29 settembre 2008

I Weezer e il bignami di Youtube

Non è facile stare al passo con i miti che circolano in Rete. Gli astri di Youtube si accendono e si spengono spesso a una velocità così impressionante che basta prendersi un doveroso periodo di pausa dal web per perdersi dei pezzi.
Niente paura, c'è un allegro e orecchiabilissimo bignami targato Weezer. Per il video del singolo "Pork and Beans" hanno riunito tante vecchie glorie della Rete per la gioia di tutti i fan. La mia preferita? Ovviamente la marmotta (anche se l'esplosione delle Mentos&Cola mi prometto sempre di provarla di persona, magari all'aperto, per non ritinteggiare casa).
Il video lo trovate qui (l'incorporamento è stato disattivato, rispettiamolo).

Cito dal sito di Gaytv:
Avete passato gli ultimi due anni in una caverna o, semplicemente, vivendo le vostre vite offline, lontano da una connessione internet, e per questo vi siete persi i tormentoni di youtube più famosi e linkati? Nessun problema. I Weezer, noti per i loro videoclip ad alto contenuto stylish nerd, ci hanno pensato per voi, mettendo nel loro ultimo videoclip un favoloso mashup di tutti gli ultimi video famosi di youtube: da Chris Crocker che urla "leave Britney alone" all'uomo che si infila 155 t-shirt insieme, dall'imbarazzante discorso dell'aspirante Miss Teen Usa 2007 alle ragazze che 'cantano' 'Harder Better Faster Stronger' dei Daft Punk scrivendosi il testo sul corpo, dall'esperimento esplosivo Diet Coke e Mentos allo sguardo ipnotico della marmotta. Ma attenzione, non sono parodie, hanno invitato i veri protagonisti! L'apoteosi dell'omaggio, della citazione, della famosità fai-da-te.
Il resto dell'articolo lo trovate qui. Fateci una capatina perché ne vale la pena: troverete tutti i video originali che hanno ispirato la band (e molti internauti).
E a questo punto, la mia adorata marmotta (ovviamente la compilation):

In Rete ha fatto impazzire gli appassionati del genere anche il "Dramatic Lemur"

26 settembre 2008

Lunga vita ai bamboccioni? Non scherziamo

L'Ansa di oggi titolava "Cassazione: figlio si licenzia, padre deve mantenerlo", ma come spesso avviene il titolo è fin troppo semplicistico. I genitori non sono obbligati a mantenere a vita i figli bamboccioni che si cullano sui banchi di scuola, magari studiando poco e facendo la vita degli eterni adolescenti. Dall'altro lato capita spesso di vedere giovani o giovanissimi intraprendere una strada lavorativa quasi per obbligo e poi pentirsene. Questa sentenza potrebbe aiutare quei giovani che hanno avuto la sfortuna di iniziare troppo presto un percorso lavorativo non gratificante e che, per giunta, non hanno il minimo appoggio dalla loro famiglia.
La storia del ventenne David, che dai prosciutti in salumeria vorrebbe passare a tagli e messe in piega, dà da riflettere.
ROMA - Quando un figlio ci ripensa e decide di licenziarsi per seguire studi o corsi di formazione che lo aiutino ad esercitare il mestiere che davvero vuole fare, i genitori - specie se il ragazzo è molto giovane ed ha avuto 'precocemente' l'esperienza lavorativa - non possono sottrarsi all'obbligo di riprendere a mantenerlo sostenendo che tale onere "non si ripristina in caso di abbandono del lavoro". A dirlo é la Cassazione con una sentenza che garantisce una chance a chi, magari poco più che adolescente, ha accettato il primo posto che gli è capitato, salvo poi scoprire di voler riprendere a studiare per trovare un'occupazione più adatta alle sue inclinazioni.

Il verdetto della Suprema Corte - in sostanza - non è a vantaggio dei figli eterni 'Tanguy' studenti, specializzandi o magari professionisti ma che non se ne vanno mai da casa, piuttosto è a favore dei ragazzi che troppo presto, forse anche per sfuggire alle difficoltà della separazione dei genitori, hanno smesso di coltivare le loro aspirazioni. In particolare i giudici del 'Palazzaccio' - con la sentenza 24018 - hanno respinto il ricorso di un padre, Salvatore L., che non voleva dare 300 euro mensili al figlio David di venti anni, dopo che il ragazzo si era licenziato dall'azienda nella quale, giovanissimo, prima come apprendista e poi come operaio, aveva lavorato come disossatore di prosciutti. Era stata la mamma separata del ragazzo a chiedere all'ex marito - che nel frattempo si era costruito una nuova famiglia e non aveva troppa voglia di limare il budget domestico - un contributo affinché il ragazzo potesse frequentare un corso per diventare parrucchiere, desiderio che aveva maturato durante gli anni passati a sezionare cosciotti.

Sia i giudici del Tribunale di Modena, nel marzo 2004, sia quelli della Corte di Appello di Bologna, nel dicembre dello stesso anno, dissero sì alla richiesta. Adesso, senza successo, Salvatore ha protestato in Cassazione per scrollarsi il peso di quell'assegno mensile. Piazza Cavour gli ha risposto picche dicendo che "non ha colpa il figlio che rifiuta una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui tali aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate, e sempre che tale atteggiamento di rifiuto (nel proseguire a lavorare) sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia".

25 settembre 2008

Non tutte le favole hanno un lieto fine



BERLINO (Reuters) - Un addetto dello zoo di Berlino che ha amorevolmente cresciuto l'orsetto polare Knut, abbandonato dalla madre Tosca e divenuto una celebrità un Germania, è morto all'età di 44 anni, secondo quanto ha detto la polizia della capitale tedesca.

Thomas Doerflein, un bel carattere e una folta barba scura, era diventato un improbabile sex symbol grazie all'amore che riservava a Knut, diventando famoso per i suoi giochi con l'orso davanti a un pubblico sempre più folto.

Doerflein ha passato con Knut -- primo orso polare nato nello zoo in 33 anni -- 150 giorni di fila, 24 ore su 24, e lo ha nutrito dai palmi delle sue mani con latte e porridge, anche durante la notte.

Anche se si può dire che, senza le cure di Doerfelin, Knut sarebbe probabilmente morto subito dopo la nascita, nel 2006, le associazioni per i diritti degli animali hanno sempre criticato la decisione del bioparco di tenere entro le proprie mura l'animale.

L'orso si esibiva con il suo allevatore due volte al giorno, attirando più di un milione di visitatori.

Un portavoce della polizia ha detto che Doerflein, che lavorava nello zoo dal 1980, è stato trovato morto nel suo appartamento del distretto occidentale di Berlino, nei pressi del bioparco.

Doerflein ha sempre cercato di evitare i riflettori e ha rifiutato le richieste di interviste a emittenti nazionali come Rtl e Zdf. Ma la sua modestia ha fatto sì che la curiosità del pubblico su di lui crescesse, tanto da ricevere migliaia di lettere d'amore e proposte di matrimonio da donne di tutto il paese.

"La gente quando mi vede grida 'Knuuut! Knuuut!'. Prima, c'erano solo due o tre donne sui 60 interessate a me. Ora quando esco dal lavoro vengo assalito da giovani donne. Ho paura di uscire", aveva detto una volta Doerflein al quotidiano Der Tagesspiegel.

A Reuters Doerflein aveva raccontato di essere ancora in grado di rotolarsi per terra con Knut, che all'epoca dell'intervista aveva sei mesi e pesava 28 chili, anche se doveva indossare camicie con maniche lunghe per proteggersi dai morsi dell'orsetto.

Vai all'articolo comparso su The Guardian

22 settembre 2008

Gatto ninja

Ricordate il gioco di "un due tre stella"? Il simpatico gatto di questo video lo ha applicato a un attacco ninja. Da non perdere.

The Ninja Cat - Watch more free videos

18 settembre 2008

Vince funerale. Non ritira il premio

Ansa, 2008-09-17 20:09
FOGGIA - Premio numero undici, un funerale completo gratis, non ritirato. E' per il momento anonimo, nonostante sia trascorso un mese dall'esito della riffa, il vincitore del premio n.11 della lotteria organizzata dall'associazione Borgo Magna di San Marco in Lamis per promuovere la frazione turistica di Borgo Celano. Lo riporta oggi il Corriere del Mezzogiorno.

A disposizione del vincitore, che può anche regalare il premio segnalando il nome di un'altra persona, ci sono una bara con cuscino e imbottitura, una lapide di prima scelta, una luce eterna in vetro e ottone, arredi sacri provenienti da San Giovanni Rotondo e, cosa che da sola vale il prezzo del biglietto, un loculo al cimitero municipale.

Nonostante il mancato incasso della vincita, gli organizzatori rassicurano il fortunato possessore del biglietto che vale il premio n.11: non c'è scadenza, c'è sempre tempo per passare dalla cassa.

Solo la cerimonia funebre viene a costare parecchie migliaia di euro: quella "economica" si aggira sui 650 euro.
A Roma, per esempio, c’è l’Ama (Azienda Municipale Ambiente) che offre servizi funebri a prezzi stabiliti:

650 euro per un funerale economico
1000 euro per un funerale medio
1500 euro per un funerale di lusso. (fonte)

A Milano il sito del Comune ha proposto addirittura il funerale calmierato. E sono comunque parecchi soldi.

Il prezzo calmierato del funerale è di Euro 1.290.00 e comprende:

- l’incassamento del defunto (laddove non sia già stato eseguito dal personale delle strutture sanitarie) e la chiusura del feretro;
- la fornitura della cassa in legno dolce verniciato, spallata, dotata di n. 4 piedini e di n. 4 maniglie portanti, accessoriata di imbottitura e coltrino biodegradabile;
- la fornitura della piastra identificativa del defunto e, su richiesta dei famigliari, della croce o di altro simbolo religioso:
- l’allestimento di addobbo funebre (coccarda tavolino e registro firme):
- il trasporto del feretro dal luogo del decesso al luogo di Onoranze indi al luogo di sepoltura (solo in ambito cittadino);
- l’auto funebre e n. 4 necrofori di cui uno addetto alla conduzione del mezzo:
- il trasporto dei familiari del defunto sull’auto funebre (nell’ambito della disponibilità degli spazi esistenti).

Non parliamo poi della lapide. Negli ultimi anni, sempre più persone sono costrette a chiedere la rateazione dei pagamenti. Insomma, come rifiutare una cosa tanto costosa? Una semplice questione di superstizione?

Certo che un premio un po' più allegro potevano trovarlo...

10 settembre 2008

Squali uccisi, c'è chi si fa arpionare per protesta

Quest'estate ho rivisto lo Squalo. A pensarci bene non è molto realistico. Certo, gli squali non sono l'incontro più piacevole che si potrebbe fare in mare aperto (e in questo uso un eufemismo), ma se guardiamo ai morti della guerra uomo-squalo, il primo vince di prepotenza. Un finale alternativo al noto film di Spielberg potrebbe essere questo: lo squalo gigante viene catturato e le sue pinne vengono vendute a peso d'oro ai ristoranti della zona; una volta mutilato, viene ributtato in mare dove muore agonizzando. Peccato che questo copione sia drammaticamente trito e le vittime non siano i predatori crudeli e incontrollabili del film.

La triste sorte degli squali ha indignato un'artista, Alice Newstead, che per protesta si è fatta arpionare la schiena e appendere come uno squalo catturato nella vetrina di un negozio della catena Lush, nota per la sua attenzione alle tematiche ambientali e animaliste. Per ben 15 minuti la donna è rimasta appesa al soffitto, sotto lo sguardo atterrito dei passanti della centralissima Regent Street.

Il suo gesto fa parte di una più ampia campagna animalista per cercare di proibire la pesca di questi animali in tutto il mondo. Alice Newstead, al termine della sua dolorosa protesta, ha dichiarato: «Lo faccio perchè la domanda di minestra di squalo e altri prodotti fatti con le sue pinne lo stanno portando all’estinzione».
In particolare la Newstead chiede venga abolita la pratica che vede lo squalo mutilato delle pinne (una prelibatezza, secondo molti) e ributtato in mare ancora vivo.

La donna ha rassicurato i passanti che la guardavano appesa nelle vetrine del negozio di Regent Street: «Ho il dorso, le braccia, le gambe e lo stomaco già con vari piercing; perciò non è stato particolarmente difficile». La campagna in difesa degli squali è promossa dall’associazione per la tutela della fauna marina Sea Shepherd.

A voi il video. Non guardatelo se il sangue vi impressiona...

9 settembre 2008

Animali tatuati. Ma perché?



Mi sono imbattuta nella nuova tendenza che sta spopolando tra i padroni più folli:
tatuare i propri animali o fargli dei piercing (Gallery).
Cani e gatti dipinti come motociclisti tamarri, pesci sfregiati con cuori e pois, criceti minuscoli con barrette conficcate nelle orecchie per la gioia di proprietari pronti a garantire "che manco se ne accorgono"...
Ma a che pro?
Partiamo dai maiali. Wim Delvoye è un artista (belga) un po' originale (i cinesi lo considerano proprio matto), che da una decina d'anni ha iniziato a tatuare i suini. Li prende ancora cuccioli, li anestetizza e li fa vivere in una fattoria-atelier in Cina. Gli risparmia una vita nel fango in attesa del macello. Lui, del resto, è vegetariano e non vuole che la pelle degli animali venga venduta prima della loro morte naturale. I maiali hanno un nome proprio, sono coccolati e forse viziati. Diventano delle opere d'arte viventi che trovano posto nei musei solo alla fine dei loro giorni. Delvoye è stregato dall'evoluzione del corpo dell'animale, che modifica continuamente il disegno originario. E' la stessa filosofia che attrae i veri cultori del tatuaggio: sì al segno distintivo, ma che diventa parte integrante del corpo e che ne condivide le stesse evoluzioni.
Come animalista non posso trovarmi d'accordo sui tatuaggi ai maiali. D'altro canto mi rendo conto che la loro pelle è decisamente più spessa della nostra, e che un tatuaggio val bene una vita serena senza un futuro da prosciutti. Tra tutte le torture che i poveri animali subiscono per colpa dell'uomo o della stessa Natura, questa in effetti è la meno grave.
Sui tatuaggi per cani, gatti e soprattutto pesci, non ho neppure un dubbio. Come si può obbligare un animale a un'anestesia totale per fargli dei decorini di cui può fare allegramente a meno? (vale anche per il maiale, ovviamente). Perché sfogare la propria superficialità e la propria ricerca esasperata di apparire e contraddistinguersi sul proprio amico a 4 zampe?
E questa dovrebbe essere una forma di amore?
Attendo i tatuaggi, gli orecchini, le ciglia finte e il make up sul povero chihuahua della Paris Hilton di turno...



Parlando di arte e animali, colgo l'occasione per riportare l'opinione del Disinformatico sul presunto caso (aberrante) del cane lasciato morire in un museo. In tanti avevano pensato a un gesto di sadismo. La sorte del cane non è chiara. Ma le cose sembrano essere andate diversamente da come sono state raccontate.
Citando il Disinformatico (dove potete ripassare l'intera vicenda):
Riassumendo:

* abbiamo un blogger anonimo che ha dato la stura alla vicenda scrivendo che a lui/lei risulta che il cane sia morto. Che fine abbia fatto la bestiola, però non si sa: su questo non c'è nessuna testimonianza diretta, di prima mano.
* abbiamo il direttore della galleria d'arte che dice che il cane è stato nutrito, ma non durante le tre ore giornaliere della mostra, e che poi è scappato, e su queste dichiarazioni pone la propria firma;
* abbiamo l'artista in questione che non conferma e non smentisce la morte del cane; dice che non era sua intenzione causargli sofferenza.
* abbiamo una vicenda che fa leva su tutti i sentimenti giusti per ottenere la vastissima eco mediatica alla quale aspirano tanti "artisti".
Insomma, tutto da verificare.
Posso condividere l'accusa di ipocrisia nei confronti dei benpensanti. C'è da dire che l'arte, almeno nella mia visione, non dovrebbe essere causa di sofferenza e morte. La considero uno strumento che permette di elevarsi sopra le meschinità o al massimo di affondarci per poi riaffiorarne purificati... Un cane lasciato morire di fame non è arte e non m'importa se il fine - ovvero la sensibilizzazione sul problema dell'abbandono - possa essere condivisibile o meno. Il fine non sempre giustifica i mezzi

8 settembre 2008

I lemming si suicidano in massa. Ma solo per la Disney

Oggi saltellando nella Rete mi sono imbattuta in questo articolo: "Lemming Suicide Myth - Disney Film Faked Bogus Behavior".
Sono sobbalzata. Ma i lemming non si suicidavano in massa? L'articolo ha scatenato la mia curiosità e ho voluto vederci più chiaro. Partiamo dal video.

Mi rattrista vedere quegli animali togliersi la vita (un po' come mi rattrista vedere gli orsi polari morire di fame e stenti e non poterli aiutare direttamente). Se poi scopro che sono stati uccisi per girare un documentario, per giunta falso, la tristezza diventa rabbia.
Per non tradurre l'articolo del WildLifeNews, che potete comunque leggere nella sua interezza con un semplice click, riporto alcuni brani tratti da Attivissimo.
Il link all'analisi completa sulla storia dei lemming lo trovate qui.
Ma allora da dove deriva questa storia? L'origine si perde nella notte dei tempi, come riferisce Wikipedia ("The myth of lemming mass suicide is long-standing"), ma la sua diffusione presso il grande pubblico deriva appunto da un documentario della Disney, intitolato White Wilderness, diretto da James Algar nel 1958. Il documentario, premiato con l'Oscar e con l'Orso d'Oro del festival di Berlino per la propria categoria nel 1959, fu presentato come testimonianza naturalistica della vita reale dei lemming, ma in realtà la troupe creò artificialmente la scena del "suicidio" dei lemming spingendone un piccolo branco a gettarsi in "mare" (in realtà un fiume) da una scogliera. Non è chiaro se i lemming sopravvissero (grazie Disney), né se i documentaristi fossero consapevoli che il suicidio di massa fosse un mito. Questa scena raccapricciante diede fama al luogo comune dei suicidio di queste bestiole.

La falsificazione spacciata per "documentario" non finisce qui. Il film della Disney fu girato nell'Alberta, in Canada, dove non ci sono lemming (e, dettaglio trascurabile, non c'è neppure un mare nel quale suicidarsi). Fa niente: la Disney ne fece importare qualche decina, e per farli sembrare tanti, fu costruita una sorta di giostra coperta di neve, sulle quali furono piazzati i roditori. La cinepresa stava ferma e la giostra girava sotto le zampe dei lemming, creando con l'aiuto di un po' di giochi di montaggio l'impressione di una massa di animali in folle corsa. Terminate le riprese, i lemming furono "suicidati".

A parziale discolpa della Disney (e per evitare cause per diffamazione), devo precisare che non si sa se la società di Topolino fosse al corrente delle tecniche usate da James R. Simon, il regista della sequenza dei lemming.

Insomma, i lemming alla ricerca di cibo attuano migrazioni di massa e, nei casi di massima sfiga, possono morire annegati cercando di superare corsi d'acqua troppo profondi e torrenziali. Quella che vi hanno sempre raccontato è una bufala consapevolmente diffusa dalla Disney. I lemming non si suicidano, non si buttano nell'oceano in preda a raptus, non rotolano giù dai dirupi perché così è scritto nel loro Dna. Al massimo è scritto nelle sceneggiature della Disney.

5 settembre 2008

Quello che i milionari non dicono - 5

9. “Il denaro non fa la felicità”
Potrebbe non essere confortante per le persone che non hanno molto denaro ma i ricchi davvero sono differenti. “Non c’è un gruppo in America che sia più felice dei ricchi”, spiega Taylor dell’Harrison Group e sottolinea che circa il 70% dei milionari è convinto che il denaro “abbia generato” più felicità per loro. Redditi più elevati si correlano a più alti livelli di soddisfazione nella vita, secondo un nuovo studio degli economisti del Wharton School of Business. Ma non sono necessariamente le Bentley o le Manolo Blahniks che conducono alla felicità. “È la libertà che il denaro è in grado di comprare”, ha spiegato Betsey Stevenson, coautore dello studio Wharton.
I livelli di depressione sono più bassi tra i ricchi, secondo l’indagine Wharton e i ricchi tendono ad avere salute migliore del resto della popolazione, ha spiegato James Smith, economista del lavoro “senior” alla Rand Corporation. (Infatti, salute e felicità sono strettamente collegate, al pari di ricchezza e felicità, ha sottolineato Smith).
I ricchi sembrano anche sorridere e ridere più spesso – sempre secondo lo studio Wharton – senza parlare dell’essere trattati con maggiore rispetto e del mangiare cibo migliore. “Le persone hanno delle esperienze giornaliere molto diverse quando hanno un sacco di soldi”, ha concluso Stevenson.

10. “Tu ti preoccupi dei Jones. Io mi preoccupo di stare al passo con i Trump”
La ricchezza può dare un grande aiuto nella creazione della felicità, ma i ricchi della classe media ancora non possono ancora permettersi la vita dei miliardari vicini di casa: i ragazzi che firmano assegni di beneficienza da 100mila dollari prima di ritirarsi nella propria isola privata. “Ciò che rende le persone felici non è quanto stanno ottenendo – ha spiegato Glenn Firebaugh, un sociologo alla Pennsylvania State University -. È quanto stanno ottenendo rispetto ai loro pari”.
Secondo Fidelity, un 40% dei milionari teme che i propri standard di vita si abbassino con il pensionamento e che il denaro messo da parte finisca prima della loro morte. Naturalmente potrebbe non essere d’aiuto uno stile di vita così prodigo da dissipare circa 400mila dollari all’anno. “Puoi sempre essere più felice con più denaro – spiega Stevenson -. Non c’è punto di saturazione”. Ma quello è il problema di competere con i Trump. “I milionari sono sempre con lo sguardo in alto – dice Schiff – e pensano che si stia meglio là sopra”.

4 settembre 2008

Quello che i milionari non dicono - 4

7. “Ero uno studente discreto”
La mamma aveva ragione quando diceva che i buoni voti sono una chiave per il successo – ma non necessariamente di un grande conto in banca. Secondo il libro “The Millionaire Mind”, i milionari hanno raggiunto un punteggio Sat di 1190, difficilmente materiale da Harvard (per accedere è richiesto un punteggio di almeno 1400; quelli vicini al 1580 hanno buone probabilità di essere ammessi).
In effetti, secondo lo studio AmEx/Harrison, il 59% dei milionari ha frequentato un college o un’università statali.
Quando si chiede di elencare le chiavi del loro successo, i milionari citano per primo il duro lavoro, seguito dall’educazione, dalla determinazione e dal “trattare gli altri con rispetto”. Secondo Jim Taylor, vice direttore dell’Harrison Group, le nozioni apprese sui banchi di scuola sono meno importanti dell’apprendimento di un metodo di studio o del rispetto della disciplina.
Assodato questo, il 48% dei milionari hanno un grado avanzato di studio e i college elitari davvero aprono le porte alle carriere in Wall Street e nella Silicon Valley (senza menzionare le relazioni sociali che oliano le ruote.
Ma per ogni milionario che ha compiuto un dottorato, ce ne sono molti altri che hanno stentato a completare gli studi.
Kiyosaki, per esempio, dice di essere sopravvissuto alla matematica al college sedendosi vicino al secchione della classe. “Imbrogliavamo come forsennati” ha spiegato.

8. “Ti piace la mia Ferrari? È in prestito”
Perché spendere 3mila dollari per una borsa di Versace che passerà di moda la prossima stagione quando puoi prenderla a prestito per 175 dollari al mese? Per lo stesso motivo, perché dissipare 250mila dollari su una Ferrari quando per 25mila dollari la puoi avere per qualche fine settimana all’anno? I club che offrono “proprietà frazionata” di jet sono popolari ormai da tempo, e ora il concetto si è esteso anche ad altri beni di lusso quali auto esotiche e opere d’arte. Quanto scottante è la tendenza? Stando alla ricerca di Prince&Associates, più della metà dei milionari è intenzionata a prendere in prestito beni di lusso nei prossimi 12 mesi. Al vertice della classifica le borsette, seguite da auto, gioielli, orologi e opere d’arte. Compagnie online come Bag Borrow o Steal, per esempio, per prezzi che partono dai 15 dollari a settimana riforniscono i consumatori che vogliono accessori sempre nuovi.
Per Suzanne Garner, un ingegnere milionario di software a Santa Clara (California), avere un’auto da 100mila dollari non ha molto senso finanziariamente parlando (lei guida una Mazda Miata). Dall’altra parte, la Garner arriva a pagare 30mila dollari per l’iscrizione annuale al Club Sportiva, un club automobilistico di proprietà frazionata che le ha permesso di prendere Ferrari, Lamborghini e altri veicoli stranieri nei weekend.
“Per me l’auto è molto importante” ha spiegato.
E lo stesso vale per altre persone, a quanto pare.
Mentre recentemente era ferma a un semaforo con la sua Ferrari, la Garner ha avuto una proposta di matrimonio da un ragazzo su un camioncino con rimorchio.
(L’offerta è stata rifiutata)

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3 settembre 2008

Quello che i milionari non dicono - 3

5. “Non diventi ricco essendo gentile”
John D. Rockefeller minacciava i rivali di bancarotta se loro si vendevano alla sua compagnia, la Standard Oil. Bill Gates è stato privo di scrupoli nel costruire la Microsoft all’interno del mondo delle più grandi aziende di software (ricordate Netscape?).
Di certo, molti milionari privatamente ammettono di essere “bastardi negli affari – ha spiegato Russ Alan Prince -. Non sono dei bravi ragazzi”. Naturalmente i ricchi non si guardano allo specchio e vedono esattamente Gordon Gekko.
La maggior parte dei milionari condivide i valori dei loro genitori dal reddito contenuto, ha spiegato Lewis Schiff, consulente finanziario privato e coautore di Prince: “Passare del tempo con le famiglie è quello che conta per loro”. Secondo lo studio dell’AmEx/Harrison, solo un 12% dice di voler essere ricordati per il proprio lascito negli affari.

I milionari non sembrano neppure spaventati dal fallimento. Crane, per esempio, adesso dirige un’azienda di successo che setaccia domestici per i proprietari. Ma la sua prima avventura economica, una partnership in ambito immobiliare, finì in bancarotta e la cosa gli costò 20mila dollari – più di quanto valesse la sua casa a quel tempo. “È stato il periodo più deprimente della mia vita, ma è stata la migliore lezione che ho mai imparato” ha spiegato Crane.

6. “Le tasse le pagano solo i poveri”
La maggior parte dei milionari paga davvero le tasse. Infatti, l’1% di coloro che guadagnano di più hanno contribuito nel 2005 a circa il 40% delle entrate fiscali federali – l’enormità di 368miliardi di dollari – secondo l’Internal Revenue Service. Detto questo, i ricchi tendono a far derivare una notevole fetta dei loro guadagni dai dividendi e dai capitali guadagnati, che sono tassati in misura minore rispetto agli stipendi (15% per i guadagni dei capitali a lungo termine contro il 25% dei salari della classe media). Inoltre, chi guadagna molto paga la Social Security Tax solo sui suoi primi 97mila dollari di reddito.

Ma i grandi risparmi arrivano dal possesso di un business e dalla detrazione di ogni spesa legata a esso. I proprietari possono anche deprezzare le loro proprietà commerciali e sborsarli come interessi del mutuo. E questo senza fare nessun bilancio creativo. Poi ci sono le coperture fiscali, i trust e gli altri meccanismi che i super-ricchi usano per difendere i loro capitali.
Si stima che circa 2milioni di americani abbiano conti non dichiarati in paradisi fiscali e il reddito delle coperture fiscali straniere costa agli Stati Uniti dai 20 ai 40 miliardi di dollari all’anno, secondo l’IRS. Di certo, un “crescente numero di persone vuole stabilire fondi offshore” ha spiegato Vernon Jacobs, un ragioniere abilitato in Kansas specializzato in conti legali stranieri.

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1 settembre 2008

Quello che i milionari non dicono - 2

3. “... ma non sono diventato ricco risparmiando sul latte”.
Allora, come entrare nel club dei milionari? Puoi comprare stock option o immobili, giocare alle slot machine a Las Vegas o prendere la strada più comune: avviare la tua personalissima attività economica. È così che la metà dei milionari ha fatto i soldi secondo la ricerca AmEx/Harrison. Circa un terzo esercitava una professione o lavorava nel mondo delle aziende; solo il 3% ha ereditato il suo patrimonio.
Tralasciando il modo in cui sono riusciti a raccogliere il loro gruzzolo, virtualmente ogni milionario “ha fatto un uso giudizioso del debito”, ha spiegato Russ Alan Prince, coautore di “The Middle-Class Millionaire”. Tutti loro hanno chiesto dei prestiti per costruire il loro business, evitando carte di debito ad alti interessi e facendo leva sulle home equity per finanziare i loro acquisti nel caso di flussi di cassa insufficienti. Ma la loro ricchezza non si collega alle case. Secondo TNT, le home equity rappresentano l’11% delle azioni totali dei milionari. “Le persone che s’impegnano a costruire ricchezza vogliono sempre avere un’ipoteca” ha spiegato Jim Bell, presidente della Bell Investment Advisor. La sua casa vale probabilmente 1.5 milioni di dollari, ma lui ha un mutuo per 900mila dollari. “Non ho fretta di pagarla del tutto – ha spiegato -. È una delle poche detrazioni fiscali che ho”.

4. “Ho una concierge per ogni cosa”
Quel ristorante richiestissimo può essere prenotato per mesi – almeno quando Mr. Nessuno chiama per riservarsi un tavolo. Ma molte delle principali tavole calde riservano dei tavoli alle celebrità e ai clienti di serie A e quello è il momento in cui entra in scena il concierge personale.
I bravi courcierge perlustreranno il mondo per trovare qualsiasi cosa i loro clienti vogliano – sia che si tratti dell’acqua santa benedetta personalmente dal Papa, di una rara tequila messicana o di una salsa artigianale disponibile solo nel nord della Spagna.
“Per alcune persone il prezzo non è un problema” ha spiegato Yamileth Delgado, che dirige il Marquise Concierge e che una volta ha scovato proprio quella salsa per un cliente: 20 chilogrammi di chorizo costati mille dollari.
I servizi di concierge si estendono oggi anche alle attenzioni in campo medico. Spendendo dai 2mila ai 4mila dollari al mese, un cliente può avere accesso 24 ore su 24 a medici di primaria cura che possono fare chiamate a casa e possono facilitare le ammissioni agli ospedali “risparmiandosi lunghe attese nella sala d’aspetto”.

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