Massì, riapriamo il mese con lo stesso argomento con cui lo avevamo chiuso: i redditi degli italiani pubblicati online.
Non sono più sul sito dell'Agenzia delle Entrate - da là sono stati fatti sparire già mercoledì - eppure le dichiarazioni dei redditi si stanno diffondendo a macchia d'olio. Merito del peer-to-peer (o P2P per gli amanti del linguaggio in codice). Chi la monitora e la frequenta da qualche tempo sa bene che la Rete non accetta leggerezze o errori: una volta sul web,
l'informazione non è più controllabile.
Emule, Kazaa, BitTorrent - complice la visibilità mass mediatica data alla vicenda - sono stati presi d'assedio dagli internauti più o meno esperti.
Oggi sono andata sui siti esteri con grande timore. Mi aspettavo l'ennesimo pernacchione dalla stampa statunitense e inglese. Invece niente. Possibile che si siano persi una vicenda così gustosa? Oppure hanno voluto stendere un velo pietoso? Si saranno stancati di parlare di noi? Forse l'oblio in questi casi è preferibile...
Certo, la notizia era decisamente intrigante, la polemica quasi inevitabile. Ma dopo 5 giorni inizia ad avere un gusto decisamente stantio.
Sul sito del
Garante per la privacy sono presenti due comunicati. Il primo risale al 30 aprile. La polemica era appena esplosa:
Nella riunione odierna il Garante privacy ha svolto una prima valutazione sulla diffusione in Internet dei dati delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti a cura dell'Agenzia delle entrate.
L'Autorità, anche richiamando le sue diverse pronunce in materia, rileva che per tale forma di diffusione sussistono allo stato evidenti e rilevanti problemi di conformità con il quadro normativo in materia.
Il Garante ha quindi deciso di chiedere formalmente e con urgenza ulteriori delucidazioni all'Agenzia e l'ha invitata a sospendere nel frattempo la diffusione dei dati in Internet.
L'Autorità ha invitato, altresì, i mezzi di informazione a non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia con le predette modalità.
Il tutto in
chiara contraddizione con la decisione del 17 gennaio 2001, che potete leggere per intero
qui.
Per sintetizzare:
Alcuni dati relativi a redditi dei contribuenti sono sottoposti per regolamento a forme di pubblicità. La diffusione in ambito giornalistico di tali dati è pertanto lecita.
Il secondo comunicato sulla vicenda, dai toni decisamente diversi dal primo, è del 2 maggio:
"Cio' che sta avvenendo conferma quanto paventato dal Garanteprivacy e l’opportunita' del suo intervento volto a farsospendere la pubblicazione sul sito dell’Agenzia delle entrate deidati delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti italiani. Ladiffusione in Internet, anche per poche ore, rende infattiingovernabile la circolazione e l’uso di questi dati cosi' comela loro stessa protezione".
E’ quanto afferma l’Autorita' Garante in riferimento allacircostanza che le dichiarazioni degli italiani sono ancora circolantiin rete grazie a sistemi che consentono la condivisione di file.
L’Autorità sottolinea che la accessibilita' dei dati inrete non significa che essi siano di per se' liberamente diffondibili da qualunque utente della rete; la loro ulteriorediffusione può esporre a controversie e conseguenze giuridiche.
L’Autorita' sta, comunque, monitorando attentamente la vicenda eha sollecitato l’Agenzia delle entrate a far pervenire, entrolunedi', gli elementi richiesti al fine di una piena valutazionedella vicenda.
Riassumendo:
il Garante getta la spugna, ammette che una volta assorbiti dalla Rete i dati non sono più controllabili e tutelabili, e - cosa forse più allarmante - per limitare i danni minaccia gli utenti che li scaricano e li diffondono.
In altre parole, un ente pubblico (ma non un ente pubblico qualsiasi... parliamo dello Stato) diffonde a torto o a ragione dei dati per così dire "sensibili" (ci sono ancora dubbi a riguardo) e di tutta risposta a pagare chi sono? I cittadini.
Ai cittadini viene infatti intimato di non diffondere i dati che riguardano anche la loro persona. Se si ostinano a farlo, mettano in conto la possibilità di finire in tribunale. Ma non basta. In futuro, tanto per rincarare la dose, potrebbero trovarsi a pagare con le loro tasse i
risarcimenti richiesti all'Agenzia dell'Entrate
dal Codacons. Insomma, italiani ancora una volta
cornuti e mazziati.Il Codacons deve a questa vicenda un bel po' di pubblicità.
Dal TgFin di oggi:
il Codacons ha deciso di passare dalle parole ai fatti e dapprima ha chiesto un maxi-risarcimento da 20 miliardi di euro al Pubblico Ministero di Roma che indaga sulla vicenda. Ed ora invita tutti gli italiani il cui reddito è stato reso pubblico sul sito della Agenzia delle Entrate a chiedere l'indennizzo "per la grave violazione della privacy subita''. La richiesta di risarcimento a persona dovrebbe riguardare una cifra compresa tra i 500 e i 1.000 euro. E sarà lo stesso Codacons ad assistere tutti nell'operazione.
Trovo questa richiesta dell'associazione abbastanza sterile. Chiunque, quando sente parlare di risarcimenti (ovvero soldi facili), abbocca come una trota all'amo, soprattutto in periodi di ristrettezze come quelli attuali. Ma che senso ha che tutti gli italiani chiedano al proprio Stato un risarcimento di 20 miliardi? I soldi che escono dalle casse pubbliche ci tornano sotto forma di nostre tasse e imposte. A meno di non voler aumentare ancora di più il nostro allarmante deficit. Insomma, alla fine siamo sempre noi a pagare... Se i soldi arrivassero dal conto bancario di Visco, le cose sarebbero diverse. Ma questo è un autogol in piena regola.
Che al Codacons fossero alla ricerca di contatti e visibilità mi è parso abbastanza evidente quando sono andata sul loro sito e per scaricare il modulo mi è stato richiesto di iscrivermi alla newsletter. Una richiesta degna del miglior sito di vendite online.
A Visco i danni sinceramente li chiederei. Se non altro per quella frase infelice, per giunta smentita dall'evidenza, con cui si è giustificato a polemica innescata:
È un fatto di trasparenza una questione di democrazia e non vedo problemi. Basta guardare qualsiasi telefilm americano per scoprire che anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo si fa così.
Negli Stati Uniti i dati relativi ai redditi sono assolutamente privati. Ci sono solo alcune eccezioni alla riservatezza totale che permettono, ad esempio, al buon vecchio Forbes di pubblicare ogni anno la classifica dei Paperoni del mondo. Dall'altro lato ci sono Paesi come la Finlandia (che considero decisamente più moderna e civile dell'Italia) che senza tante polemiche permette a chiunque mandi un sms di sapere i redditi dei suoi contribuenti. E' un problema? Forse no. O forse sì.
E' di sicuro un problema ben più serio che un viceministro all'Economia basi la sua conoscenza del mondo sui telefilm stranieri che, una volta in più, hanno dimostrato di essere uno specchio deformato della realtà. Certo, hanno un'attenuante: sono telefilm, pura fiction, non hanno pretesa di verità. I poveri sceneggiatori non potevano sapere che, dall'altra parte dell'Oceano, uno Stato stava prendendo provvedimenti sulla base del frutto della loro fervida immaginazione.
Dobbiamo aspettarci che in futuro i nostri politici riformino il sistema scolastico rifacendosi a South Park o la polizia rifacendosi a ChiPs?