30 maggio 2008

Il tradimento nella casa coniugale costa caro: i beni cointestati



Dalla Cassazione un invito a tutte le donne a non tradire i mariti. O almeno non farsi beccare a farlo nella casa coniugale.
Ansa, ROMA - Merita di perdere tutti i beni e le proprietà che il marito le ha cointestato la moglie che tradisce il coniuge portando l'amante nella casa coniugale consumando carnalmente il suo 'flirt'. L' avvertimento viene dalla Cassazione che ha confermato la "revocazione per ingratitudine" della cointestazione di tutti i beni che il marito Aldo I. aveva donato, in comproprietà alla moglie Silvana I. che lo tradiva in casa con un giovanissimo amante.

La Cassazione - con la sentenza 14093 della II Sezione Civile - ha respinto il ricorso con il quale la moglie infedele chiedeva la nullità del verdetto della Corte d'appello di Messina che nel marzo 2005 (a conclusione in una causa iniziata nel lontano 1975) le aveva revocato la comproprietà dei beni che Aldo le aveva intestato. Per i giudici d'appello Silvana aveva commesso una "ingiuria grave che ledeva gravemente il patrimonio morale di Aldo" e pertanto, legittimamente il marito doveva tornare nel pieno possesso dei beni che aveva voluto condividere con la moglie. L'infedeltà di Silvana venne scoperta da Aldo nel 1975: allora la donna aveva 36 anni e aveva 3 figli. Tradiva Aldo con un focoso ventitreenne e "si univa a lui" nella casa coniugale. Situazione durata diversi anni prima che Silvana si decidesse ad abbandonare la famiglia e a convivere con il nuovo compagno. Ad avviso della Cassazione correttamente i giudici dell'appello hanno ritenuto che "costituiva ingiuria grave non tanto l'infedeltà coniugale quanto l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale Silvana si univa con l'amante nell'abitazione coniugale". Il primo grado il tribunale di Messina, invece, nell'ottobre 1990, aveva ritenuto non gravi le modalità di questo tradimento.

Ho riletto più e più volte questo lancio e continua a lasciarmi la bocca impastata. Per quanto giudichi l'infedeltà in modo negativo, non posso non leggere tra le righe un certo maschilismo. Applicare in questi frangenti la "revocazione per ingratitudine" mi pare davvero inquietante. E "l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito" potrebbe essere contemplato in una sentenza degli anni Cinquanta.
Certo, la donna non si è comportata bene e il marito ha tutti i diritti di essere inferocito. Ma la mia domanda è un'altra: se i ruoli fossero stati invertiti e il fedigrafo fosse stato l'uomo, la sentenza sarebbe stata la stessa?
Posso capire la richiesta di danni morali. Ma considerare il tradimento della moglie come un'offesa pubblica, un'onta sociale per l'uomo mi fa pensare al falso perbenismo e all'ipocrisia che ha contraddistinto tanti matrimoni: non importa come stanno davvero le cose; l'importante è che non le sappiano gli altri.

28 maggio 2008

Laureati disoccupati? Forse è colpa delle troppe lodi

Ma se tutti prendono sempre il massimo dei voti, chi può essere il migliore?
(Apcom) In Italia uno studente su tre termina la laurea triennale con la votazione massima di 110, ma non sempre merita una valutazione così alta: secondo il sito lavoce.info il fenomeno deriverebbe dal punteggio troppo elevato attribuito alle tesi di laurea e dalla possibilità di inserire nel curriculum accademico insegnamenti "complementari" che nel computo finale valgono come quelli fondamentali. Secondo l'articolo, scritto da Salvatore Modica, la possibilità di prendere 110 al termine del primo triennio determinerebbe un appiattimento verso l'alto e un mancato aiuto al mondo del lavoro interessato ad interpretare al meglio le competenze del laureato.

"Se il voto più alto è così frequente - sostiene Modica, docente di Economia Politica presso l'università di Palermo - non dà alcun segnale al mondo del lavoro: hai preso 110? Bene, ma lo prende uno studente su tre. La causa di questa estrema anormalità nella distribuzione è il punteggio attribuito alla tesi di laurea, che fa appiattire sul 110 quasi tutti i laureati che negli esami hanno ottenuto una media da 27 in su".

Ma ad essere "sbilanciata verso l'alto" sarebbe anche "la distribuzione dei voti per esame: infatti considerando solo le materie più importanti - fa sapere l'accademico economista - si ottiene una più significativa distribuzione normale". "Lo studente - continua Modica - si può accontentare di un 23 in una materia difficile e poi 'aggiustare' la media con molti 30 nelle 'materie cuscinetto'. Tuttavia, il meccanismo è noto ai potenziali datori di lavoro, che infatti prendono in considerazione solo i voti nelle materie significative".

I dati emergono dalla distribuzione dei voti di laurea dei 20 mila intervistati nell'indagine occupazionale Stella - Statistica in tema di laureati e lavoro - sui laureati 2004 e 2005: un'iniziativa interuniversitaria nata nel 2002 che ha coinvolto diversi atenei italiani, da Bergamo a Palermo, passando per Milano, Pisa e Napoli. Modica ha poi utilizzato più di 100 mila laureati nelle Facoltà di Palermo, dove la distribuzione dei voti di laurea ancora peggiore: quasi uno studente su due 'conquista' il fatidico 110.

Il docente propone quindi quella che potrebbe essere la soluzione per avere delle votazioni finali più eque: "la tesi - continua il docente universitario - potrebbe essere vista come un esercizio finale di stesura relazione, e considerata alla stessa stregua delle altre materie. Così facendo la valutazione finale dello studente rifletterebbe la sua media nel corso degli studi, che tipicamente presenta una distribuzione più normale". Ed anche le votazioni degli esami potrebbero essere rivisti dando un minore 'peso' a quelle materie la cui media di voti è superiore alla media della facoltà: in questo modo si individuerebbero pubblicamente gli esami "cuscinetto" che non inciderebbero come quelli più impegnativi.

"Tale comportamento, ovviamente, non può essere imposto, ma forse - conclude l'economista - una maggior disciplina si otterrebbe se si rendessero pubbliche le medie per materia corrette e le relative materie significative".

26 maggio 2008

Compiti copiati? Un software li smaschererà

Riporto un lancio ansa delle 14:43.
Fine della 'pacchia' per studenti svogliati che copiano i compiti da Internet facendoli passare per propri. E' in arrivo dal Giappone uno speciale software pensato appositamente per la scuola, in grado di riconoscere all'istante se tesine e progetti contengono, in tutto o in parte, pezzi 'pescati' nel mare magnum della Rete. L'idea arriva dal prof. Kazunari Sugimitsu, docente di ingegneria e direttore del centro ricerche sulla proprietà intellettuale presso il Kanazawa Institute of Technology, oltremodo 'frustrato' dalla dilagante tendenza odierna al 'copia e incolla' delle informazioni on-line da parte degli studenti.

Il software utilizza le tecnologie impiegate nei traduttori automatici: analizza il testo dividendolo in paragrafi, periodi e parole, e successivamente esegue una ricerca su Internet per individuare eventuali similarità sospette in altre pubblicazioni. Quando viene trovato un passaggio che combacia con i criteri di ricerca, il programma invia automaticamente al docente di turno la prova che inchioda lo studente 'copione', con allegato indirizzo internet per permettere il confronto e un secondo parere sulla questione da parte di un umano.

Sugumitsu racconta di aver iniziato lo sviluppo del software (il cui lancio commerciale è previsto per il prossimo anno) la scorsa estate, dopo aver 'pizzicato' due suoi studenti che avevano presentato tesine oltremodo simili, risultate poi copiate on-line dalla stessa fonte. "Il programma sarà d'aiuto - spiega il professore - non solo ai docenti, sempre più frustrati da queste scorrettezze telematiche, ma soprattutto agli stessi studenti, che saranno costretti a tornare a spremersi le meningi come un tempo". Oppure a sviluppare ancora più l'ingegno per truffare il software anti copia.

Tremate quindi studenti pigri e svogliati di tutto il mondo. Gli italiani non avranno molto di cui temere però: con le infinite risorse della scuola pubblica e la grande penetrazione dell'informatica, si potrà continuare a scopiazzare tranquillamente dalla Rete e dai libri ancora per molto tempo.

22 maggio 2008

Mutui, per gli italiani casca male

Federconsumatori nel commentare la nuova manovra a costo 0 del Governo in materia di mutui, ha ricordato come le banche italiane applichino dei tassi più alti rispetto agli altri istituti europei.

Dal Bollettino della BCE (Aprile 2008) si evince che, a febbraio 2008, ai mutui oltre i 10 anni è applicato in Eurolandia un tasso di interesse medio del 5,09 per cento contro il 5,79 applicato ai mutui italiani e rilevato da Bankitalia (Suppl Bollettino statistico del 3-4-2008).
In tabella, un chiarimento sulle implicazioni di quel "trascurabile" 0,70% per l'economia delle famiglie italiane (cliccare per ingrandire)

20 maggio 2008

Alitalia, un restyling dubbio dalla parcella salatissima

Gianni Dragoni, in un'inchiesta per "Il Sole 24 ore", ha messo in luce "gli sprechi e i favori" nella crisi di Alitalia.
Partiamo dal "restyling" del logo.
Notate differenze tra il prima...






...e il dopo?









Per la cronaca, la radicale revisione (l'aggiunta del corsivo e la lievissima variazione cromatica) è costato 520 mila euro.
Un'operazione decisamente utile in un periodo di grande crisi economica come quella che sta attraversando Alitalia.

Controverso il nuovo logo introdotto nel 2005, il «restyling del marchio», con la scritta Alitalia che ora è leggermente inclinata verso destra, una differenza quasi impercettibile rispetto alla precedente. All'assemblea del 2007 Libonati ha cercato di difendere la scelta, avvenuta nella precedente gestione. «Alitalia nella strategia di riposizionamento della compagnia e della marca aveva deciso di rinnovare il servizio offerto ai clienti accompagnandolo con il restyling del marchio», che risaliva al 1969. Per il restyling, «svolto in collaborazione con la sola agenzia di comunicazione», Saatchi & Saatchi, la compagnia – ha detto Libonati – ha sostenuto «per disegni e realizzazione dei nuovi materiali», il costo complessivo di 520mila euro tra il 2005 e il 2006.
«Il nuovo logo è stato introdotto nel 2005 sulle macchine per il check-in veloce di Fiumicino ed è risultato più apprezzato dai clienti Alitalia; è stata effettuata un'analisi, con un gradimento complessivo che è passato da 56,9 al 61% degli intervistati dalla ricerca Gpf e associati», ha detto Libonati. Non sembra un grande miglioramento. Ma soprattutto non si comprende come mai una compagnia in crisi abbia affrontato spese di questo genere. Un costo ulteriore e più consistente, non reso noto, è stato sostenuto per ridipingere il marchio sugli aerei.
E poi c'è la pubblicità. «La comunicazione pubblicitaria è stata svolta nel 2006 con la collaborazione dell'agenzia internazionale Saatchi & Saatchi e del centro media Mindshare», ha detto Libonati. «La società per il 2006 ha sostenuto costi pubblicitari complessivi pari a circa 22 milioni».

8 maggio 2008

Quanto vale una laurea? Poco più di 120 euro al mese

Una laurea dopo anni di studio e costosissime rette annuali. Il risultato? Uno stipendio di poco superiore a quello di un operaio non specializzato. Il lavoro intellettuale non paga più. Ma soprattutto, a non pagare, è l'università.
Dal sito dell'Ansa, un lancio delle 11.20:

"Un pericoloso appiattimento delle retribuzioni". A rilevarlo è Unioncamere che nel rapporto 2008 evidenzia come la differenza di salario tra un impiegato diplomato o laureato e in lavoratore non qualificato con la licenza media "é di circa 1.600 euro l'anno, poco più di 120 euro lordi al mese". A guardare i dati 2007 infatti le retribuzioni di professioni non qualificate, di conduttori di impianti, di operai specializzati, di professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi e degli impiegati, si aggirano tutte "all'incirca tra i 21 e i 23 mila euro". Si va infatti dai 21.170 euro di un lavoratore non qualificato ai 22.750 d un impiegato. La distanza è invece quasi incolmabile con i dirigenti che in media guadagnano oltre 92 mila euro l'anno. L'appiattimento verso il basso, sottolinea l'associazione delle Camere di Commercio, "é il sintomo più evidente della scarsa attenzione al merito che caratterizza il mercato del lavoro italiano" e, afferma il presidente Andrea Mondello, "segnala un paese disattento al valore dello studio e delle competenze, che rischia di mortificare le migliori risorse su cui può contare per rilanciarsi". Unioncamere sottolinea quindi come tra il 2000 e il 2006 le retribuzioni siano passate da 20.116 euro a 23.633 con una crescita del 17,5%. Nello stesso periodo l'inflazione è aumentata del 15,1%, ma i prodotti e i servizi acquistati più frequentemente sono aumentati del 18,2%. I salari sono cresciuti meno che nel resto d'Europa perché più bassa è stata la crescita della produttività. L'associazione sottolinea quindi "l'inadeguatezza del contratto nazionale", che va superata distribuendo in azienda o sul territorio i risultati conseguiti in termini di produttività e redditività.

7 maggio 2008

"Rumore: un buco nel silenzio". Un'occasione mancata


Lo spazio Oberdan ospiterà ancora per alcuni giorni la mostra "Rumore: un buco nel silenzio". Un'interessante recensione dal titolo "Da russolo a yoko ono
quando l'arte fa rumore"
è comparsa su Repubblica a firma di Barbara Casaveccia. La riporto integralmente, per poterla ritrovare anche in futuro:

«Il silenzio non esiste: succede sempre qualcosa che produce un suono». Il padre del movimento Fluxus e dell'arte concettuale, John Cage, spiegava così il suo celebre brano muto 4' 33'': una «pausa» che costringe il pubblico a concentrarsi sui fruscii, i respiri, i battiti del cuore resi evidenti dall'assenza di musica. Ad affinare, insomma, la capacità d'ascolto. La mostra Rumore: un buco nel silenzio, che s'inaugura oggi alle 18 allo Spazio Oberdan, rivolge agli spettatori lo stesso invito a prestare attenzione alla propria «colonna sonora», giocando coi livelli di volume.

Curata da Giacinto Di Pietrantonio, è una versione ridotta - e ritagliata su misura per i volumi sempre un po' claustrofobici della Provincia - di una collettiva allestita in Belgio l'estate scorsa, in occasione del festival di poesia di Watou organizzato da Gwy Mandelinck. A ognuna delle 22 opere è abbinato (a parete) il testo di una poesia, da Pessoa a Sbarbaro, suggerendo un dialogo possibile, ma a «parlarsi» sono anche molti lavori. S'inizia fuori, davanti all'ingresso, con un duetto tra i versi di Nel silenzio di Montale (Oggi è sciopero generale /nella strada non passa nessuno…) e Conductor di Kris Martin, una bacchetta da direttore d'orchestra fissata al ramo di un albero, mossa a caso dal vento. Lungo le scale, invece, rimbomba Risveglio di una città (1914) del futurista Luigi Russolo, teorico dell'Arte del Rumore e pioniere di tanta musica sperimentale novecentesca. Rendono omaggio alle ricerche Fluxus anche gli ironici «pianoforti preparati» riuniti nel salone (provenienti da una mostra del '90 alla Mudima, Pianofortissimo), firmati da Cage, La Monte Young e Giuseppe Chiari, mentre Yoko Ono traduce in scultura una sua vecchia canzone, We are all water.

La mitica performance di Joseph Beuys e il coyote del '74 è incastonata tra The American Desert di Mungo Thomson (che cancella dai cartoni di Wile Coyote e Bip Bip protagonisti e voci) e Deeparture di Mircea Cantor, che al contrario, filma un'altra coppia predatore/preda in una stanza bianca e vuota. Avanzano in silenzio i video poetici di William Kentridge e Marcel Brodthaers, mentre i colpi con cui Jimmy Durham lapida un frigorifero, emblema opulento della società dei consumi, e il ronzio dei generatori accesi da un gruppo di disoccupati albanesi, ritratti da Adrian Paci, scatenano ondate cacofoniche. Nelle salette laterali, si confrontano due giovani artisti italiani: Diego Perrone, con La Stanza dei Cento Re che Ridono, una «quadreria» di dipinti celebri ritoccati digitalmente, e Lara Favaretto, che da una scatola nera fa scaturire Una risata che vi seppellirà (Omaggio a Gino De Dominicis).

Nel film in 16 mm di Jordan Wolfson, il discorso che Chaplin pronuncia al termine de Il Grande Dittatore viene tradotto in linguaggio «muto» per non udenti, mentre il commovente The Hand di Melik Ohanian assembla nove monitor, che inquadrano altrettante coppie di mani, callose e tormentate. Girato in Armenia nel 2002, racconta così le vite dei loro possessori, rimasti senza lavoro dopo il crollo del blocco sovietico.

La mostra mi ha lasciata perplessa. Guardando la gallery riportata su Repubblica ho capito anche il perché. Gli spazi della Provincia sono troppo limitati per una rassegna così intima ed eterogenea. Come poter apprezzare dei filmati tra loro diversissimi eppure riuniti nella stessa stanza, con l'audio di uno che va a sovrapporsi a quello dell'altro? L'attenzione viene distolta dai troppi stimoli visivi e l'udito non riesce a isolare i singoli suoni. Non svolgono al meglio il loro compito neppure gli altoparlanti, che rendono le risate dell'omaggio a Gino De Dominicis talmente metalliche da essere confondibili con uno starnazzare di polli in batteria. Poco spazio per l'arte, ancor meno per la riflessione che opere di questo livello avrebbero meritato. Peccato, al giorno d'oggi si sente il bisogno di assaporare il silenzio e i suoni che sanno infrangerlo con violenza o poesia. Si sente anche il bisogno di spazi dedicati, isole risparmiate dal caos moderno, in cui rimanere un po' a contatto con se stessi. Peccato davvero. Un'occasione decisamente mancata...
Shirin Neshat
''Shoja'', 1998

6 maggio 2008

Un tuffo nel Pacifico



Una buona notizia (con tanto di belle immagini) appena arrivata dall'ufficio stampa di Greenpeace.

Nell’Oceano Pacifico gli attivisti di Greenpeace liberano una tartaruga catturata dall’amo di un palamito, un sistema di pesca vietato.
Greenpeace, con il tour nel Pacifico a bordo della nave “Esperanza”, chiede che questa zona in alto mare entri a far parte delle prime riserve marine in acque internazionali.

5 maggio 2008

Redditi online, la polemica tiene banco

Massì, riapriamo il mese con lo stesso argomento con cui lo avevamo chiuso: i redditi degli italiani pubblicati online.

Non sono più sul sito dell'Agenzia delle Entrate - da là sono stati fatti sparire già mercoledì - eppure le dichiarazioni dei redditi si stanno diffondendo a macchia d'olio. Merito del peer-to-peer (o P2P per gli amanti del linguaggio in codice). Chi la monitora e la frequenta da qualche tempo sa bene che la Rete non accetta leggerezze o errori: una volta sul web, l'informazione non è più controllabile.

Emule, Kazaa, BitTorrent - complice la visibilità mass mediatica data alla vicenda - sono stati presi d'assedio dagli internauti più o meno esperti.
Oggi sono andata sui siti esteri con grande timore. Mi aspettavo l'ennesimo pernacchione dalla stampa statunitense e inglese. Invece niente. Possibile che si siano persi una vicenda così gustosa? Oppure hanno voluto stendere un velo pietoso? Si saranno stancati di parlare di noi? Forse l'oblio in questi casi è preferibile...

Certo, la notizia era decisamente intrigante, la polemica quasi inevitabile. Ma dopo 5 giorni inizia ad avere un gusto decisamente stantio.

Sul sito del Garante per la privacy sono presenti due comunicati. Il primo risale al 30 aprile. La polemica era appena esplosa:
Nella riunione odierna il Garante privacy ha svolto una prima valutazione sulla diffusione in Internet dei dati delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti a cura dell'Agenzia delle entrate.

L'Autorità, anche richiamando le sue diverse pronunce in materia, rileva che per tale forma di diffusione sussistono allo stato evidenti e rilevanti problemi di conformità con il quadro normativo in materia.

Il Garante ha quindi deciso di chiedere formalmente e con urgenza ulteriori delucidazioni all'Agenzia e l'ha invitata a sospendere nel frattempo la diffusione dei dati in Internet.

L'Autorità ha invitato, altresì, i mezzi di informazione a non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia con le predette modalità.


Il tutto in chiara contraddizione con la decisione del 17 gennaio 2001, che potete leggere per intero qui.
Per sintetizzare:
Alcuni dati relativi a redditi dei contribuenti sono sottoposti per regolamento a forme di pubblicità. La diffusione in ambito giornalistico di tali dati è pertanto lecita.

Il secondo comunicato sulla vicenda, dai toni decisamente diversi dal primo, è del 2 maggio:
"Cio' che sta avvenendo conferma quanto paventato dal Garanteprivacy e l’opportunita' del suo intervento volto a farsospendere la pubblicazione sul sito dell’Agenzia delle entrate deidati delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti italiani. Ladiffusione in Internet, anche per poche ore, rende infattiingovernabile la circolazione e l’uso di questi dati cosi' comela loro stessa protezione".

E’ quanto afferma l’Autorita' Garante in riferimento allacircostanza che le dichiarazioni degli italiani sono ancora circolantiin rete grazie a sistemi che consentono la condivisione di file.

L’Autorità sottolinea che la accessibilita' dei dati inrete non significa che essi siano di per se' liberamente diffondibili da qualunque utente della rete; la loro ulteriorediffusione può esporre a controversie e conseguenze giuridiche.

L’Autorita' sta, comunque, monitorando attentamente la vicenda eha sollecitato l’Agenzia delle entrate a far pervenire, entrolunedi', gli elementi richiesti al fine di una piena valutazionedella vicenda.

Riassumendo: il Garante getta la spugna, ammette che una volta assorbiti dalla Rete i dati non sono più controllabili e tutelabili, e - cosa forse più allarmante - per limitare i danni minaccia gli utenti che li scaricano e li diffondono.
In altre parole, un ente pubblico (ma non un ente pubblico qualsiasi... parliamo dello Stato) diffonde a torto o a ragione dei dati per così dire "sensibili" (ci sono ancora dubbi a riguardo) e di tutta risposta a pagare chi sono? I cittadini.

Ai cittadini viene infatti intimato di non diffondere i dati che riguardano anche la loro persona. Se si ostinano a farlo, mettano in conto la possibilità di finire in tribunale. Ma non basta. In futuro, tanto per rincarare la dose, potrebbero trovarsi a pagare con le loro tasse i risarcimenti richiesti all'Agenzia dell'Entrate dal Codacons. Insomma, italiani ancora una volta cornuti e mazziati.

Il Codacons deve a questa vicenda un bel po' di pubblicità.
Dal TgFin di oggi:
il Codacons ha deciso di passare dalle parole ai fatti e dapprima ha chiesto un maxi-risarcimento da 20 miliardi di euro al Pubblico Ministero di Roma che indaga sulla vicenda. Ed ora invita tutti gli italiani il cui reddito è stato reso pubblico sul sito della Agenzia delle Entrate a chiedere l'indennizzo "per la grave violazione della privacy subita''. La richiesta di risarcimento a persona dovrebbe riguardare una cifra compresa tra i 500 e i 1.000 euro. E sarà lo stesso Codacons ad assistere tutti nell'operazione.

Trovo questa richiesta dell'associazione abbastanza sterile. Chiunque, quando sente parlare di risarcimenti (ovvero soldi facili), abbocca come una trota all'amo, soprattutto in periodi di ristrettezze come quelli attuali. Ma che senso ha che tutti gli italiani chiedano al proprio Stato un risarcimento di 20 miliardi? I soldi che escono dalle casse pubbliche ci tornano sotto forma di nostre tasse e imposte. A meno di non voler aumentare ancora di più il nostro allarmante deficit. Insomma, alla fine siamo sempre noi a pagare... Se i soldi arrivassero dal conto bancario di Visco, le cose sarebbero diverse. Ma questo è un autogol in piena regola.

Che al Codacons fossero alla ricerca di contatti e visibilità mi è parso abbastanza evidente quando sono andata sul loro sito e per scaricare il modulo mi è stato richiesto di iscrivermi alla newsletter. Una richiesta degna del miglior sito di vendite online.

A Visco i danni sinceramente li chiederei. Se non altro per quella frase infelice, per giunta smentita dall'evidenza, con cui si è giustificato a polemica innescata:
È un fatto di trasparenza una questione di democrazia e non vedo problemi. Basta guardare qualsiasi telefilm americano per scoprire che anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo si fa così.

Negli Stati Uniti i dati relativi ai redditi sono assolutamente privati. Ci sono solo alcune eccezioni alla riservatezza totale che permettono, ad esempio, al buon vecchio Forbes di pubblicare ogni anno la classifica dei Paperoni del mondo. Dall'altro lato ci sono Paesi come la Finlandia (che considero decisamente più moderna e civile dell'Italia) che senza tante polemiche permette a chiunque mandi un sms di sapere i redditi dei suoi contribuenti. E' un problema? Forse no. O forse sì.

E' di sicuro un problema ben più serio che un viceministro all'Economia basi la sua conoscenza del mondo sui telefilm stranieri che, una volta in più, hanno dimostrato di essere uno specchio deformato della realtà. Certo, hanno un'attenuante: sono telefilm, pura fiction, non hanno pretesa di verità. I poveri sceneggiatori non potevano sapere che, dall'altra parte dell'Oceano, uno Stato stava prendendo provvedimenti sulla base del frutto della loro fervida immaginazione.
Dobbiamo aspettarci che in futuro i nostri politici riformino il sistema scolastico rifacendosi a South Park o la polizia rifacendosi a ChiPs?