Quando si diventa genitori si scopre un’ecosistema di metodi, teorie e filosofie educative. Una di quelle che apprezzo maggiormente è la Disciplina Dolce, che parte da un assunto che approvo, ovvero di trattare i bambini con dignità ed empatia. Sembrerà scontato, verrebbe da dire. E invece no, perché la nostra società, nella pratica, ci ha insegnato a pensare al bimbo come a un piccolo adulto, al massimo a un adulto poco evoluto. Estevill, il guru di “Fate la nanna“, si è arricchito presentando neonati e lattanti come dei furbi manipolatori, pronti a soddisfare ogni vizio prosciugando energie vitali ai genitori. Non sentitevi in colpa se piangono, se lo meritano – sembra dirci.
La mia generazione è stata spesso cresciuta con attenzioni limitate agli aspetti materiali. Fin dal primo vagito siamo stati separati dalla mamma e messi in gelide (la mia lo era davvero!) nursery, assieme ad altri neonati urlanti. Ma se è scientificamente dimostrato che un cucciolo privato della mamma preferisce un peluche caldo a un freddo erogatore automatico di cibo, perché diamo per scontato che il cibo sia più importante del senso di protezione o di calore? Perché siamo diventati dei feticisti delle curve di crescita ma non spendiamo neppure un secondo a pensare se nel dare il biberon abbiamo abbracciato il pupo o abbiamo avuto un contatto visivo con lui? Perché i pediatri non chiedono quanto tempo passa un neonato a contatto con la madre e molti considerano una “scocciatura” l’eliminazione delle nursery ormai attuata negli ospedali?
Eppure lo scarso contatto con la madre può avere esiti negativi, come ben sanno nei reparti di terapia intensiva neonatale, dove i genitori sono invitati – per quanto possibile – a toccare i propri figli, favorendo così la corretta costruzione neurologica e la maturazione cerebrale (Schore, 2008). Perché staccarsi dal proprio “cucciolo” a 3 o 4 mesi viene visto come la “normalità” e non come un sacrificio imposto a madre e bimbo da una società sempre meno rispettosa della fisiologia umana, al punto che alcune donne che pur potrebbero tenere i bimbi con sé si chiedono se non sia il caso di mandarli al nido?
In questo scenario adultocentrico, chi sostiene l’allattamento al seno, il contatto pelle-a-pelle, il
baby-wearing, il co-sleeping, l’autosvezzamento e tante altre pratiche
che condividono l’idea di “assecondare i bisogni naturali” si trova naturalmente orientato alla Disciplina Dolce. Che non è un metodo, quanto un approccio rispettoso verso i propri figli (ma più in generale verso il genere umano, perché avrebbe poco senso non urlare al proprio bimbo e tirare pentole sulla testa del padre in sua presenza).
Il rischio è che la Disciplina Dolce si trasformi in un “fate come vi pare”: il lassismo.
Chiariamo, ci sono persone che fanno un lavoro egregio mantenendo sempre la calma, non alzando mai la voce (le mani non parliamone neppure) e insegnando il rispetto per il prossimo ai figli partendo dall’esempio (e i gesti quotidiani valgono più delle parole). Ma come le vittime de Il signor Distruggere hanno screditato per estensione tutta la categoria “mamme” (perché ormai se si allatta fino all’anno come consigliato dall’OMS ci si becca della “Pancina”), così i genitori troppo permessivi e iperprotettivi hanno reso la Disciplina Dolce una realtà da cui prendere le distanze per non essere giudicati negativamente dall’uomo della strada.
Un esempio pratico? Madre che in anonimo racconta in uno di questi gruppi che il figlioletto ha investito di proposito una bimba con la bicicletta e si è vantato del gesto. Il tutto avviene al parco giochi in presenza di entrambi i genitori. La madre lo spinge a pedalare altrove, il padre anche per dare “giustizia” ai genitori della vittima (che per fortuna non si è fatta un graffio) vuole reagire con un castigo (sequestro del mezzo); ne esce una discussione perché accusa la madre di avere un approccio troppo permissivo, tanto che i figli dicono che in casa nessuno comanda. Fin qui niente di strano, una dinamica familiare abbastanza normale, una madre chiede consiglio su come gestire la differente visione educativa col marito e cerca rassicurazioni sul proprio approccio. Che ovviamente non tardano ad arrivare.
Non si può giudicare un genitore da pochi commenti.
Astraendoci da questo caso specifico, che serve solo come esempio, noto una confusione di fondo tra riconoscere al bimbo la dignità di un adulto e riconoscerlo come pari di un adulto. Un bambino non è un adulto, deve imparare a rispettare le regole di una società che è sempre più spietata e competitiva ed è compito del genitore accompagnarlo in questo difficile percorso, scegliendo se farlo con uno stile autoritario o autorevole. Non col lassismo e il “è giusto che nessuno comandi”, perché una forma genitoriale troppo accondiscendente è inadeguata e potenzialmente nociva tanto quanto quella autoritaria.
In famiglia si ascoltano tutti i pareri, ma gli adulti sono i genitori, non è una tavola rotonda di pari.
La Disciplina Dolce non è lassismo. Ricordarlo non fa mai male.
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