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19 settembre 2009

Facebook, quando i fan vengono mercificati


Facebook da tempo si è aperto alle aziende. Le pagine sono state create proprio per promuovere marchi e prodotti, con un dichiarato intento commerciale. A tale scopo, i fan sono invitati a NON creare pagine, che dovrebbero essere invece lasciate alla voce ufficiale dell'azienda. Ma che succede quando una fan page ha migliaia di fan? La pagina "ufficiale" può richiederne la chiusura e richiedere anche che d'imperio i fan di quella pagina le vengano annessi. Le opzioni dell'azienda sono riassunte in questo articolo: How Do You Treat a Fan Who Owns Your Facebook Page?
Mi pare corretto che l'azienda sia la voce ufficiale del prodotto. Sta a lei decidere come trattarlo e cosa comunicare. E ha un'occasione privilegiata per interagire con i suoi fan e capire di più circa ciascuno di loro. Sta all'azienda utilizzare la pagina nel modo corretto. Per i fan ci sono i gruppi.
Ma come si deve comportare una pagina ufficiale nei confronti di un'altra non ufficiale? O, ancora peggio, nei confronti di un'altra ufficiale ma di un altro Paese? Con un'annessione? E i fan come reagirebbero?

L'ho vissuta sulla mia pelle di recente. Senza fare nomi, poniamo caso che una grande azienda, che opera in molti Paesi diversi, abbia varie pagine prodotto ciascuna nella lingua del suo Paese. Le pagine si chiamano tutte allo stesso modo. Poniamo caso che una mattina la pagina americana, forte anche dei suoi più numerosi fan, chieda a Facebook di far chiudere le altre, comunque create dall'azienda.
Nel caso che ho avuto modo di seguire, la pagina italiana è stata chiusa (senza per altro che nessuno ne avesse ricevuto preventiva comunicazione) e i suoi fan inglobati in quella americana.
I fan italiani - decisamente attivi rispetto a quelli delle altre nazioni - quando non hanno più ritrovato la loro vecchia pagina e si sono trovati iscritti a una completamente diversa, multilingue, priva di tutti i contenuti e gli eventi che loro stesso hanno contribuito a creare, si sono sentiti venduti e hanno iniziato a disiscriversi. Fortunatamente, grazie a una grossa mobilitazione della multinazionale, la pagina italiana è stata ripristinata in pochi giorni. In caso contrario sarebbero stati buttati alle ortiche mesi di lavoro e cospicui investimenti.

Le colpe di Facebook:

Facebook ha un'enorme colpa: emette la sentenza senza prima compiere un processo. Questo è grave nel caso dei profili personali ma diventa gravissimo per le pagine commerciali, dal momento che ai disagi e alla perdita di tempo si somma un danno economico. E se quella pagina fosse stata oggetto di una campagna advertising tradizionale? Le campagne su Facebook sono state in automatico disattivate, ma le altre? Abbastanza discutibile la scelta poi di chiudere la pagina senza preavviso e senza fornire le reali motivazioni: viene solo inviato un messaggio generico, a chiusura avvenuta, in cui si parla di violazione dei termini per l'assenza di autorizzazione, razzismo, discriminazione di gruppi, violazione del copyright e via dicendo. Un messaggio preimpostato con tutte le cause possibili. Il motivo vero della punizione? Non è dato saperlo.
Non sapendo la motivazione è stato anche difficile capire che cosa fosse successo ai nostri fan. Fortunatamente ci siamo in breve accorti che tutte le altre pagine simili alla nostra erano sparite nella ricerca, mentre quella americana vantava un numero crescente di fan. E' bastato entrarvi per scoprire che tutti i fan italiani erano stati inglobati e si stavano già domandando cosa stesse succedendo.
Altro limite di Facebook il fatto di non avere un regolamento semplicemente consultabile. Non c'è una Wiki aggiornata e completa, neanche in lingua inglese. E' tutto frammentato. Le informazioni vanno ricercate in vari punti, passando per decine di link. Nel messaggio di avviso della cancellazione della pagina non viene neppure fornito un link per segnalare l'eventuale ingiustizia subita. C'è solo un riferimento ai termini del servizio. Bello sforzo!
Altro limite, il fatto di non rendere evidenti i moderatori o i creatori della pagina, bloccando di fatto qualsiasi comunicazione. Basterebbe anche un riferimento anonimo, come un "contatta l'amministratore".

Le colpe di chi annette.

Ce ne sono varie. Prima di segnalare una pagina come "non autorizzata", tanto più nel caso di multinazionali, sarebbe bene contattare gli amministratori (anche se non è facile) o contattare le sezioni nazionali prima di prendere decisioni simili. Soprattutto nel caso di pagine ricche come la nostra, con eventi in corso e decine di conversazioni attive quotidianamente.
Lo stesso Facebook consiglia di non accorpare i fan di altre pagine e - nel caso si decida di farlo - di comunicare la decisione in modo chiaro.
Quando abbiamo creato la pagina per il nostro prodotto, esistevano già dei gruppi e delle pagine non ufficiali. La nostra scelta, che anche alla luce di questa vicenda non posso che sostenere, era stata di segnalare l'esistenza della nuova pagina ufficiale e di lasciare ai singoli utenti qualsiasi decisione. Forti dei nostri contenuti esclusivi, che solo grazie all'appoggio della casa madre avremmo potuto ottenere, non avevamo grossi dubbi che alla fine gli utenti spontaneamente sarebbero diventati nostri fan. Così è stato. La pagina italiana è quella con il maggior numero di fan tra le pagine prodotto Europee. E' seconda solo a quella americana, che però si è fatta strada con tecniche non proprio corrette, come si è visto. Quanto a interazioni nella pagina, è al primo posto, a dimostrazione del fatto che non basta "fare numero". La qualità delle interazioni è una spinta notevole all'adesione di nuovi fan. Vi iscrivereste mai a una pagina che non viene aggiornata da mesi e in cui nessun utente scrive nulla? No, soprattutto se vi state iscrivendo per chiedere pareri o consigli.
Il problema vero in questo caso è legato all'utilizzo che i fan facevano della pagina. Non tutti utilizzano le pagine Facebook in questo modo. C'è chi si iscrive per segnalare il proprio interessamento al prodotto e poi si dimentica della pagina. Io personalmente mi sono iscritta a pagine che non ho nemmeno mai aperto, semplicemente perché le ho trovate tra i suggerimenti e mi piacevano. Ora, è ovvio che con un approccio di questo tipo, pagine nazionali o sovranazionali è lo stesso. Se è un modo di manifestare interessamento per il prodotto, basta che il prodotto sia lo stesso. Il problema vero che si è verificato in questo caso è che gli americani non hanno considerato l'uso che i fan facevano della pagina italiana. Per loro era un forum privilegiato. Non è difficile capirlo: si guardano gli eventi in corso, le discussioni, le foto postate dagli utenti. Bastava guardare la pagina per capire che non aveva senso chiuderla, al di là che fosse ufficiale: senza la possibilità di dialogare i fan si sarebbero disiscritti e sarebbero andati a cercarsi un nuovo spazio di discussione. Questa forse è la cosa più grave dell'intera operazione: far scappare i fan anziché farli sentire più uniti e numerosi. Un brutto errore di calcolo, dovuto a una leggerezza o a un approccio troppo unidirezionale a Facebook. In ogni caso da non prendere come esempio.

L'annessione di fan altrui non è così inspiegabile. Le aziende troppo spesso guardano i risultati solo in termini di numeri e così facendo non fanno altro che promuovere questi comportamenti. Ci sono aziende che nel creare una pagina si propongono obiettivi di marketing che non funzionano coi social network. Non puoi creare una pagina e dire "Voglio ottenere 15mila fan in 6 mesi o la chiudo" perché potrebbe essere un errore. Magari in 6 mesi ne raggiungi 3mila e poi nei 6 mesi successivi arrivi a quota 20mila. Bisogna creare relazioni. Con un amico non diresti mai "diventiamo amici in una settimana o lasciamo perdere". Perché dovresti farlo coi fan? Le aziende, nell'approcciarsi a Facebook, dovrebbero considerare l'importanza delle relazioni, più che il numero. Soprattutto se non si vendono beni di largo consumo, come saponette o deodoranti. Bisogna dare tempo al tempo e iniziare a valutare anche altri aspetti, come la qualità delle interazioni o la bontà dei commenti. Troppo difficile? Certo i numeri sono più semplici. 10.000 buono, 100 non buono. Ma sei quei 100 fossero degli opinion leader? Degli endorsers entusiasti? Bisogna avere rispetto e coccolare anche quei cento e aspettare che diventino diecimila.
Torniamo agli errori di comunicazione della pagina americana. I fan si sono sentiti presi in giro e "mercificati" e hanno iniziato a disiscriversi. Non un aggiornamento di status è stato fatto per spiegare cosa fosse successo. E questo ha solo peggiorato le cose. Tra l'altro solo loro avrebbero potuto avvisare tutti gli utenti. Un messaggio in bacheca postato da un fan può essere visto solo da coloro che accedono al wall, non viene pubblicato sulle bacheche dei fan. Comunicare con tutti gli italiani era quindi davvero difficile.
Prendiamolo come esempio di cosa non fare in Facebook. Se vi capitano delle pagine "non ufficiali" non decapitatele. Cercate di entrare in punta di piedi, anche se si parla del vostro prodotto.
Ovviamente tutto il mio ragionamento fa riferimento a pagine create da appassionati. Se vi capitano pagine che danneggiano l'immagine del vostro prodotto o che la sfruttano per loro guadagni, beh... In quel caso l'annessione dei fan è più che legittima. Ma mi raccomando di avvisarli di cosa è avvenuto, lasciandoli liberi di decidere o meno se attribuirvi la loro preferenza.
I fan non sono merce di scambio.

Ultimo consiglio sulla comunicazione nei social media.

Se si teme il dialogo e se si considerano gli utenti, che in Facebook si presentano con nome e cognome, con i loro amici e con le loro preferenze... insomma come persone, alla stregua di numeri in un report di marketing, forse è il caso di lasciare perdere i social media. Non è una visione romantica del social media. E' molto pratica. E' solo un approccio diverso alle metriche di misurazione dei risultati. I nuovi parametri non mancano. Solo che sono qualitativi e non quantitativi.

5 settembre 2009

Come promuovere i brand con Twitter


Sempre dal Razorfish Social Media Report 2009, eccoi 10 step che le compagnie dovrebbero seguire per controllare i loro brand su Twitter e stabilire una presenza duratura:
  1. Prendi familiarità con Twitter facendo rassegne o seguendo le attività di brand di successo come Dell (dell.com/twitter), Zappos (twitter.com/zappos) e Comcast (twitter.com/comcastcares);
  2. Presta attenzione a cosa è già stato detto su Twitter a proposito del tuo brand;
  3. Identifica gli obiettivi iniziali dell’utilizzare Twitter, incluso che cosa potrebbe qualificarsi come “Twitter success story” per il tuo marchio;
  4. Esamina le attività competitive e le possibili considerazioni legali, specialmente se c’è già un account Twitter che usa il nome del tuo brand o di altre proprietà intellettuali associate a esso;
  5. Usa tutto ciò che hai scoperto per decidere un’appropriata strategia che potrebbe essere giusta per il tuo brand (dovrà comprendere ad esempio la costruzione di una community, il tono di voce e i metodi di engagement);
  6. Dal momento che Twitter è un’attività in corso – anche se la tua azienda sta solo ascoltando il social network – dedica una risorsa a monitorare le conversazioni e i competitors;
  7. Delinea un piano per i contenuti che condividerai, includendo contenuti inizialmente di grande valore per richiamare l’interesse degli utenti;
  8. Integra il tuo account Twitter con la tua esperienza nel marketing, includendolo come feed nel sito dell’azienda, includendone la url nelle comunicazioni e così via;
  9. Mantieni lo slancio seguendo chiunque ti segua, rispondendo alle domande e partecipando a conversazioni senza essere troppo marketing oriented;
  10. Fornisci valore attraverso i tuoi tweet continuando ad ascoltare, imparare e migliorando il tono delle tue attività.


I punti 5, 6 e 7 sono fondamentali. Un brand che crea un account Twitter senza rispondere ai post dei follower si trovano la reputazione macchiata dalla loro incapacità di usare Twitter nel modo migliore.
Dall’altro lato, i marchi che hanno utilizzato Twitter nel modo corretto, ne sono stati anche ripagati.
Per esempio, Dell ha usato uno dei suoi feed Twitter per promuovere dei discount e ha ottenuto oltre 2 milioni di dollari grazie ai suoi follower su Twitter.

29 agosto 2009

Come i social media cambiano l'approccio ai brand: il parere di Razorfish

La comunicazione aziendale sta cambiando. Da tempo le aziende vengono invitate a smettere di pensare la comunicazione come un flusso unidirezionale. Ora, con la diffusione di internet e di nuovi modi di approcciarsi ai brand da parte del pubblico, l'invito è quasi diventato un imperativo. I clienti vogliono dialogare con le aziende. O meglio ancora, con altri clienti. Peccato che molte aziende non accettino questa rivoluzione. Molte gnorano il web, altre lo consirano una grana.
Eppure è uno strumento utilissimo per i "consumatori".
Quanti, come me, prima di ogni acquisto o quasi controllano che se ne dice in Rete e - soprattutto - controllano i prezzi per sapere se quello praticato dal negoziante è conveniente?
Gestisco online una pagina Facebook per un'azienda automobilistica. Almeno una decina di utenti hanno dichiarato di essersi convinti dell'acquisto dopo aver letto i commenti entusiasti degli altri fan. Gli altri acquirenti lo hanno convinto a spendere migliaia di euro. Una buona recensione del pubblico vale molto di più di tanta pubblicità. La pubblicità, oggi come oggi, è utilissima a far conoscere i prodotti e a rafforzare la brand image. Ma il processo di acquisto fa sempre più spesso tappa in internet.

A sostenere l'importanza dell'ascolto e della partecipazione nei Social Media per migliorare le immagini dei brand troviamo la Razorfish, che anche quest'anno ha presentato il suo “The Razorfish Social Influence Marketing Report”. Il report è un invito rivolto alle aziende perché smettano di inviare solo messaggi pubblicitari, ma inizino a “fare” qualcosa con gli utenti: a interagire, a dialogare, a creare relazioni.

Partiamo dal principio.
What is Social Influence Marketing?
Social Influence Marketing (SIM) is about employing social media and social influencers to achieve the marketing and business needs of an organization.


Per indicazioni sul panel e sulle metodologie di analisi ed elaborazione dei dati, vi rimando al documento originale.
Mi limiterò a evidenziare alcuni aspetti particolarmente interessanti emersi dal report.
In generale il report può essere sintetizzato in questa frase:
traditional top-down branding will become increasingly impotent as social media grows


che si traduce, per i brand, nella necessità di:
  • socializzare con i consumatori, ovvero prendere parte alle conversazioni, utilizzando una molteplicità di canali, ed effettuare con loro scambi di valore significativo;
  • sviluppare una credibile “voce sociale”, che sia più coinvolgente, personale, umile, autentica e partecipativa di quella delle pubblicità tradizionali;
  • fornire un ritorno in termini di emozioni ai consumatori: i social media sono un ottimo strumento per sviluppare relazioni simmetriche, dalle quali sia il brand che i consumatori potranno ottenere i maggiori risultati.


Riassumiamo alcuni punti salienti:
  • ben il 71% degli utenti condivide raccomandazioni in rete. Di questo 71%, il 2% lo fa giornalmente, l'8% ogni pochi giorni, il 19% ogni poche settimane, il 42% ogni pochi mesi.
  • Nel marketing funnel, il ruolo delle varie fonti ha un peso diverso a seconda che ci si trovi nella fase di “awareness”, “consideration” e “action”. Se, ad esempio, i blogger indipendenti possono avere un'elevata influenza nel 59% dei casi in fase di conoscenza del brand, la loro efficacia si riduce al 29% in fase di acquisto.
  • Il 29% degli intervistati ha dichiarato di avere legami coi brand su Facebook, percentuale che saliva al 36% nel caso degli utilizzatori attivi dei social network. I fan delle pagine non si limita a creare affiliazioni e a dimenticarsene: il 57% visita le pagine ogni pochi mesi o settimane, il 27% ogni pochi giorni o anche giornalmente.
  • Le pagine brandizzate o i corporate blog che hanno il maggior appeal per il pubblico appartengono alle categorie musica e intrattenimento (molto apprezzate dal 21% degli intervistati), elettronica e tecnologia (16%), vendita al dettaglio e abbigliamento (10%), viaggi (9%), casa e giardino (8%), auto (8%), servizi finanziari (5%).


Seguirà un approfondimento sui 10 step che le compagnie devono seguire per controllare i loro brand su Twitter e stabilire una presenza duratura.

25 agosto 2009

Cosa rende un'applicazione virale? Il caso di Pet Society - 2

Continuo con la mia riflessione sui motivi del successo di Pet Society, iniziata nel mio post precedente: Cosa rende un'applicazione virale? Il caso di Pet Society.

Iniziamo vedendo cosa rende un’applicazione virale.
Partiamo coi consigli di Search Engine Land.

  1. Target your audience
    Anche se Facebook è piena di teenager, il social network è in realtà aperto a persone di tutte le età. Prima di costruire un’applicazione è necessario determinare a quale gruppo demografico ci si sta rivolgendo e creare qualcosa che lo possa catturare.

  2. Think viral
    Il modo migliore per creare un’applicazione di successo su Facebook non è di spendere migliaia di dollari in marketing, ma piuttosto di realizzare qualcosa di virale. Se crei qualcosa che altri vogliano inviare ai loro amici su Facebook, allora avrai un’applicazione che sarà usata da milioni di persone. Un buon esempio è un’applicazione chiamata Zombie, dove il tuo obiettivo è di mordere quanti più amici possibili per trasformarli in Zombie.

  3. Provide value
    Chi usa la tua applicazione, deve ottenere qualcosa da quell’esperienza. Che si tratti di semplice intrattenimento o di imparare qualcosa non importa. Quando costruisci un’applicazione, non pensare solo a come ti beneficerà, ma pensa anche al valore che puoi fornire all’utente.

  4. Simplicity is the ultimate sophistication
    Un errore fatale per alcune applicazioni Facebook è di essere troppo complicate. Se richiede troppo sforzo per poter essere utilizzata pienamente, non aspettarti che molte persone usino la tua applicazione. Molte applicazioni (v. ILike) funzionano perché sono semplici.

  5. Keep an objective in mind
    Puoi anche creare un’applicazione che coinvolga milioni di utenti, ma se non ti porta benefici, a che serve? Puoi usarla per far conoscere il tuo brand, come Zombie per Rock You, o per vendere prodotti. In ogni caso tieni ben presente il tuo obiettivo quando crei l’applicazione.

All’interno dell’applicazione ci sono poi altri meccanismi che favoriscono la viralità, come i news feed o l’obbligo di invitare degli amici (da usare con attenzione). Altri consigli li trovate su www.allfacebook.com

Gli aggiornamenti che compaiono sulla propria bacheca - e di conseguenza su quella degli amici - possono servire nel stimolare gli osservatori a installare l’applicazione oppure a far ritornare gli utilizzatori nell’applicazione.

Vediamo alcuni esempi. Cominciamo con Farmville, che permette all’utente di mandare degli aggiornamenti particolarmente efficaci.

Nel primo caso, l’utente segnala che c’è un animale smarrito e invita gli amici a dargli una casa. Questo aggiornamento porta ottimi risultati perché:
  • gli animali sono fonte di reddito nel gioco;
  • l’animale indicato non può essere acquistato, quindi è particolarmente ambito;
  • il giocatore deve necessariamente entrare nell’applicazione per scoprire se ha ottenuto l’animale.
Il secondo aggiornamento è invece meno interessante per coloro che sono già giocatori ma può spingere i non utilizzatori a installare per curiosità l’applicazione. Stesso principio seguono anche gli aggiornamenti di passaggio di livello, che mirano anche a scatenare la competizione fra gli utenti.

Su Pet Society, invece, gli aggiornamenti vengono sfruttati per far conoscere le novità e spingere gli amici a giocare o iscriversi. In questo caso, l’aggiornamento fa sapere che l’amico ha preso un pesce pescando (ho scoperto così che era stata introdotta la pesca) e il tipo di pesce (utile perché, salvo spulciare nei blog a tema, non è possibile sapere quanti e quali pesci sono disponibili nel laghetto finché non sono stati catturati tutti).
Insomma, buoni esempi di trucchi per garantire la viralità.
Vi segnalo anche questo articolo sui punti cardine per rendere un’applicazione virale. Ne ho riportato un estratto anche in tumblr.

Tirando le somme, cosa ha decretato la fortuna di Pet Society?
Ecco la mia sintesi:
  • buon meccanismo di gioco alla base, che lascia spazio a innovazioni e upgrade (mondo espandibile sia in numero di utenti che in possibilità di personalizzazione);
  • capacità di motivare l’utente a richiedere l’aiuto e la partecipazione degli amici (particolarmente evidente in Country Story, altro gioco della PlayFish, dove senza amici è possibile giocare ugualmente, ma non si completano alcune quest particolarmente redditizie);
  • la possibilità di lasciare il gioco “aperto” pur dedicandosi ad altre attività, ovvero l’impegno non gravoso e attento richiesto all’utilizzatore (perfetto per i tempi morti);
  • l’incentivo a far procedere il giocatore per step, allo scopo di farlo tornare potenzialmente all’infinito;
  • il far parlare dell’applicazione e creare una comunità di appassionati che promuovono e incentivano l’uso dell’applicazione stessa (anche tra di loro);
  • aggiungere elementi disponibili solo a pagamento, per aumentare la redditività dell’applicazione.

Oltre a questo, un dettaglio mai irrilevante: serve un ottimo team e tante risorse. Un’applicazione come Pet Society, con un gigantesco database, richiede server potenti e manutenzioni continue. Senza contare gli sviluppatori, i grafici e i copy impegnati nell’ideazione e nella realizzazione degli oggetti che ogni settimana vengono aggiunti. L'investimento economico non è trascurabile.
Ovviamente anche un’applicazione semplice potrà diffondersi a macchia d’olio e portare grandi risultati con un investimento ben più contenuto, forse solo temporale (soprattutto se si sfruttano i server di Facebook). Ma il successo di applicazioni come Pet Society è legato alla sua elevata espandibilità e personalizzazione. E queste si possono ottenere solo investendo notevoli risorse.

13 agosto 2009

Il caso del Seat 29E


Vi faccio ripercorrere i miei stessi passi. Guardate il corto che ho inserito in apertura. E' una breve animazione che è stata recentemente trasmessa sul canale digitale di QOOB. Visto? Bene, immagino che ora, come me, vi stiate domandando se abbia un fondamento di verità.

Sappiate che non è una leggenda metropolitana. Negli Stati Uniti la geniale lettera scritta dal passeggero esasperato dal viaggio davanti alla toilet dopo aver sborsato 400 dollari per il biglietto aereo, ha fatto storia. E' diventata un vero e proprio cult. In molti hanno dibattuto sul fatto che, negli aerei, "chi prima arriva, meglio alloggia" (o siede, in questo caso). In molti hanno riso e si sono riconosciuti nel povero viaggiatore.
C'è anche chi ha provveduto a far circolare le scansioni del testo originale.

Sull'enciclopedico Snopes.com (che i cacciatori di bufale ben conoscono) è riportata la lettera per intero e una spiegazione della vicenda. Ecco la storia del Seat 29E secondo Snopes.com.
Immagino lo stato d'animo di chi l'ha scritta. Mi figuro un passeggero annoiato, con carta e penna in mano, pronto a scrivere fino al momento in cui si dovrà alzare per scendere dall'aereo. La lettera è quasi trascinata, un po' come si trascina, tra fastidi e disagi, un viaggio davanti ai bagni.

Tra una lamentela e una battuta di spirito, questo sarcastico passeggero ha colto nel segno: valeva la pena, per guadagnare un posto a sedere, condannare un cliente a un viaggio così imbarazzante?

Ho trovato davvero contraddittoria la reazione della Continental Airlines. Chiede scusa al viaggiatore ma non toglie il posto a sedere. Ha senso ammettere l'errore (ovvero scusarsi) ma non porvi rimedio?

Su Snopes.com scopriamo qualcosa in più rispetto a quanto ci viene detto dal corto.
Contattata dalla redazione, la compagnia aerea ha confermato di aver ricevuto la lettera (ribadiamolo, è tutto vero, il corto non è frutto di una sceneggiatura ed è questa autenticità che ha trasformato una lettera di lamentele in un cult degno di una trasposizione filmica) ma non ha voluto parlarne, definendo le informazioni "riservate". Sempre Snopes.com ricorda che l'editorialista del Chicago Tribune Eric Zorn il 22 luglio 2005 ha avuto una conferma dell'autenticità della lettera da un portavoce della Continental:
"La lettera non è totalmente precisa e usa il sarcasmo per far apparire il posto peggiore di come è in realtà. Ma non vogliamo deridere la preoccupazione di questo cliente - il posto 29D (n.d.r. ma non era il 29E?) non è l'ideale. La maggior parte dei voli non sono tutti sold out e normalmente possiamo far spostare i clienti che preferiscono non sedere in questo posto. Comunque, il volo del 21 dicembre era completamente pieno e noi ci siamo scusati con il cliente che ci ha inviato le lamentele. Se ci fosse stata una veloce e facile soluzione a questo problema, l'avremmo risolto all'istante. Comunque, la configurazione dell'aircraft è fissa e c'è poco che possiamo fare a questo punto per far sparire il problema".

In realtà basterebbe non assegnare mai quel posto, o almeno, al momento della prenotazione, avvisare il possibile viaggiatore. Questo costerebbe meno di rifare nuovo l'aereo.

Non credo che la compagnia aerea abbia gestito a dovere la critica.
Oggi, mentre ero in metropolitana, stavo leggendo "[mini]marketing - 91 discutibili tesi per un marketing diverso" di Gianluca Diegoli. E' stato scritto un anno fa, ma se le aziende continuano a vedere la comunicazione come qualcosa di accessorio, da fare se e quando c'è budget e comunque sempre su binari certi e sicuri, resterà a lungo un'opera di preveggenza.
Cito la tesi 72:
La vostra reputazione non dipende da quanti sbagli fate. Ma da che tipo di sbagli fate, e da come rispondete a chi ve lo fa notare.


La risposta della Continental Airlines non è stata delle migliori. La fama del posto 29E ci ricorda cosa non deve fare una buona comunicazione di crisi: ignorare l'evento scatenante presentandolo come "proprietary" e sminuirlo qualora lo si prenda in considerazione.

25 marzo 2009

Ikea, arriva l'auto del futuro



Una notizia curiosa appena pescata da Repubblica.it. Ikea fa il suo debutto nel campo delle automobili.


Ecco l'auto dell'Ikea
Una low cost da pubblicità

Ikea entra nel mondo dell'auto low cost. La notizia, clamorosa, sta già facendo il giro del mondo perché l'annuncio è ufficiale e perché, per l'occasione, è stato anche aperto un sito web all'indirizzo http://www.roulez-leko.com con tanto di conto alla rovescia per il debutto della macchina, per ora avvolta da un telo. Il problema è uno solo: la data del debutto è fissata in pratica per il primo aprile... Ma non si tratta di uno scherzo perché la macchina esiste davvero, anche se non sarà in vendita: l'idea è tutta della filiale francese dell'Ikea che per la prossima campagna pubblicitaria si appresta a lanciare proprio una vettura, simboleggiando così in quest'auto “del futuro” tutti i contenuti dei mobili Ikea.

Il Tempo aggiunge dell'altro.
...si tratta di un modello "più a buon prezzo ed ecologico di altri, che permette una drastica riduzione dei consumi, costruito in modo adattabile a seconda delle merci trasportate e che dipende da una cooperazione con altri"
.
In molti stanno pensando a un bel pesce d'aprile. C'è chi scrive "IKEA Concept Car A Bad Swedish Joke?" e ipotizza che ognuno se la debba montare a casa: l'idea di un'auto venduta in comodi pacchi che ti assembli con la brugola sempre in dotazione francamente stuzzica la mia fantasia.
Probabile che si tratti di un fake. Una vettura ecologica, economica e che richiede la collaborazione degli altri mi ricorda qualcosa...

Massì, l'auto ecologissima dei Flinstones (notate i piedini degli occupanti) che forse ha ispirato la realizzazione di Human Car, la prima auto elettrica che si carica pedalando.
Però non mi spiego l'adattabilità "a seconda delle merci trasportate".
Mah, restiamo in attesa.
Intanto un risultato Ikea l'ha già ottenuto. Tutti oggi parlano della loro iniziativa e io - come chissà quanti altri - ho bookmarcato il sito col conto-alla-rovescia per scoprire di che si tratta.
Non so come sarà il risultato tecnologico di questa manovra. Dal punto di vista del marketing e della comunicazione è un case study. L'Ikea, del resto, non ci ha mai deluso (anche se in Italia osa molto meno che all'estero)...


Aggiornamento al 31 marzo, ore 16.20. L'auto è stata svelata. Sotto il telo non c'era nulla. Un'auto come quella descritta non esiste (in effetti l'adattabilità ai pacchi da trasportare mi lasciava perplessa). Però esiste il car pool. Chissà come andrà... La manovra di lancio era davvero originale.

18 marzo 2009

Facebook, strumenti di promozione...

In questi giorni per motivi di lavoro sto studiando i sistemi di promozione attuabili in Facebook. Purtroppo a fronte di enormi potenzialità, gli strumenti spesso e volentieri sono abbastanza poveri. Si sta cercando di ovviare, ma non sempre il risultato è quello sperato. La creazione di pagine è ancora troppo macchinosa. Del resto Facebook è nato per mettere in contatto persone fisiche, ovvero profili, e l'apertura del network a persone giuridiche (chiamiamole così) è un po' tirata per i capelli. Da pochissimo poi le pagine sono diventate ancora più simili ai profili, ma la gestione non è ancora semplicissima. Rispetto ad altri social network trovo francamente Facebook troppo poco user friendly (per quanto non sia una newbie del web faccio ancora fatica a inserire un'applicazione in pagina, immagino come se la cavino gli utenti meno esperti).
Iniziamo questo viaggio nel potere di promozione (o di adorazione) di Facebook con l'articolo "Facebook, l’Italia nella top ten con Nutella, ovetto Kinder e pizza" pubblicato su Panorama.it.
Quasi tre milioni di persone adorano la crema di nocciole piemontese, resa celebre anche dal film Bianca di Nanni Moretti che si consola con un contenitore di dimensioni surreali. Altrettanti sono “supporter” della pizza. E 2,5 milioni di persone sono fan dell’ovetto.

Per la cronaca, i fan internazionali della Nutella sono oggi 3.069.103 e quelli di Kinder Surprise 2.594.856. In Italia l'ovetto Kinder ha 51.334 fan.
Passiamo ora a un interessante articolo [in inglese] sull'uso di Facebook per promuovere la propria azienda. Una premessa è d'obbligo: se avete scheletri nell'armadio, se i vostri prodotti sono di qualità così infima che il tasso di soddisfazione dei vostri clienti rasenta lo zero, Facebook non fa per voi. Altrimenti rischiate di creare nella vostra pagina le stesse lamentele che si possono leggere su Ciao.it. Facebook va letta come un'opportunità di promozione ma anche di dialogo. Altrimenti è meglio rinunciare subito.
Per promuovere la vostra pagina Facebook vi mette a disposizione un interessante strumento: il biglietto da visita (lo chiamano anche "distintivo" o "Find us on Facebook badge". Il risultato è sempre lo stesso, un loghetto da mettere sul proprio sito per rimandare e far conoscere la propria pagina Facebook. Di sicuro lo avrete visto decine di volte...




Concludo con un articolo molto interessante sulle applicazioni, uno dei tasti più dolenti di Facebook (nel senso che non sono adeguatamente conosciute e sfruttate): "Le 20 migliori applicazioni per Facebook". Da Sweet RSS Feed Reader a Mon CV (passando per giochini perditempo vari) qualche cosa di utile viene fuori...