i fan sono invitati a NON creare pagine, che dovrebbero essere invece lasciate alla voce ufficiale dell'azienda. Ma che succede quando una fan page ha migliaia di fan? La pagina "ufficiale" può richiederne la chiusura e richiedere anche che d'imperio i fan di quella pagina le vengano annessi. Le opzioni dell'azienda sono riassunte in questo articolo: How Do You Treat a Fan Who Owns Your Facebook Page?
Mi pare corretto che l'azienda sia la voce ufficiale del prodotto. Sta a lei decidere come trattarlo e cosa comunicare. E ha un'occasione privilegiata per interagire con i suoi fan e capire di più circa ciascuno di loro. Sta all'azienda utilizzare la pagina nel modo corretto. Per i fan ci sono i gruppi.
Ma come si deve comportare una pagina ufficiale nei confronti di un'altra non ufficiale? O, ancora peggio, nei confronti di un'altra ufficiale ma di un altro Paese? Con un'annessione? E i fan come reagirebbero?

L'ho vissuta sulla mia pelle di recente. Senza fare nomi, poniamo caso che una grande azienda, che opera in molti Paesi diversi, abbia varie pagine prodotto ciascuna nella lingua del suo Paese. Le pagine si chiamano tutte allo stesso modo. Poniamo caso che una mattina la pagina americana, forte anche dei suoi più numerosi fan, chieda a Facebook di far chiudere le altre, comunque create dall'azienda.
Nel caso che ho avuto modo di seguire, la pagina italiana è stata chiusa (senza per altro che nessuno ne avesse ricevuto preventiva comunicazione) e i suoi fan inglobati in quella americana.
I fan italiani - decisamente attivi rispetto a quelli delle altre nazioni - quando non hanno più ritrovato la loro vecchia pagina e si sono trovati iscritti a una completamente diversa, multilingue, priva di tutti i contenuti e gli eventi che loro stesso hanno contribuito a creare, si sono sentiti venduti e hanno iniziato a disiscriversi. Fortunatamente, grazie a una grossa mobilitazione della multinazionale, la pagina italiana è stata ripristinata in pochi giorni. In caso contrario sarebbero stati buttati alle ortiche mesi di lavoro e cospicui investimenti.

Le colpe di Facebook:

Facebook ha un'enorme colpa: emette la sentenza senza prima compiere un processo. Questo è grave nel caso dei profili personali ma diventa gravissimo per le pagine commerciali, dal momento che ai disagi e alla perdita di tempo si somma un danno economico. E se quella pagina fosse stata oggetto di una campagna advertising tradizionale? Le campagne su Facebook sono state in automatico disattivate, ma le altre? Abbastanza discutibile la scelta poi di chiudere la pagina senza preavviso e senza fornire le reali motivazioni: viene solo inviato un messaggio generico, a chiusura avvenuta, in cui si parla di violazione dei termini per l'assenza di autorizzazione, razzismo, discriminazione di gruppi, violazione del copyright e via dicendo. Un messaggio preimpostato con tutte le cause possibili. Il motivo vero della punizione? Non è dato saperlo.
Non sapendo la motivazione è stato anche difficile capire che cosa fosse successo ai nostri fan. Fortunatamente ci siamo in breve accorti che tutte le altre pagine simili alla nostra erano sparite nella ricerca, mentre quella americana vantava un numero crescente di fan. E' bastato entrarvi per scoprire che tutti i fan italiani erano stati inglobati e si stavano già domandando cosa stesse succedendo.
Altro limite di Facebook il fatto di non avere un regolamento semplicemente consultabile. Non c'è una Wiki aggiornata e completa, neanche in lingua inglese. E' tutto frammentato. Le informazioni vanno ricercate in vari punti, passando per decine di link. Nel messaggio di avviso della cancellazione della pagina non viene neppure fornito un link per segnalare l'eventuale ingiustizia subita. C'è solo un riferimento ai termini del servizio. Bello sforzo!
Altro limite, il fatto di non rendere evidenti i moderatori o i creatori della pagina, bloccando di fatto qualsiasi comunicazione. Basterebbe anche un riferimento anonimo, come un "contatta l'amministratore".

Le colpe di chi annette.

Ce ne sono varie. Prima di segnalare una pagina come "non autorizzata", tanto più nel caso di multinazionali, sarebbe bene contattare gli amministratori (anche se non è facile) o contattare le sezioni nazionali prima di prendere decisioni simili. Soprattutto nel caso di pagine ricche come la nostra, con eventi in corso e decine di conversazioni attive quotidianamente.
Lo stesso Facebook consiglia di non accorpare i fan di altre pagine e - nel caso si decida di farlo - di comunicare la decisione in modo chiaro.
Quando abbiamo creato la pagina per il nostro prodotto, esistevano già dei gruppi e delle pagine non ufficiali. La nostra scelta, che anche alla luce di questa vicenda non posso che sostenere, era stata di segnalare l'esistenza della nuova pagina ufficiale e di lasciare ai singoli utenti qualsiasi decisione. Forti dei nostri contenuti esclusivi, che solo grazie all'appoggio della casa madre avremmo potuto ottenere, non avevamo grossi dubbi che alla fine gli utenti spontaneamente sarebbero diventati nostri fan. Così è stato. La pagina italiana è quella con il maggior numero di fan tra le pagine prodotto Europee. E' seconda solo a quella americana, che però si è fatta strada con tecniche non proprio corrette, come si è visto. Quanto a interazioni nella pagina, è al primo posto, a dimostrazione del fatto che non basta "fare numero". La qualità delle interazioni è una spinta notevole all'adesione di nuovi fan. Vi iscrivereste mai a una pagina che non viene aggiornata da mesi e in cui nessun utente scrive nulla? No, soprattutto se vi state iscrivendo per chiedere pareri o consigli.
Il problema vero in questo caso è legato all'utilizzo che i fan facevano della pagina. Non tutti utilizzano le pagine Facebook in questo modo. C'è chi si iscrive per segnalare il proprio interessamento al prodotto e poi si dimentica della pagina. Io personalmente mi sono iscritta a pagine che non ho nemmeno mai aperto, semplicemente perché le ho trovate tra i suggerimenti e mi piacevano. Ora, è ovvio che con un approccio di questo tipo, pagine nazionali o sovranazionali è lo stesso. Se è un modo di manifestare interessamento per il prodotto, basta che il prodotto sia lo stesso. Il problema vero che si è verificato in questo caso è che gli americani non hanno considerato l'uso che i fan facevano della pagina italiana. Per loro era un forum privilegiato. Non è difficile capirlo: si guardano gli eventi in corso, le discussioni, le foto postate dagli utenti. Bastava guardare la pagina per capire che non aveva senso chiuderla, al di là che fosse ufficiale: senza la possibilità di dialogare i fan si sarebbero disiscritti e sarebbero andati a cercarsi un nuovo spazio di discussione. Questa forse è la cosa più grave dell'intera operazione: far scappare i fan anziché farli sentire più uniti e numerosi. Un brutto errore di calcolo, dovuto a una leggerezza o a un approccio troppo unidirezionale a Facebook. In ogni caso da non prendere come esempio.

L'annessione di fan altrui non è così inspiegabile. Le aziende troppo spesso guardano i risultati solo in termini di numeri e così facendo non fanno altro che promuovere questi comportamenti. Ci sono aziende che nel creare una pagina si propongono obiettivi di marketing che non funzionano coi social network. Non puoi creare una pagina e dire "Voglio ottenere 15mila fan in 6 mesi o la chiudo" perché potrebbe essere un errore. Magari in 6 mesi ne raggiungi 3mila e poi nei 6 mesi successivi arrivi a quota 20mila. Bisogna creare relazioni. Con un amico non diresti mai "diventiamo amici in una settimana o lasciamo perdere". Perché dovresti farlo coi fan? Le aziende, nell'approcciarsi a Facebook, dovrebbero considerare l'importanza delle relazioni, più che il numero. Soprattutto se non si vendono beni di largo consumo, come saponette o deodoranti. Bisogna dare tempo al tempo e iniziare a valutare anche altri aspetti, come la qualità delle interazioni o la bontà dei commenti. Troppo difficile? Certo i numeri sono più semplici. 10.000 buono, 100 non buono. Ma sei quei 100 fossero degli opinion leader? Degli endorsers entusiasti? Bisogna avere rispetto e coccolare anche quei cento e aspettare che diventino diecimila.
Torniamo agli errori di comunicazione della pagina americana. I fan si sono sentiti presi in giro e "mercificati" e hanno iniziato a disiscriversi. Non un aggiornamento di status è stato fatto per spiegare cosa fosse successo. E questo ha solo peggiorato le cose. Tra l'altro solo loro avrebbero potuto avvisare tutti gli utenti. Un messaggio in bacheca postato da un fan può essere visto solo da coloro che accedono al wall, non viene pubblicato sulle bacheche dei fan. Comunicare con tutti gli italiani era quindi davvero difficile.
Prendiamolo come esempio di cosa non fare in Facebook. Se vi capitano delle pagine "non ufficiali" non decapitatele. Cercate di entrare in punta di piedi, anche se si parla del vostro prodotto.
Ovviamente tutto il mio ragionamento fa riferimento a pagine create da appassionati. Se vi capitano pagine che danneggiano l'immagine del vostro prodotto o che la sfruttano per loro guadagni, beh... In quel caso l'annessione dei fan è più che legittima. Ma mi raccomando di avvisarli di cosa è avvenuto, lasciandoli liberi di decidere o meno se attribuirvi la loro preferenza.
I fan non sono merce di scambio.

Ultimo consiglio sulla comunicazione nei social media.

Se si teme il dialogo e se si considerano gli utenti, che in Facebook si presentano con nome e cognome, con i loro amici e con le loro preferenze... insomma come persone, alla stregua di numeri in un report di marketing, forse è il caso di lasciare perdere i social media. Non è una visione romantica del social media. E' molto pratica. E' solo un approccio diverso alle metriche di misurazione dei risultati. I nuovi parametri non mancano. Solo che sono qualitativi e non quantitativi.

6 settembre 2009

Maneki neko, da statuetta a tatuaggio portafortuna

maneki neko
Approfitto della richiesta di un lettore per dedicare un post ai tatuaggi che hanno come protagonista il Maneki neko, il gatto portafortuna tradizionale giapponese.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, ecco una breve introduzione presa da Wikipedia:
Maneki neko (letteralmente "gatto che ti chiama"; anche noto come "gatto che dà il benvenuto", "gatto della fortuna", "gatto del denaro") è una diffusa scultura giapponese, spesso fatta di porcellana o ceramica, che si ritiene porti fortuna al proprietario. La scultura raffigura un gatto che chiama con un cenno di una zampa alzata, e di solito viene esposta in negozi, ristoranti, sale di pachinko e altre attività commerciali; è anche usata come amuleto shintoista. Se la zampa alzata è la destra dovrebbe attirare il denaro, la sinistra i clienti. Esistono Maneki neko di diversi colori, stili e gradi di ornamento. Oltre che come statuetta, Maneki neko si può trovare come portachiavi, salvadanai, deodoranti, e altri oggetti. La razza di gatto rappresentata dalla statuetta è generalmente un bobtail giapponese.

Il Maneki neko si può ritrovare in molte forme nei tatuaggi, non sempre fedeli all'iconografia tradizionale. Ironia gioca spesso un ruolo fondamentale.
Ecco una carellata delle più belle immagini. Cliccate sulla foto per averne un ingrandimento.
maneki_neko_tattoo

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Leggi gli altri post sui tatuaggi: troverai suggerimenti, spunti sui soggetti, consigli sulla salute e sui metodi per conservarli brillanti il più a lungo possibile.

5 settembre 2009

Come promuovere i brand con Twitter


Sempre dal Razorfish Social Media Report 2009, eccoi 10 step che le compagnie dovrebbero seguire per controllare i loro brand su Twitter e stabilire una presenza duratura:
  1. Prendi familiarità con Twitter facendo rassegne o seguendo le attività di brand di successo come Dell (dell.com/twitter), Zappos (twitter.com/zappos) e Comcast (twitter.com/comcastcares);
  2. Presta attenzione a cosa è già stato detto su Twitter a proposito del tuo brand;
  3. Identifica gli obiettivi iniziali dell’utilizzare Twitter, incluso che cosa potrebbe qualificarsi come “Twitter success story” per il tuo marchio;
  4. Esamina le attività competitive e le possibili considerazioni legali, specialmente se c’è già un account Twitter che usa il nome del tuo brand o di altre proprietà intellettuali associate a esso;
  5. Usa tutto ciò che hai scoperto per decidere un’appropriata strategia che potrebbe essere giusta per il tuo brand (dovrà comprendere ad esempio la costruzione di una community, il tono di voce e i metodi di engagement);
  6. Dal momento che Twitter è un’attività in corso – anche se la tua azienda sta solo ascoltando il social network – dedica una risorsa a monitorare le conversazioni e i competitors;
  7. Delinea un piano per i contenuti che condividerai, includendo contenuti inizialmente di grande valore per richiamare l’interesse degli utenti;
  8. Integra il tuo account Twitter con la tua esperienza nel marketing, includendolo come feed nel sito dell’azienda, includendone la url nelle comunicazioni e così via;
  9. Mantieni lo slancio seguendo chiunque ti segua, rispondendo alle domande e partecipando a conversazioni senza essere troppo marketing oriented;
  10. Fornisci valore attraverso i tuoi tweet continuando ad ascoltare, imparare e migliorando il tono delle tue attività.


I punti 5, 6 e 7 sono fondamentali. Un brand che crea un account Twitter senza rispondere ai post dei follower si trovano la reputazione macchiata dalla loro incapacità di usare Twitter nel modo migliore.
Dall’altro lato, i marchi che hanno utilizzato Twitter nel modo corretto, ne sono stati anche ripagati.
Per esempio, Dell ha usato uno dei suoi feed Twitter per promuovere dei discount e ha ottenuto oltre 2 milioni di dollari grazie ai suoi follower su Twitter.