24 luglio 2019

Allattamento al seno, le cose che nessuno (o quasi) ti dice per tempo

Alzi la mano chi è arrivata impreparata all’allattamento. Io sì, eppure avevo fatto un corso preparto che, rispetto ad altri, ha dedicato un sacco di tempo all’argomento. Comunque ho scoperto di essere in buona compagnia.

Purtroppo si parla tanto di gravidanza (spesso anche a sproposito) e poco di cosa accade dopo. Da un lato è facilmente spiegabile: le variabili in gioco sono troppe. Mentre le gravidanze più o meno procedono per tappe standard uguali per tutte – e se non lo sono, c’è un problema -, quello che avviene dopo il parto è molto meno prevedibile.

Me ne accorgo guardando le guide dedicate ai bimbi: in gravidanza puoi trovare mille siti che settimanalmente ti parlano dello sviluppo di tuoi figlio e dei sintomi che ti puoi attendere; dopo c’è poco e quel poco è così lontano dalla tua realtà che risulta quasi inutile.

L’altro problema è legato al fatto che le neomamme hanno pochissimo tempo e spesso poca voglia di confidarsi. Delle più ciarliere si sa tutto quello che accade prima, pochissimo di quello che accade dopo.

Quando si emerge dall’apnea il ricordo è annacquato. E’ questo uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire il blog: ricordare questi momenti e le montagne russe emotive che accompagnano la nascita del primo figlio.

Passiamo quindi a tutto quello che ho scoperto sull’allattamento solo all’atto pratico. 

  1. Fa male. Non per sempre ma fa male.
    Ai corsi preparto non ho mai sentito dire che attaccare il bimbo nei primi tempi è doloroso. Forse non si vuole scoraggiare le puerpere, ma è un errore perché il dolore c’è lo stesso e senza rassicurazioni una donna può pensare di avere dei problemi e scoraggiarsi. Perché l’intensità è variabile, ma fa male, in alcuni casi malissimo. Proverete dolore spremendo il seno, proverete dolore col tiralatte, proverete dolore quando vostro figlio con una fame vorace sembrerà sul punto di staccarvi il capezzolo. L’immagine della madre in allattamento con le unghie conficcate sulla poltrona non è necessariamente un’iperbole. Però pensate che è solo per i primi giorni, massimo la prima settimana, e poi non sentirete più niente. C’è anche chi dice sia piacevole. Abbiate quindi pazienza, fa bene a voi – sì, nonostante il dolore aiuterà il vostro corpo a riprendersi prima dalla gravidanza – e il latte materno è sicuramente la scelta migliore per un neonato. Se il dolore non passa, c’è un problema di attaccamento sbagliato che andrà corretto il prima possibile. Ci sono consultori e la Leache League a supportarvi.
  2. Ma è arancione! No è giallo! Ora è blu!
    Il latte materno varia col passare del tempo. Il più nutriente è quello che viene chiamato colostro, che è una sorta di prelatte (o superlatte se guardiamo alle sue caratteristiche) che viene prodotto appena dopo la nascita del bambino (e spesso fa la sua comparsa durante la gravidanza). Il colostro si trasforma via via in latte, quello di transizione è giallastro, per poi diventare sempre più bianco, trasparente, con riflessi bluastri (all’inizio potreste pensare di avere allucinazioni da stanchezza ma no, è proprio blu).
    Ho anche scoperto che il latte può cambiare colorazione in caso di malanni del bambino, perché la madre dà razioni extra di leucociti (fonte).
  3. Allenate i capezzoli
    Ai corsi preparto si parla tanto di pavimento pelvico e non una parola sui capezzoli. Perché basta dire “controllate che escano correttamente, altrimenti è il caso di allenarli per facilitare un buon attacco”. In vendita esistono dei formacapezzoli (dal nome sembra uno strumento di tortura, in realtà sono simili alle coppette raccogli-latte con i fori più piccoli) da utilizzare durante la gravidanza: a tantissime donne infatti l’aumento repentino del seno comporta introflessione del capezzolo. Potete tirarlo oppure mettervi durante la notte queste “formine” che faranno il lavoro sporco. A voi la scelta, l’importante è che sappiate che pensandoci prima vi risparmierete una scocciatura dopo (visto che ce ne saranno già abbastanza).
  4. The winter is coming
    I primi tempi di assestamento ormonale avrete delle vampate di calore alternate a momenti in cui sentirete freddo. Ma è un freddo che – almeno io – non avevo mai provato nella mia vita. E’ un freddo che arriva dall’interno, come se nelle vostre viscere al posto del sangue avesse iniziato a scorrere frozen yogurt. Non ve ne libererete con coperte o altro, anzi, si rischia solo di addormentarsi e svegliarsi in una pozza di sudore quando poi arriverà la vampata di calore. Quando sta per arrivare preparatevi una tisana bollente. Non passerà del tutto ma vi sentirete meno Regina di ghiaccio.
  5. Influenza? No, montata lattea
    L’arrivo della montata lattea può essere annunciato da sintomi gradevoli quanto un’influenza invernale. Sul petto possono fare la loro comparsa delle placche dure, le ascelle potrebbero gonfiarsi, vi sentirete completamente fuori fase. Ma non misuratevi la febbre mettendo il termometro sotto l’ascella: il vostro seno ha raggiunto temperature da piastra per toast e finireste per prendervi una tachipirina senza motivo.
  6. Oddio un nodulo!
    A un certo punto vi capiterà tra le mani un nodulo. E vi metterete a calcolare, in preda all’ansia, quando avete fatto l’ultima visita ecografica. Senza trascurare i sintomi, è probabile che non sia nulla di grave. Keep calm and… have a hot shower! Anche se verrebbe spontaneo farlo, non interrompete l’allattamento al seno: nessuno meglio di vostro figlio potrà sgorgarvelo.
  7. Normale, mucca o fontana?
    Ci sono donne che hanno poco latte, donne che ne hanno il giusto e donne che ne hanno troppo. E quando è troppo, è uno stress per la madre – che si trova costretta a fare più cambi d’abito di una soubrette sul palco di Sanremo – ma anche per il bimbo: per lui, soprattutto i primi tempi, sarà come farsi sparare in gola con una bottiglia seltzer. Se notate che il vostro seno zampilla o sgocciola eccessivamente e che il bimbo non è soddisfatto delle poppate, si agita, si stacca, urla e tossisce, non trascurate il problema. Alcune mamme arrivano addirittura a fraintendere la situazione (angosciate dal continuo “ma avrai abbastanza latte?” di donne che a loro volta se lo sono sentite chiedere) e a dare integrazioni di latte artificiale che il piccolo prende senza tante tragedie. Ci sono passata: nonostante sapessi di avere latte in abbondanza (al punto da mettere ko il tiralatte elettrico), di fronte ai pianti di mio figlio avevo comunque il dubbio che non fosse sufficiente. Perché tutti parlano della carenza di latte, non dell’eccesso. Per escludere questo problema, quando sentite la “scarica” che vi avverte della fuoriuscita del latte, verifica il flusso. Se zampilla, lo farà anche nella gola del pupo, causandogli ingestione d’aria, latte che gli va di traverso e così via. Io ho risolto con due semplici accorgimenti: allattamento in posizione totalmente sdraiata e sessione di tiralatte prima di farlo attaccare nel caso in cui il seno sia particolarmente gonfio.
  8. Maledette coppette d’argento
    Non servono a nulla se non a tenere lontano il capezzolo dolorante dai vestiti (quindi si può ottenere lo stesso risultato con una coppetta in silicone, una conchiglia o stando a seno nudo); di solito hanno una placcatura troppo blanda che si toglie dopo poco, sono rigide (a me si conficcavano nelle costole stando sdraiata) e se si perde molto latte peggiorano la situazione perché lasciano il capezzolo sempre umido. Ci sarà sempre qualcuno pronto a consigliarvele dicendo “mi faceva male, con quelle è passato tutto in un giorno e non ho avuto ragadi”. Bene, a me stava venendo una ragade ed è passata in una notte non mettendoci nulla. Se non ve le regala la nonna, risparmiate questi soldi per regalarvi un piccolo sfizio.
  9. Lo stress ruba il latte
    Se il bimbo si nutre di latte materno ma non riesce ad attaccarsi al seno, può capitare che abbia fame in un momento non previsto (più difficile col latte artificiale che è meno digeribile e sempre uguale a se stesso) o che il latte messo da parte non sia utilizzabile e che quindi dobbiate ricorrere al tiralatte in tutta velocità.
    Immaginate la scena. Sono le 2 di notte, avete appena nutrito il pargolo, il seno è svuotato. Stupido cercare di riempire il biberon in quel momento, col tiralatte ci mettereste un’ora. Decidete quindi di mettete la sveglia alle 4.30 per darvi il tempo di mangiare qualcosa e preparare il biberon delle 5. Peccato che il pupo abbia una serie di rigurgiti e si svegli alle 3.30 affamato come non mai. Vi svegliate di soprassalto, avete sete, mal di testa. Capite il problema e vi armate di tiralatte. Ma cercare di riempire un biberon mentre un neonato famelico urla come se lo stessero dilaniando è un’esperienza stressante (essì che – lavorativamente parlando – non mi sono fatta mancare le emozioni). E più lui urla, più voi vi agitate, più il latte si fa attendere.
    In quei casi non sentitevi la madre peggiore del mondo se fate l’unica cosa sensata: prendetevi una pausa. Andate in un’altra stanza, bevete qualcosa, mangiate qualcosa, ascoltate musica o guardate la tv. Spegnete il baby monitor mentre lo fate, tanto sapete che sta urlando dalla fame. Svuotate la mente. Tirate il latte mentre vi rilassate. In 5 minuti di relax avrete fatto quello che non sareste riuscite a fare in mezz’ora e potrete dare il biberon a vostro figlio con tutta la positività che gli serve.
  10. Il vostro latte potrebbe – occasionalmente – fargli schifo
    Mi riallaccio al punto precedente con una precisazione che è stata anche una scoperta. Vi chiederete: ma perché non lasciavi delle dosi pronte, in modo da non doverti trovare col pupo urlante? La risposta è lipasi. Gli esperti o i produttori di formaggi sanno bene di che si tratta, io l’ho scoperto dopo vari rifiuti da parte di mio figlio. Si tratta di un enzima pre-gastrico che si trova normalmente nel latte materno e che ha la funzione di aiutare il neonato o lattante a digerire i grassi. Tutto molto bello, se non fosse che quando lavora troppo a lungo dà al latte un caratteristico odore rancido. Sembra andato a male. Però il latte è commestibile, ha ancora tutte le sue proprietà e si può dare tranquillamente al bambino. Se accetta di assumerlo, ovviamente. E secondo voi mio figlio lo accettava?
    Un altro problema è legato ad alcuni cibi che possono dare un gusto “particolare” al latte. Cavoletti, broccoli, aglio, spezie… Anche in quel caso si potrebbe verificare un rifiuto. Mio figlio aveva l’abitudine di fare una ciucciata dal biberon e poi staccarsi. L’assaporava guardandoti, tipo sommelier, e poi decideva se riaprire la bocca e farsi mettere in bocca la tettarella oppure serrare le labbra.
  11. Ingorghi e dintorni
    Anche una volta che l’allattamento è avviato, possono capitare dolorosi problemi. L’ingorgo l’ho sperimentato dopo la prima vaccinazione, quando mio figlio ha avuto (stranamente) poco appetito il seno si era riempito eccessivamente. Durante le 4 docce e relative spremiture e sessioni di tiralatte ho pensato che non mi sarei più lamentata dei risvegli notturni a causa della maglietta zuppa di latte. Ho anche avuto per una pressione sbagliata delle dita sul seno, un dotto infiammato. Anche in quel caso dolore e malessere. La volta successiva ho avuto una bolla di latte sul capezzolo e dotto otturato: quando mio figlio si attaccava era come essere infilzati da uno spillone. Nonostante il dolore si deve continuare ad attaccare il neonato. Ringrazio l’ostetrica per avermelo detto o avrei fatto la fine di mia madre, a cui per un ingorgo trascurato venne la mastite.
  12. Fate ciò che vi fa star in pace con voi stesse
    Mio figlio si è riuscito ad attaccare a 50 giorni suonati. Stavo disperando di farcela. Posso dire con assoluta certezza che tirando il latte facevo il doppio della fatica e ci mettevo il doppio del tempo. Dubito avrei potuto far fronte al continuo “attacca e stacca” del mio assetato pargolo in periodo estivo (a 20 gradi il latte tirato può stare per ore a temperatura ambiente, a 30°C non regge da una poppata alla successiva). Ho avuto la fortuna di poter insistere, il supporto di un’ostetrica, la pazienza di mio marito. Non avevo altri figli. Altrimenti sarebbe stato impossibile. Quindi capisco che non ce la si possa fare. Capisco che tanti secondi figli non arrivino allo svezzamento col latte materno.
    Però rassicuratevi, l’ho visto con mio figlio: quando non poteva attaccarsi al seno usava il biberon per nutrirsi e il ciuccio come consolazione; quando si è attaccato io facevo da biberon e da ciuccio. Ma il nostro rapporto non è cambiato: io ero sempre la persona più importante per lui perché ero quella che lo accudiva giorno e notte. Il latte materno è una risorsa preziosissima, molto utile alla sua salute e per questo non deve essere subito accantonata per comodità o mancanza di supporto. Ma non si deve neppure arrivare agli estremi opposti, con una mamma deperita e distrutta dalla stanchezza.
    Cercate quindi di vivere con la massima serenità questi primi mesi di vita di vostro figlio: una mamma serena e felice di passare il tempo con lui è il più grande regalo che possiate fargli. E farvi.

Devo aggiungere in conclusione un disclaimer che quanto riportato non ha valenza scientifica e neppure pretesa di valere per tutte? No, vero?

20 luglio 2019

Chi ha paura del latte materno?

Oggi su un gruppo di riciclo e fai da te, una donna chiedeva come non far ingiallire il latte materno per utilizzarlo nella produzione di gioielli. Sono rimasta stupita dal tenore dei commenti. Tantissimi utenti (quasi tutte donne) hanno chiosato con un “che schifo”. A fare schifo non era il gioiello in sé, ma proprio il latte materno. Una commentatrice ha raccontato di averlo assaggiato ed è stata oggetto di scherno e insulti. L'impressione è che ormai siamo così abituati a considerarci solo produttori di rifiuti biologici, che ci siamo dimenticati che siamo in grado di produrre anche un prezioso alimento. A conferma, in un commento si chiedeva se si intendeva conservare anche la prima “cacchina” per ricordo. Un alimento messo sullo stesso piano delle feci.

Hanno cancellato la discussione prima che potessi chiedere all’utente che aveva fatto una simile domanda se beveva il latte di mucca e se lo metteva sullo stesso piano del letame. Perché, al netto dei processi di pastorizzazione, sempre di latte parliamo. Anzi, essendo specie-specifico, dovremmo essere più disgustati da quello di capra o di pecora (che poi, quanto puzzano le mammelle di una pecora? Io che sono cresciuta in campagna, la risposta la conosco).

Quindi no, il latte materno – quello che alimenta un cucciolo umano per i primi 6 mesi come da linee guida OMS – non è disgustoso. Può fare schifo se te lo mettono nel caffè o nelle torte a tua insaputa, ma di base è un alimento, anzi uno dei più preziosi in assoluto. Se qualcuno vuole trasformarlo in ciondoli, saranno un po’ fatti suoi. Certo, se poi dovesse regalarmene uno, come minimo gli toglierei il saluto. Ma questa è un’altra questione.

12 luglio 2019

Breastfeeding, un’app gratuita che aiuta le neomamme

Doverosa premessa

Capita che nascano bimbi molto piccoli e capita che non riescano ad attaccarsi al seno o a succhiare correttamente. Se in passato la soluzione scontata era il latte artificiale, oggi fortunatamente non è più così. Non sono una fanatica dell’allattamento al seno – se mi avessero chiesto qualche anno fa come avrei alimentato mio figlio avrei detto “bah, vediamo”, del resto io sono cresciuta a latte Nestlé senza grossi problemi – ma quando ho visto quello scricciolo nato quasi prematuramente ho pensato che avesse bisogno di tutto l’aiuto possibile e non ho avuto neppure per un secondo il dubbio di voler tentare il tutto e per tutto per dargli un latte più digeribile e che avrebbe supportato le sue difese immunitarie.

Modalità tiralatte

Ho iniziato a usare il tiralatte il secondo giorno in ospedale – il mitico “Symphony” Medela – e mi avevano intimato di fare 7 estrazioni nell’arco delle 24 ore da 15 minuti per seno (“fallo o ti torna il ciclo!”) e di dare dei tempi a mio figlio che – all’inizio – non era minimamente interessato a nutrirsi: mi stava sul petto, si accarezzava il viso coi miei capelli ed era appagato. Mai visto amore più grande. E mai avuta tanta pressione addosso.

Dovevo ricordargli di mangiare almeno ogni 2 ore di giorno e soprattutto controllare che assumesse un’adeguata quantità di cibo quotidianamente, perché la bilirubina aveva raggiunto valori preoccupanti.  Trovando estremamente scomodi i calendar dello smartphone e avendo dopo 3 giorni riempito fogli e fogli di appunti e dosi, ho cercato aiuto nella tecnologia.

Ho avuto la fortuna di trovare al primo colpo Breastfeeding, un’app gratuita che a dispetto del nome fa molto di più di un mero supporto all’allattamento al seno. Tanto che la uso ancora adesso che mio figlio in neanche 4 mesi è passato dalla taglia prematuri (che gli stava anche comoda) alla 6-9 mesi.

Non tutti sono ferventi raccoglitori di dati e non tutti metterebbero su grafico qualsiasi cosa per studiarne l’andamento. Lo capisco. Se invece avete un approccio molto “data-driven” (usando un termine che va molto di moda negli ultimi anni), la mia esperienza potrebbe esservi utile.

Breastfeeding, cosa offre e come funziona

L’app è perfetta sia per chi allatta al seno che per chi utilizza il tiralatte. In entrambi i casi è possibile selezionare il seno utilizzato e a colpi di “tap” sullo schermo dello smartphone avviare e chiudere la sessione: a quel punto si avrà l’indicazione automatica della durata e nel caso del “tiraggio” si potrà mettere l’indicazione dei millilitri estratti.

Esempio di poppata in corso. Al tap sul pulsante “D” si è segnalato l’inizio dell’alimentazione dal seno destro.

Di default ogni 3 ore una notifica ricorderà che è tempo di allattare o tirare il latte. Il valore è personalizzabile, per cui con la crescita si possono portare a 4 o i primissimi tempi ridurre a 2.

 

Durante le sessioni l’app continua a lavorare in background senza impattare le performance dello smartphone – quindi potete anche guardare dei video di Youtube mentre tirate il latte – e non perde il dato neppure se il cellulare si spegne. Se la sessione supera l’ora perché ci si dimentica di spegnerla, ne tiene comunque traccia (così da poterla correggere in un secondo momento). Funziona anche senza rete, aspetto che ho decisamente apprezzato perché quando sono vicina al pargolo metto lo smartphone in modalità aereo.

Oltre agli aspetti relativi all’allattamento è possibile indicare tutti i cambi pannolino (con relativo contenuto) – molto importante per avere conferma che il frugoletto mangi abbastanza senza fare pesate ogni giorno -, le sessioni di sonno – con modalità identica a quelle dell’allattamento, ovvero segnalando inizio e fine – la crescita (con altezza e peso, manca la circonferenza cranica), i pasti solidi per quando viene avviato lo svezzamento e i commenti.

Statistiche


Grafici automatici

Quello però che mi ha fatto amare quest’app e mi ha portato a usarla sempre, sono le statistiche, tanto più importanti quanto più sono complete. Soprattutto con il latte tirato, si hanno sempre sott’occhio i millilitri assunti giornalmente e l’ammontare dei pasti, nonché il numero dei pannolini sporchi. In pratica mi trovavo a fare meno fatica di prima (perché non dovevo più calcolare i tempi, mettermi notifiche, appuntarmi dosi su foglietti volanti) e in più ad avere un’enorme mole di dati facilmente consultabili grazie alle statistiche e ai grafici.

Inserendo i dati delle pesate settimanali, ad esempio, potevo controllare facilmente l’andamento del grafico a linee e sapevo, ben prima che me lo dicesse la pediatra, che tutto stava procedendo secondo il suo percentile di crescita (in realtà ben oltre il suo percentile, perché avrebbe dovuto esserci un calo che di fatto non si è verificato).

Perché mi ha salvato dal delirio

Tutto carino, ma perché ne parlo in modo così entusiastico? Perché in un certo senso le voglio bene, dal momento che mi ha dato supporto in un periodo di delirio intenso. Nel primi tempi non dormivo praticamente mai, mio figlio soffriva di reflusso, rischiava di non crescere adeguatamente (lui che era già minuscolo) e grazie a quest’app riuscivo a restare in contatto col tempo “oggettivo”, quello delle persone “normali”, quello della mia vita passata, prima che il delirio dovuto ad assenza di sonno, sessioni continue di tiralatte e pianti inconsolabili mi portasse in una dimensione parallela dove le giornate di 24 ore erano rimpiazzate da un susseguirsi di minuti che a seconda del momento potevano dilatarsi per ore o volare come secondi. Se avessi dovuto rappresentare la mia settimana non sarebbe stata composta da “lunedì, martedì, mercoledì…” ma da “feriale, weekend”.

Nei momenti in cui crollavo addormentata e mio marito era invece a casa, prendeva l’app dove tenevo traccia di tutto e si muoveva in totale autonomia nella gestione del piccolo col latte che lasciavo sempre di scorta in frigo. Al mio risveglio, se lui stava dormendo, prendevo l’app e controllavo le sue comunicazioni. Per un paio di mesi è stato uno strumento al servizio del lavoro di squadra. In questo l’app può essere un valido aiuto anche per chi somministra il latte artificiale.

Un uso intelligente dei grafici permette di capire meglio le esigenze di proprio figlio, a colpo d’occhio. Dal grafico dell’alimentazione ad esempio mi è chiaro anche a distanza di tempo quali sono stati i momenti degli scatti di crescita e ricercando i commenti relativi a quei periodi posso avere conferma che alcuni comportamenti insoliti siano invece fisiologici (anche perché a distanza di tempo di ricordi dei periodi di carenza di sonno me ne sono rimasti pochi…). Usando il monitoraggio del sonno ho scoperto che mio figlio ne dormiva 13 in un periodo in cui ne avrebbe dovute dormire più di 20. Il tutto quasi senza sforzo.

App Breastfeeding - grafici
App Breastfeeding – Grafico dell’andamento delle alimentazioni.

Anche per pianificare le attività può essere molto utile. Non sono una sostenitrice del famoso metodo EASY (che forse potrà funzionare per chi usa il latte artificiale, ma di certo non con il latte materno) ma credo che una routine sia utile al bambino e anche alla madre per riappropriarsi della sua vita e dei suoi spazi. Prendiamo ad esempio le poppate: io odio farle in pubblico, sarebbe meglio potessi sdraiarmi per ridurre l’intensità del flusso e quindi cerco per quanto possibile di organizzare gli appuntamenti per essere nella tranquillità domestica quando mio figlio scalpita per la fame. Ma in che orari prevederle?

Grazie a questa visualizzazione ho notato che spontaneamente mio figlio sta poppando sempre negli stessi orari e posso instaurare una routine che tiene conto dei suoi ritmi naturali.

soprattutto in caso di figli con reflusso e che quindi richiedono molto impegno perché non possono stare sdraiati, c’è un aspetto non trascurabile legato all’autostima: mio marito usciva al mattino, ero a casa da sola tutto il giorno e quando rientrava la sera mi sembrava di non aver fatto nulla. I piatti erano ancora lì da lavare, la casa un disastro, a fatica ero riuscita a fare la lavatrice per il pupo svomitazzante. Mi sentivo un’inetta. Poi guardavo l’app e scoprivo che avevo tirato latte per 3 ore e dato il biberon per un’altra ora e mezza, di aver cambiato 8 pannolini, cambiato 3 pigiamini e fatto altrettanti bagnetti lampo, di averlo tenuto in braccio per contrastare il reflusso per altre 3 ore… ero stata brava a riuscire a farmi una doccia e a pranzare.

E per una neomamma al primo figlio, abbattuta per l’aumento di peso, la carenza di sonno, i dolori post-parto e lo scombussolamento ormonale, anche una pacca sulla spalla virtuale può fare la differenza.

2 luglio 2019

Minacce e ricatti 3.0

Ho appena ricevuto questa email che non perdo occasione a pubblicare.

Un ottimo esempio di alcune pratiche illegali praticate online. E un promemoria importante: piccole cifre su grandi numeri fruttano fortune. Il truffatore tipico di Internet chiede cifre abbastanza grandi da guadagnarci ma abbastanza piccole da essere saldate per evitare problemi.

Ovviamente i miei soldi non li hanno visti, ma il dominio è ancora bello attivo. Non abboccate!

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1 luglio 2019

Allattamento e sindrome della balia… a saperlo prima!

E niente, l’aggiornamento giornaliero di questo blog incontra un nuovo ostacolo: la tendinite.

Sono soggetta, è vero, ma proprio per questo se qualcuno mi avesse informata ad avvio allattamento di una sindrome soprannominata “della balia” magari ci avrei prestato attenzione. Anche perché per settimane e settimane ho sollevato male il pupo e nessuno mi ha detto “guarda che appena arriva a 5 chili ti si spezza il polso se lo usi come leva”. Ho retto fino a 5,6, ma il risultato è stato lo stesso.

Negli ultimi giorni ho sottovalutato quel simpatico dolore e ora posso buttare nel cestino dell’umido la mano sinistra.

Comunicazione di servizio alle donne in allattamento: se iniziate a provare dolore al pollice e al polso non trascuratelo, munitevi subito di tutore: è la sindrome di De Quervain (c’è un facile test di autodiagnostica che consiste nel chiudere il pollice all’interno della mano e di ruotare il polso verso l’esterno. Se vi fa male… tombola!).

E’ una grossa scocciatura perché limita fortemente l’uso della mano (che mai come in questo periodo vi serve), fa un male cane e durante l’allattamento vi sconsigliano perfino l’uso del Lasonil. Potete mettere le pomate di arnica, che nel mio caso portano lo stesso beneficio di una spugnatura con acqua fredda.

Oltre al tutore controllate di sollevare correttamente vostro figlio: non dovete mai sentire il peso sul polso, che deve solo servire per indirizzare il peso stesso sul braccio.