27 luglio 2009

Come far durare più a lungo un tatuaggio

Di recente in pausa pranzo si è discusso di tatuaggi. Una collega raccontava di non aver il coraggio di ripassare il tatuaggio che ha sul piede perché si ricorda ancora a distanza di anni il male che le aveva causato la realizzazione.
Il tatuaggio che ho sul polso ha più o meno la stessa età del suo (viaggiamo sul decennio) ma è molto più nitido e definito.
Poniamo caso che il tatuatore faccia uno splendido lavoro, utilizzando i migliori materiali nel massimo rispetto delle norme igieniche. Poi che succede? Succede che da quel momento in poi la sopravvivenza del vostro tattoo dipende solo da voi.

Ho provato a fare una ricerca in internet (con lingua italiana) e sono rimasta stupita di quanta poca letteratura ci sia sull'argomento. In tutti i link che ho aperto non si parlava della "manutenzione" del tatuaggio, se non nel periodo immediatamente successivo alla realizzazione. I soliti consigli che chiunque abbia fatto un tatuaggio sa molto bene: tenerlo pulito, idratato, non staccare le croste, non fargli prendere sole per i primi mesi, ecc. ecc.
E dopo i primi mesi che si fa? Ho trasferito la mia ricerca su Google.com e ancora una volta sono rimasta stupita dalla scarsezza di risultati.
In compenso ho scovato una valanga di immagini curiose...


Dopo lunghe ricerche, ho trovato quello che cercavo. Mi sono quindi decisa a scrivere un post sull'argomento, sperando possa essere utile a tutti coloro che vogliono mantenere vivido il più a lungo possibile il loro tatuaggio. Un post "di servizio" ( chiamiamolo così) sulle tecniche "antinvecchiamento" per tatuaggi.

Consiglio n° 1: scegliete con cura il punto in cui farlo
Col passare degli anni il corpo si modifica: cellulite, cuscinetti, smagliature, rughe... è l'ineluttabile scorrere del tempo. Un tatuaggio collocato su polsi, piedi, caviglie, polpacci, e - in misura minore - bicipiti e schiena rischia meno di mutare forma e aspetto. Lo stesso non si può dire di pancia, stomaco, glutei o cosce...

Consiglio n° 2: tanta idratazione
Il tatuaggio è parte integrante del nostro corpo, a differenza di un piercing, e col tempo cambia forma e aspetto: si dilata, si restringe, si raggrinzisce e arriva a sembrare spento e "stanco". Col passare degli anni la pelle infatti diventa più secca, con inevitabili effetti sul tatuaggio. Nulla di grave, basta applicare regolarmente crema idratante.

Consiglio n° 3: mantenere il corpo tonico e in salute
Sembra ridicolo un consiglio simile: la cura del proprio corpo dovrebbe essere buona norma anche per coloro che non hanno un tatuaggio.
Diciamo però che se avete preso o perso peso o tono muscolare, è scontato che il vostro tatuaggio abbia cambiato aspetto. Alimentazione regolare, riposo ed esercizio fisico manterranno in forma corpo e - con lui - tatuaggio.

Consiglio n° 4: evitate il sole
I raggi UV possono danneggiare la pigmentazione del tatuaggio. Questo è particolarmente evidente nelle due settimane appena successive alla realizzazione di un nuovo tatuaggio, ma il rischio si mantiene per tutta la sua vita.
In generale comunque la pelle dovrebbe essere protetta dal sole. Ma nel caso del tatuaggio il fattore protettivo dovrebbe essere almeno pari a 30. Ancor meglio degli indumenti di stoffa leggera. Ma tra un tatuaggio da ripassare e una vita in maglietta al mare, forse è preferibile la prima opzione...

Consiglio n° 5: mettete in conto di farlo ripassare prima o poi...
Quasi tutti i tatuaggi perdono un po' del brillante colore iniziale. Non è evitabile, dal momento che a renderlo leggermente meno marcato è lo stesso sistema immunitario che combatte il materiale estraneo immesso nel corpo (ovvero l'inchiostro). Ringraziatelo, se il vostro sistema immunitario non si comportasse in questo modo, avreste dei problemi ben più grossi di un semplice tatuaggio scolorito.


In conclusione, potrebbe essere necessario fare visita ogni tot anni al vostro tatuatore. Ma visto che a volte non si tratta propriamente di una visita di piacere, cercate di prendervi cura del vostro tatuaggio...

25 luglio 2009

Domini, vita dura col Decreto Sviluppo

Ieri è stato pubblicato su Repubblica un articolo dal titolo "Attenti a registrare un sito web, è carcere se vìola un marchio".
Il giornalista concludeva dicendo:
"In rete ci si ricorda ancora della vicenda di Luca Armani, che registrò il dominio Armani.it per il proprio timbrificio e che poi un giudice costrinse a cedere al più famoso Giorgio Armani. Forse, con questa nuova legge, le cose sarebbero andate peggio per Luca".

Faccio una verifica dei marchi Armani. Wikipedia non è la Bibbia, ma almeno è un punto di partenza. Non ne trovo nessuno che si chiami solo "Armani".
Vado sul sito giorgioarmani.com, alla sezione Legal e leggo:
In particolare, le denominazioni ed i marchi "Giorgio Armani", "Emporio Armani", "Armani Jeans", l’aquila stilizzata con le lettere GA e tutti gli altri marchi che includono la denominazione "Armani", registrati o non, sono e rimarranno di esclusiva proprietà del Gruppo Armani e ne sono espressamente proibite, per qualsiasi ragione o scopo, la riproduzione, la distribuzione, la pubblicazione, la trasmissione, la modifica in tutto od in parte, nonchè la vendita.

Il bold l'ho aggiunto io.
Mi pare di capire che qualsiasi marchio, registrato o meno, che contiene la parola "Amani" diventi automaticamente di proprietà del Gruppo Armani.
Da quanto è scritto parrebbe che io possa registrare il mio nome, ad esempio "Claudia Armani", per poi scoprire che non appartiene a me ma a Giorgio Armani.Un po' come l'asso che piglia tutto.

Torniamo alla questione attuale, dei domini.
Mi sono domandata perchè, secondo il giornalista, a Luca Armani sarebbe andata peggio alla luce del decreto Sviluppo (e stiamo dando l'appellativo di "Sviluppo" a un decreto che metterebbe nei guai un onesto lavoratore).
Punto Informatico lo spiega molto bene:
L'intero meccanismo dei marchi e dei nomi di dominio è destinato ad entrare in crisi a seguito dell'approvazione di questa norma.
Chi registrerà un marchio qualsiasi sarà esposto di per sé ad una possibile responsabilità penale.
Va ricordato infatti che l'ufficio italiano brevetti e marchi non opera alcuna ricerca obbligatoria sui marchi preesistenti e che i marchi possono essere oltreché identici anche simili (la stessa cosa avviene peraltro anche per la registrazione dei nomi a dominio), questo significa che nessuno si azzarderà più a registrare un marchio se non dopo costose ricerche che verranno effettuate (nella latitanza delle istituzioni pubbliche) da soggetti privati e non pubblici, con rilevanti possibilità di errore.
.
Per saperne di più leggete l'articolo Il Decreto Sviluppo si abbatte sui domini.
Sempre nel decreto Sviluppo c'è una norma contro i software piratati in azienda.
D’ora in avanti una società potrà essere condannata - oltre che in sede civile con le sanzioni del risarcimento del danno e dell’inibitoria - anche in sede penale amministrativa, con sanzioni fino a circa 775.000 euro, e interdittive: per esempio con la sospensione dell’autorizzazione o il divieto di pubblicizzare i prodotti fino a un anno.

Questa semplice misura, senza in parallelo altre azioni volte a sostenere i software opensurce o sostegni per l'acquisto di software proprietari avanzati, mi sembra un bel modo per fare regredire la già ridotta informatizzazione delle aziende...

Giappone, tra utopie animate e realtà

Sto guardando un video-collage dei migliori cosplay made in Japan. E' sempre divertente vedere fin dove possono spingersi i fan più organizzati. Una dimostrazione che gli anime/manga sono oggetti di culto, quasi una religione, non semplici passatempi per ragazzi. Mi domando se per le strade giapponesi sfilino spesso persone mascherate da Sailor Moon o da Lady Oscar. Del resto, dopo le ragazzine così kawai da causare alla loro apparizione conati a tutti obiettori del rosa shocking, le divine gothic lolita e le multiformi Harajuku Girls, ci si può aspettare tranquillamente che un giapponese vestito da Hello Spank cammini senza dare nell'occhio tra le strade di Tokyo. Dopo la visita del team di Jackass (con l'imbarazzante Party Boy a mostrare natiche a destra e a manca) penso che sia difficile stupire gli abitanti della metropoli.
A Milano l'altro giorno un gruppetto di gothic lolite ha "sfilato" in via Torino. Devo dire che davano nell'occhio. In Giappone non credo. Nell'immagine che ho io del Giappone (e che spero di conservarmi a lungo) donne in abiti tradizionali e ragazzine vestite come una cameriera inglese dell'Ottocento convivono pacificamente, magari sorridendo sotto i baffi (o con la vezzosa manina davanti alla bocca) per l'altrui abbigliamento.
In realtà non mancano occasioni perché la realtà mi rovini questa patinata immagine del Giappone, elaborata in anni e anni di rimbecillimenti da anime anni Settanta e Ottanta (qualcuno è pronto a dirmi che nelle periferia di Tokyo non c'è una pensione di due piani in legno come la Maison Ikkoku?).
La vita nelle città giapponesi dev'essere abbastanza caotica e... affollata. E' risaputo che le case sono estremamente piccole, i prezzi dei metri quadri nelle città raggiungono cifre astronomiche e quindi gli spazi vitali si riducono. Dev'essere difficile essere claustrofobico in Giappone. Io ad esempio non riuscirei mai a passare la notte in una tiny room, i sarcofagi non sono il posto che prediligo per riposare...

Sono così indaffarati che mandano bebé di riso ai parenti, in attesa di trovare il tempo per portargli il neonato vero in visita.
Non parliamo poi della metropolitana. Se esistesse una scala di misura dell'affollamento (fino al limite dell'umana tolleranza, ovvero appena prima della perdita di coscienza per asfissia, esasperazione o fumenti da sagra dell'ascella imbarazzata), il livello ultimo dovrebbe chiamarsi "Tokyo, ora di punta". Basta fare una breve ricerca immagini per capire che nelle metropolitane giapponesi si diventa per forza di cose "intimi".
E qui arriviamo a un nuovo problema, quello delle molestie. Già negli anni '20 erano stati istituiti dei treni "rosa": gli "Hanadensha", o "Flower trains", riservati alle sole donne, per eliminare il problema degli sguardi insistenti e sfacciati degli uomini. I tempi però sono cambiati e gli uomini sembrano non accontentarsi più di guardare e non toccare. Negli anni '80 i flower trains hanno fatto la loro ricomparsa, questa volta per limitare i palpeggiamenti facilitati dal sovraffollamento. Coloro che approfittano della folla per molestare le donne sui mezzi pubblici vengono chiamati "Chikan". Nel 2007 (spero che l'anno sia corretto) dei 1.897 casi di crimine commessi nella metropolitana di Tokyo, 1.886 erano denunce per molestie sessuali su carrozze affollate. Questo è il video da cui ho tratto questi dati (e ho dato un nuovo significato alla parola "affollamento").

Ma perché mi sono trovata a scrivere un post sul Giappone? Come dicevo all'inizio, stavo riflettendo sui cosplay e sugli abiti-costumi tanto cari ad alcune ragazzine nipponiche. Mi sono ritrovata a leggere un titolo davvero curioso (e datato):
Giapponesi travestiti da distributori automatici
. Mi sono subito immaginata ragazzine kawaii che abbandonano le gonnelline puffose e colorate per vestirsi da macchina distributrice di caramelle o di ovetti Hello Kitty. Invece no. E' una difesa contro le aggressioni (non così frequenti in Giappone ma sufficienti a generare ansia crescente tra le ragazze più emancipate).



L'inventrice si chiama Aya Tsukioka (nella foto mentre si "trasforma") e ha detto di essersi ispirata alla tecnica mimetica dei ninja. In effetti le donne vengono molestate perché vengono notate. Alle donne che girano sole di notte viene spesso consigliato di "camuffarsi", rendersi il meno femminili possibile (anche sputando a tempo perso sul pavimento) e soprattutto essere anonime. Trasformarsi in un distributore di bibite è solo il passo successivo (la Coca Cola pagherà lo spazio pubblicitario?).
E per le mamme giapponesi che temono per l'incolumità dei pargoli? C'è la versione "buca delle lettere", che però copre ben poco...

La versione per bambini dev'essere ispirata al mimetismo detto "del gatto domestico", che nasconde la testa, lasciando completamente esposto corpo e coda, ma si crede ugualmente "invisibile". La soluzione "baby" mi sembra davvero discutibile: una cassetta della posta munita di gambe, jeans e scarpe da ginnastica farebbe fermare anche il passante più distratto...
Queste e altre chicche (come l'improponibile borsa-tombino) le trovate in questa gallery del New York Times dal titolo Urban Camouflage.

Il problema delle aggressioni ha di nuovo intaccato la mia utopia Giappone, facendolo decadere a Paese reale, coi suoi disservizi, i suoi debiti, i suoi problemi di convivenza e i suoi crimini.
Però, a pensarci bene, anche le ombre di questa nazione hanno un retrogusto dolce e inaspettato: a chi potrebbe venire in mente, se non a un giapponese, di travestirsi da distributore automatico per sfuggire a un molestatore?

23 luglio 2009

Il diavolo della Tasmania a rischio estinzione


Sapevo già da qualche anno che il diavolo della Tasmania è stato incluso nell'elenco delle specie a rischio di estinzione. Sapevo anche che la causa era la scarsa varietà genetica (da 4 secoli si sono estinti sul territorio australiano e rimangono solo in Tasmania), alla base di una forma di tumore trasmissibile tra gli animali che si manifesta con neoplasie al volto che portano alla morte per denutrizione.
Fortunatamente il governo si è mosso per la tutela di questi animali e ha già messo in quarantena due gruppi per evitare che la malattia possa decimare tutta la popolazione. Questo mi rassicura un po' sulla conservazione della specie ma mi rattrista che tanti diavoli stiano morendo in un modo così straziante.
Non è tutto. Ieri per caso ho scoperto su Wikipedia che anche in questo caso la causa di tutto potrebbe essere l'uomo. Tanto per cambiare.
Mentre sono in corso le ricerche per sequenziare il genoma del diavolo[18], una scoperta sconcertante è stata intanto l'individuazione di alcuni degli agenti carcinogenici in conseguenza di studi ordinati dal governo tasmaniano. I dati, che il quotidiano "The Australian" ha obbligato il governo a fornire in base alla locale legge sulla libertà di informazione, rivelerebbero che si è accertata la presenza, negli individui infetti, di potenti elementi chimici utilizzati in genere per prevenire gli incendi. Si tratta in particolare di componenti tossici come due eteri difenili polibrominati (PBDE): l'esabromobifenile (BB153) ed il decabromodifenile (BDE209), il cui impiego principale è per la fabbricazione di oggetti dei quali ridurre l'incendiabilità (fra i quali computer, elettrodomestici, tappeti) ed in schiume di analogo scopo (usate ad esempio per i mobili). Secondo lo International Persistent Organic Pollutants Elimination Network (IPEN), che ne ha proposto la messa la bando ai sensi della Convenzione di Stoccolma, la scoperta non è senza effetti anche riguardo alla salute umana, considerato che il rintraccio di questi elementi in zone non industrializzate dimostra la precedente sottovalutazione della loro insidiosità; in particolare, le industrie produttrici del BDE209 avevano espressamente escluso la bioaccumulazione del composto, che si era pertanto imposto sui prodotti concorrenti proprio per questa caratteristica.

Quindi ci potrebbe essere stata una predisposizione ai tumori, poi scatenata dalla presenta di sostanze tossiche o cancerogene nel loro habitat.
Ci sono però speranze per la sopravvivenza dei diavoli.
In Tasmania temono fortemente la diffusione della volpe rossa, una specie non autoctona, introdotta illegalmente, e che senza il diavolo si moltiplicherebbe rapidamente. Sarebbe un bel danno per gli abitanti della zona. Il fatto che ci siano anche interessi economici a favore della sopravvivenza del diavolo, mi fa sperare che non faccia la fine del delfino bianco dello Yangtze (sarà estinto? Mah! Prima nel fiume ce n'erano migliaia, ora dobbiamo cercarli col lanternino, se non è estinto è solo questione di tempo! Si esultava per la presenza di un esemplare. Direi che la specie è salva...).

14 luglio 2009

Valentina Giovagnini, un'uscita di scena silenziosa come la neve

Non amo il festival di Sanremo, troppo melodico e con troppa poca voglia di rinnovarsi per i miei gusti. Lo seguo però ogni anno, attraverso i commenti in tempo reale della Gialappas band. A radio accesa e televisore spento.
La prima conoscenza della voce e della musica di Valentina Giovagnini, nel Sanremo 2002 vinto nella categoria giovani da Anna Tatangelo (...), è avvenuta con la mediazione delle voci di Marco, Giorgio e Carlo. Ho trovato una strana coincidenza che, a distanza di molti mesi dall'accaduto, io abbia scoperto della scomparsa di Valentina proprio tramite uno spezzone del programma radiofonico di Marco Santin.
Di primo impatto non avevo associato il suo nome al suo volto e alla sua musica. Ma forse il mio subconscio sì.
Non mi spiego altrimenti come mai, navigando tra i video di Youtube dedicati a Glob (trasmissione di Enrico Bertolino), mi sia voluta soffermare proprio su uno intitolato ""Grazie per averci scelto" ricorda Valentina Giovagnini".
Senza motivo (ma davvero senza motivo, visto che stavo cercando argomenti relativamente leggeri per distrarmi dal mal di denti) ho iniziato a guardare il video. Mi sono bastate due note per riconoscere l'esibizione che mi aveva incantata a Sanremo e in seguito, in video e in radio.

Ecco il ricordo di Valentina Giovagnini a "Grazie per averci scelto".

Ogni volta che ascolto "Il passo silenzioso della neve", soprattutto nelle parti strumentali, immagino infinite distese verdi, con un sottofondo di montagne dalle cime innevate. Solo pochissimi altri artisti italiani riescono a trasmettermi le stesse sensazioni e nessuno di loro è mai andato a Sanremo. Aspettavo di vedere l'evoluzione musicale di Valentina, e invece scopro che perfino il suo secondo disco è uscito postumo, lo scorso 15 maggio (anche quello abbastanza sommessamente).


Non so se i media abbiano dato, sia in vita che nella morte, l'attenzione e la visibilità che Valentina avrebbe meritato.
Spero che almeno diano spazio al premio nazionale per voci nuove che è stato a lei intitolato: www.premiovalentinagiovagnini.it. La prima edizione si terrà a Pozzo della Chiana il 5 e 6 settembre 2009.

12 luglio 2009

Goonies, com'erano e come sono.

Chi è stato bambino o ragazzo negli anni Ottanta non può non averli visti almeno una volta. I Goonies sono un film cult. Chi ha dubbi a riguardo, prenda in esame la sequela di leggende metropolitane che sono nate attorno al film e al suo (mai realizzato) sequel.
L'altra sera guardando il palinsesto delle reti digitali mi sono imbattuta proprio nei Goonies. E mi sono domandata: che fine hanno fatto i protagonisti? Non è la prima volta che mi pongo il problema, ma di solito sono sprovvista di Rete. Questa volta avevo sia la Rete, che il tempo e la voglia di togliermi una curiosità senza pretese.
Non mi sembrava di riconoscere nessun attore famoso tra i fanciulli del cast. Strano, un inizio di carriera così brillante li avrebbe dovuti aiutare a non finire nello sgabuzzino delle scope dello star system. Come volevasi dimostrare. Ero semplicemente io a non riconoscere nessun attore famoso.
Questo è il protagonista:

riconoscete in questa foto un giovanissimo attore famoso (e meno famoso regista)?
Se dico "Il signore degli anelli", ancora nulla?


A parte questa sorpresa, ero curiosa di sapere il seguito della carriera dell'attore che ha interpretato in modo impeccabile il goffo e divertentissimo Chuck: ho scoperto che continua a lavorare nel mondo dello spettacolo, a L.A., ma come avvocato.
Beh, userà la sua abilità nella recitazione in tribunale... Soprattutto davanti a una giuria potrebbe fare la differenza.


Per tutti i curiosi, qui trovate il cast dei Goonies, com'era al tempo del film e come è oggi:
Whatever Happened to Chunk, Mikey and Sloth?

11 luglio 2009

Quando il peperoncino diventa un'arma...

Ero abituata agli spray al peperoncino per bloccare gli aggressori. Quindi non mi dovrebbero stupire più di tanto le armi "spice". E invece mi sono sorpresa immaginando i poliziotti indiani con in pugno delle bombe a mano al peperoncino.
Su Asia Times Online compare questa curiosa notizia dal titolo "Indian defense spices things up".
Traducendo in velocità:
I peperoncini rossi piccanti potrebbero presto essere assegnati alla Difesa indiana. Gli scienziati della Difesa stanno infatti lavorando sull'utilizzo del più piccante chili del mondo nelle bombe a mano per utilizzarlo in operazioni anti insurrezionali o nel controllo delle ribellioni.
A differenza della controparte riempita con l'esplosivo, le granate al peperoncino non sono letali ma funzionano come gas lacrimogeno. Fa bruciare gli occhi e in alcuni casi può portare la vittima a stati d'incoscienza.

Tranquilli, non avete un arsenale nel ripiano delle spezie. Il peperoncino che la Difesa indiana sta pensando di utilizzare, chiamato bhut jolokia, non è il comune peperoncino utilizzato a scopi alimentari. Rispetto a quello è ben 100 volte più pungente e speziato. "When you bite into a bhut jolokia - spiega l'Asian Times -, it bites back at you". Direi che è un'immagine abbastanza vivida per capire l'esplosione fisica generata da questo tipo di peperoncino.

Forse non tutti sanno che il peperoncino ha una propria scala di misura. Per sapere quanto "piccante" o "pungente" sia un peperoncino ci si deve rifare alla scala Scoville Heat Units (SHUs), che misura la concentrazione di capsaicina (ovvero la sostanza in grado di irritare le mucose).
Un piatto non piccante ha SHUs pari a 0. Un normale peperoncino ha SHUs pari a 5.000.
Siete curiosi di sapere il valore raggiunto dal bhut jolokia? 1.001.304 SHUs. Per me che non reggo un peperoncino calabrese, è una cifra che fa accapponare la pelle. Comprensibile quindi che la considerino un'arma non convenzionale...

10 luglio 2009

Cosa butti nel tuo water?


Il WWF sta facendo circolare una serie di buone norme per ridurre l'impatto sull'ambiente di un momento di svago come possono essere le vacanze estive.
Come al solito non si tratta di vestirsi di pelli e attraversare a nuoto l'Atlantico: sono dei piccoli accorgimenti (alcuni dei quali mi stupisce che vadano ancora ribaditi tanto sono elementari) per ridurre le emissioni.
Mi stupisce soprattutto il consiglio "Presta attenzione ai rifiuti particolari derivanti dall’igiene personale, non gettare mai nulla nel WC… per non ritrovarteli poi sulla spiaggia!". Che cosa getta la gente nel WC? Ho fatto quindi una breve ricerca e ho scoperto che molti italiani considerano il water una pattumiera aggiuntiva a base d'acqua.
Fatto l'elenco di quello che la gente ci butta, scoperto tramite una breve ricerca:
- bastoncini d'ovatta (i classici cotton fioc);
- cibo avariato (evidentemente per nutrire i mostri mutanti delle fogne);
- i pesci rossi morti (con la speranza che rivedano il mare, poco importa se essendo di acqua dolce il mare non sanno neppure che esista);
- le tartarughe in letargo scambiate per morte;
- rifiuti solidi e inquinanti (la barra di plutonio che ha originato i mostri mutanti delle fogne);
- preservativi;
- lamette da barba;
- medicine;
- telefonini.
La questione telefonini è abbastanza curiosa. Visto che vengono portati sempre con sè, può capitare che cadano nel water. Indicativamente ogni anno in Inghilterra ne spariscono più di 800mila, ingoiati dai sifoni. Sono sviste, non c'è soluzione. Se non lasciarli fuori almeno dal bagno.
Quello degli oggetti smaltiti nel water (che per me era scontato NON fare) è un problema serio: a Chiasso e dintorni ogni settimana vengono spesi 600 franchi per smaltire gli oggetti buttati nel gabinetto.
Ho scoperto anche che c'è la tendenza a buttare cibo solido negli scarichi del lavandino della cucina. Sarà colpa dei film americani, dove chiunque butta qualsiasi cosa nello scarico del lavandino? O sarà colpa di quelli che ancora non sanno che in america sono molto diffusi i tritarifiuti?
Una cosa è certa. Se qualcuno non ha ancora idea di come si utilizzi un gabinetto, abbiamo un bel parlare di global warming, di abbattimento della CO2 e di piantumazione. Forse bisognerebbe fare un passo indietro e ripartire dal buon senso.
Ripartiamo col buon senso che emerge dalla
guida del WWF. Se scoprite un vostro comportamento erroneo, vale la pena di farci una riflessione e correggerlo.