Lo diceva anche Totò nei Tartassati, e oggi le cose non vanno meglio.
Ogni volta che si fa il pieno di benzina verde il 55% di quello che paghiamo non va nel serbatoio ma allo Stato. A far lievitare le accise dei carburanti è perfino la campagna d'Etiopia, terminata nel 1936. Che dire poi delle bollette dell'elettricità dove, nascoste tra voci all'apparenza innocue, si nascondono sovvenzioni davvero curiose?
Vediamo un po' l'approfondimento di Massimo Sideri sul Corriere della Sera di oggi:
Il puzzle bollette. Tasse e vecchi debiti
Elettricità e gas, 480 euro in più a famiglia
Guardare che cosa c'è dietro ai prezzi dei prodotti italiani dell'energia è un po' come aprire un vaso di Pandora: all'interno si scoprono voci bizzarre, che potrebbero addirittura avere un risvolto comico se non si traducessero automaticamente in un prelievo di denaro dalle tasche delle famiglie. Così è ad esempio per l'accisa che grava sul prezzo dei carburanti, che contiene una serie di prelievi che, in ordine temporale, vanno dal finanziamento della guerra di Etiopia del 1935 fino al contributo per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 passando per il Vajont, il Belice, l'alluvione di Firenze e altro. Imposte che si sono stratificate nel tempo e hanno contribuito a far sì che il 55% del prezzo del litro di benzina verde, o il 45% di quello del gasolio, sia costituito da tasse, Iva inclusa. Un discorso simile si potrebbe fare anche per la bolletta del gas, dove per i clienti «domestici» sotto i 200 mila metri cubi l'anno — soprattutto per le famiglie — sono sempre le imposte a fare la parte del leone: nella tariffa ricalcolata ogni trimestre dall'Autorità per l'energia, pesano per il 38%, come il costo della materia prima, il gas, che incide per il 37%. Il resto serve a remunerare l'«industria », dal trasporto allo stoccaggio fino alla commercializzazione all'ingrosso o al dettaglio. E considerando che il prezzo internazionale del gas è legato a filo doppio a quello del petrolio, non stupisce che negli ultimi anni il costo della materia prima sia quasi raddoppiato, passando dai 12,8 centesimi al metro cubo di inizio 2004 ai 21,65 di fine 2007 (sui 67,56 totali).
Un andamento che si è portato dietro, al rialzo, anche quello delle tasse. E' però con la bolletta elettrica che la metafora del vaso di Pandora trova la sua corrispondenza migliore. Come si legge nel libro Il prezzo da pagare, scritto a quattro mani da Stefano Agnoli e Giancarlo Pireddu (Baldini Castoldi Dalai editore) in quelle due-tre paginette che ogni due mesi vengono recapitate al domicilio degli italiani si trova il riassunto di qualcosa di più del semplice sport nazionale che è stato l'inasprimento della stretta fiscale. Nelle sue voci si trova il conto per ognuna delle scelte fatte nell'ultimo mezzo secolo di politica energetica di questo Paese. Si tratta dei cosiddetti «oneri di sistema», che pesano per un bell' 8,2% su quanto viene pagato, anche se il peso maggiore è riservato al costo di produzione (64%), al costo delle infrastrutture (14%) e alle immancabili tasse (un altro 14%). Così, mentre si parla di rilanciare un nuovo programma nucleare italiano, pochi utenti sono consci che con la «componente A2» della bolletta elettrica le famiglie ripagano ancora i costi per lo smantellamento delle quattro «vecchie» centrali nucleari avviato dopo il referendum del 1987. Si tratta di uno dei tanti paradossi nazionali dell'energia: l'uscita repentina dalla produzione (e vendita) di elettricità di fonte atomica ha impedito di accantonare nel tempo, come avviene normalmente nel resto del mondo, le risorse finanziarie per spesare il «decommissioning » degli impianti. E così non è rimasto che addebitarle in bolletta: dal 1987 al 2024, l'anno della bonifica dell'ultimo sito (ma solo se ci sarà anche il deposito nazionale delle scorie), l'onere può essere calcolato in circa 12 miliardi di euro, caricati centesimo per centesimo su ogni chilowattora consumato. Un prelievo che per il 2007 valeva circa 280 milioni e nel 2008 sarà di 520 milioni. E che dire della «componente A3» della bolletta medesima, voce che racchiude uno dei più rilevanti trasferimenti, non immediatamente manifesti, che avvengono dalle tasche dei consumatori in favore di aziende elettriche e imprese? Sotto questa voce i contribuenti italiani finiranno per finanziare nel periodo 1992-2021 le industrie che vendono al Gestore del sistema elettrico (Gse) dell'energia formalmente prodotta con fonti «pulite» (e rinnovabili) ma che in realtà deriva da normali, e inquinanti, fonti fossili ed è ottenuta persino con i residui pesanti della raffinazione del petrolio, il cosiddetto «tar». Un'operazione che costerà alle tasche dei consumatori 12 miliardi di euro. Si tratta del risultato del cosiddetto provvedimento «Cip6» varato nel 1992: all'indomani dell'improvvisa uscita dal nucleare l'Enel fatica a venire incontro alla domanda di energia e a coprire i consumi. Ecco allora che si fa ricorso all'industria privata, a coloro che hanno continuato e produrre elettricità per il proprio consumo anche dopo la nazionalizzazione del 1962-63. Si decide cioè di incentivare dell'elettricità prodotta da fonti «rinnovabili» e «assimilate», ovvero sole, vento, acqua, risorse geotermiche, maree, rifiuti e biomasse. Ma dietro alla burocratica definizione di «assimilate» si nascondono risorse fossili destinate a impianti di cogenerazione (cioè energia e calore insieme).
Un contratto «Cip6» è assai lucroso: gode di otto anni di incentivi e può durare fino a vent'anni. La mano pubblica deve ritirare quell'energia pagandola a prezzi fuori mercato. La differenza con ciò che ne ricava vendendola sul mercato da dove arriva? La risposta è semplice: dalle bollette. Il conto recente? Più di tre miliardi di euro l'anno negli ultimi anni, circa 3,3 miliardi nel 2007 e 3.160 milioni nel 2008. Le sorprese della bolletta non si fermano qui, perché alla successiva voce «A4» sono conteggiate alcune agevolazioni, come quelle riconosciute a soggetto come le ex Acciaierie di Terni (Acciaierie ThyssenKrupp, Cementir e Nuova Tic), la Alcoa per gli stabilimenti di Porto Vesme e Fusina, e le Ferrovie dello Stato come risarcimento per le centrali idroelettriche trasferite senza indennizzo all'Enel al momento della nazionalizzazione. Proseguiamo: ci sono le voci «A5» (ricerca di sistema) e quella «A6». Quest'ultima merita attenzione, perché attiene anche ai risarcimenti da riconoscere all'Enel dopo la liberalizzazione del mercato del '99, come compensazione per gli investimenti non redditizi dovuti al «servizio universale» da offrire in tutto il Paese.
Ma all'interno di questi costi che gravano sulle spalle dei consumatori c'è anche quello relativo agli oneri in più per il gas naturale importato dalla Nigeria. Fu un caso spinoso: il gas doveva arrivare direttamente in Italia a Montalto di Castro, ma lì il rigassificatore non si riuscì a fare. Per evitare di pagare salate penali l'ente elettrico convinse i francesi di Gaz de France a prenderlo in Bretagna e a fare uno scambio con l'Eni. Un favore a pagamento, ovviamente. Scaricato dove? In bolletta: nel 2007 ha pesato per 150 milioni. In bolletta si trovano anche le componenti «Mct» (compensano i comuni che ospitano depositi di scorie radioattive), la voce «Int» (finanzia gli sconti praticati ai grandi utenti che accettano l'interruzione delle forniture in caso di eventi eccezionali) e la «Uc4», che tiene in vita imprese elettriche minori risparmiate dalla nazionalizzazione: quelle sulle isole distanti dalla costa, ma non solo, visto che c'è anche Capri. Ce n'è insomma per tutti i gusti. Ma poteva mancare la beffa finale? Sugli «oneri di sistema», che sono definibili come elementi «parafiscali», se non fiscali del tutto, le famiglie pagano anche le tasse. Un paradosso che fa finire altri 700 milioni di euro l'anno nelle casse dello Stato.
Rifletteteci la prossima volta che spulciate una bolletta o fate il pieno. Il costo del petrolio può anche aumentare. Ma invece di puntare sulla discutibile (vedi il parere dell'Aduc) Robin Hood Tax, perché non svecchiare le voci che fanno lievitare le accise?
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