29 agosto 2008

Quello che i milionari non dicono - 1

Su Yahoo Finance ho trovato un divertente articolo su “Quello che i milionari non dicono”. Il columnist Daren Fonda ha tratto spunto da 10 frasi che i ricchi si sentono in dovere di dire davanti ai microfoni e alla gente comune e ha poi provveduto a smantellarle una per una. L’articolo è molto lungo e quindi mi vedo costretta, sia per motivi di tempo che di spazio, a pubblicare la traduzione a puntate.
Iniziamo con i primi due luoghi comuni.

1. “Puoi pensare che io sia ricco, ma non lo sono”
Un milione di dollari può sembrare una fortuna alla maggior parte delle persone, e del resto quelli che guadagnano simili cifre hanno ben poco di che lagnarsi: sono più ricchi del 90% delle famiglie statunitensi e guadagnano in media 366mila dollari all’anno, rappresentando i principali contribuenti del Fisco Usa.
Ma il loro gruppo non è poi così esclusivo. Circa 10 milioni di famiglie hanno un reddito netto di un milione di dollari, escludendo le home equity, e questo numero è quasi raddoppiato rispetto al 2002.
[Gli home equity loans sono strumenti che permettono di "estrarre" dagli immobili liquidità da destinare a investimenti o consumo. Nella pratica sono dei prestiti vitalizi con ipoteca sulla casa proposti in alternativa alla vendita della nuda proprietà]
Un recente sondaggio di Fidelity ha inoltre scoperto che solo l’8% dei milionari si ritiene “molto” o “estremamente” ricco, mentre un altro 19% non si ritiene ricco affatto. “Si preoccupano per l’assistenza sanitaria, per il pensionamento e per come mantenere il loro tenore di vita” ha spiegato Gail Graham, dirigente di Wealth Management a Fidelity.
Di certo, molti milionari ancora non hanno ancora abbastanza denaro da concedersi lussi esclusivi, come l’iscrizione a un club elitario di golf, che può arrivare a costare 300mila dollari all’anno. Anche se 3 decadi fa un milione di dollari era somma considerevole, oggi servono 3.6milioni di dollari per avere lo stesso potere d’acquisto. E addirittura metà dei milionari degli Stati Uniti ha un reddito netto inferiore o uguale a 2.5milioni di dollari, secondo la società di ricerche TNS.
Quanto si dovrebbe possedere, quindi, per sentirsi davvero, onestamente, ricchi? Secondo Fidelity almeno 23milioni di dollari.

2. “Faccio la spesa al Wal-Mart...”
Possono anche non comprare la carta assorbente in offerta a 99centesimi, ma i milionari sanno cosa significa essere frugali.
Secondo un’indagine sugli individui ad alto reddito, pubblicata dall’American Express e l’Harrison Group, circa l’80% di loro dichiara di spendere con un atteggiamento mentale da classe media. Il che significa comprare beni di lusso in saldo e andare a caccia di affari, anche raccogliendo buoni sconti.
Don Crane, proprietario di una piccola azienda a Santa Rosa, California, di certo non ignora il valore dei risparmi quotidiani. “Possiamo permetterci ogni cosa” ha spiegato precisando che il suo reddito netto supera il milione di dollari. Ma lui e sua moglie sono entrambi cresciuti in fattorie del Midwest – dove non si buttava nulla – e sua moglie ritaglia buoni sconto da allora.
In effetti, secondo la ricerca AmEx/Harrison Group, la maggior parte dei milionari proviene da famiglie della classe media e circa un 70% di loro è ricco da meno di 15 anni.
Detto questo, ci sono comunque un sacco di milionari che non guardano mai il cartellino del prezzo. “Ho sempre voluto vivere al di sopra dei miei mezzi perché questo mi ispira a lavorare più sodo” ha dichiarato Rober Kiyosaki, autore del best seller “Rich Dad, Poor Dad” (1997).
Buon per lui (n.d.r)

Segue...

28 agosto 2008

Foto delle vacanze tutte da ritoccare

Gli apocalittici come me potrebbero parlare di "manipolazione della memoria".
Mi immagino la scena. Sono al mare, in costume. Mi fotografano. A casa riguardo le foto delle vacanze. Inorridisco. Non mi piace la mia linea. Spinta dallo sconforto apro photoshop (o fireworks, che essendo più leggero magari non m'impianta il portatile) e inizio a ritoccare fianchi, glutei e rotolini selvaggi. E perché no, magari inizio a giocare con lo sfumino e con i filtri, per rendere iper-omogenea la mia abbronzatura (e visto il candore della mia pelle, già siamo in piena fantascienza). Ma non mi fermo. Prendo il volto di Monica Bellucci e lo schiaffo sul mio. Magari stiro verticalmente il tutto per sembrare una modella alta 1.90 per 50 chili di peso.
Già me la rido per le crisi di pianto che mi verranno tra 15 anni quando, guardando le foto dell'estate 2008, dirò: "ero così bella allora...".
Bah.
Roma, 27 ago. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Avvocati, insegnanti e casalinghe come i vip di cinema e tv: fra gli italiani dilaga la passione per il fotoritocco. Al rientro dalle vacanze, infatti, tutto è lecito, pur di sfoggiare un fisico al top nelle foto scattate al mare o in montagna. Così sempre più spesso chi non ha superato la prova costume ricorre ai ritocchi virtuali, 'aggiustando' le proprie foto su internet o rivolgendosi ai grafici e agli esperti, al momento di sviluppare l'album delle vacanze.

"Una moda che arriva dal mondo del cinema e della pubblicità: ogni immagine pubblicata sulle riviste patinate è infatti ottimizzata", confessa all'ADNKRONOS SALUTE Pasquale Bizzarri, art director di un'agenzia pubblicitaria, la Spot a porter Srl di Milano. "Non esistono, infatti, modelle perfette - assicura Bizzarri - E se al momento di una campagna pubblicitaria il lavoro di truccatrici e parrucchieri fa già molto, dopo lo scatto le foto passano sempre sulle nostre scrivanie". Qui i maghi del bisturi virtuale, lente d'ingrandimento alla mano, vanno a caccia delle imperfezioni. "La pelle deve essere di seta, zampe di gallina e occhiaie vengono cancellate, un seno un po' troppo cadente viene alzato e la cellulite sparisce in un colpo di mouse. Anche il colore degli occhi, a volte, viene modificato - confessa l'esperto - per abbinarsi, magari a quello dell'abito o di un bikini". E a subire il rito del ritocco non sono solo le donne: anche uomini, animali e oggetti vengono "ottimizzati, per apparire al meglio. Certo, un intervento professionale consente risultati da rivista. Ma i ritocchi fai-da-te sono assolutamente semplici, grazie a software appositi come Photoshop". Non solo, "esistono siti che eseguono i ritocchi a richiesta sulle foto", aggiunge Giulio Basoccu, chirurgo estetico e docente all'Università La Sapienza di Roma. Un 'maestro' di ritocchi reali che non boccia la passione per il bisturi virtuale.

"Sì, è vero - dice lo specialista - so di alcune persone che sono ricorse al ritocco per apparire al meglio nelle foto delle vacanze. Magari per cancellare qualche chilo di troppo, una pancetta che sbuca dal costume, o per 'rinfrescare' il volto. E direi che è meglio un ritocco virtuale ben fatto, di uno reale non riuscito". Il chirurgo, che tante volte si è scagliato contro la chirurgia eccessiva che ha prodotto un pullulare di seni smisurati e labbra a canotto, guarda con un sorriso a questa nuova passione degli italiani. "Chi non ce l'ha fatta ad arrivare sul tavolo operatorio, o per un problema economico, o per paura - spiega - si accontenta di un ritocco virtuale per apparire più in forma senza troppi problemi. E poi se il risultato non convince, è facile tornare indietro senza danni". Anzi, "anche alcuni colleghi ricorrono a questo sistema per mostrare ai pazienti l'effetto di un intervento, prima di eseguirlo".

Secondo Basoccu la mania per il fotoritocco "si collega al fenomeno della chirurgia di primavera: in questa stagione, infatti, i nostri studi sono presi d'assalto da chi vuole arrivare al meglio alla prova costume". Ebbene, quanti non sono soddisfatti della propria immagine 'senza veli', al ritorno dalle vacanze chiedono aiuto a Photoshop e affini. "Vogliamo tutti apparire al meglio, un po' come nelle foto del matrimonio. Dunque viva il ritocco virtuale - dice lo specialista - perché è un fenomeno divertente e che non fa danni".

Di parere opposto, invece, la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente dell'Eurodap (Associazione europea disturbi attacchi di panico). "La fotoritoccomania è un segnale del dilagare della preoccupazione per l'immagine. Insomma, sempre più spesso sei quello che appari, e non è più la sostanza ad avere importanza", dice la Vinciguerra, molto critica su questo fenomeno. "Nel dilemma tra avere o essere sembra proprio che la risposta degli italiani sia sempre più spesso improntata all'obiettivo di ottenere comunque un riconoscimento dagli altri, pur se fittizio", spiega l'esperta che collabora con la Facoltà di Neurologia dell'Università La Sapienza di Roma. "Dall'accumulare capi firmati, alla smania di imitare starlette e divi tv, tutto sembra finalizzato a costruire un'immagine di sé accattivante, anche se lontana dalla realtà".

Meglio trascurati e naturali, nelle foto, che perfetti grazie al bisturi virtuale? "Curare il proprio aspetto è positivo, segno di rispetto e amore per se stessi. Ma il bisogno di mostrarsi agli altri senza difetti, di ostentare un sé diverso e sempre migliore, denuncia il fatto che in realtà non ci amiamo e non ci piaciamo", dice la Vinciguerra. Insomma, ricorrere ad artifici per celare rughe, chili di troppo o cellulite e mostrare foto invidiabili a colleghi e amici è un segno di insicurezza. "Un atteggiamento che indica come l'ansia e l'attenzione per l'immagine stiano dilagando. Mentre dovremmo imparare ad accettare e amare noi stessi per quello che siamo davvero".

Tutta insicurezza dicono gli esperti. Oppure è più semplicemente un desiderio di suscitare l'ammirazione, se non proprio l'invidia, del prossimo? Desiderio d'integrazione o smania di potere? Bisognerebbe valutare caso per caso. Sono stata tentata parecchie volte di modificare delle vecchie foto in cui fatico a riconoscermi. Però l'ho sempre evitato. Basta non guardarle, se non quando c'è un motivo valido per farlo. Ad esempio per ridere di quel vecchio taglio di capelli che ti sei pentita di aver fatto appena finita la messa in piega...

27 agosto 2008

Polonio nelle sigarette. L'oscurantismo delle multinazionali

Hai fumato un pacchetto di sigarette al giorno per un anno? E' come se ti fossi sottoposto a 300 radiografie. Nelle tue sigarette è contenuto polonio 210, lo stesso che ha causato la morte dell'ex agente Kgb, Alexander Litvinenko. La sostanza è naturalmente presente nelle foglie di tabacco. Le multinazionali per anni hanno cercato di eliminarlo. Falliti tutti i tentativi, hanno pensato che fosse sufficiente omettere l'informazione. Ora la verità è venuta a galla.
Roma, 25 ago. (Apcom) - Se non fosse vero potrebbe essere la trama di un nuovo thriller che mischia storie di spie avvelenate, documenti top secret e multinazionali senza scrupoli. Ma purtroppo è la realtà, almeno stando al quotidiano inglese "The Independent": alcune delle più grandi aziende produttrici di tabacco hanno nascosto i risultati di alcuni esami che attestano la presenza di polonio 210 nelle sigarette. Lo studio - basato su alcuni documenti ottenuti in seguito ad un'azione legale - verrà pubblicato nell'edizione di settembre dell'American Journal of Public Health.

In tutto sono stati analizzati oltre 1,500 documenti stilati dalle multinazionali di tabacco in oltre 40 anni. Tra gli effetti documentati della sostanza radioattiva - responsabile della morte dell'ex agente Kgb, Alexander Litvinenko, ucciso a Londra nel novembre del 2006 - c'è il cancro ai polmoni e i ricercatori ipotizzano che il polonio 210 potrebbe causare l'un per cento di tutti i tumori ai polmoni nella popolazione americana.

Gli studi dimostrano come il veleno sia presente nella foglia del tabacco. Per anni gli scienziati delle multinazionali hanno tentato invano eliminarla. Falliti anche i tentativi di alterare le piante geneticamente - si legge sull'Independent - le aziende avrebbero semplicemente deciso di omettere l'informazione poiché diffondere la notizia "vorrebbe dire svegliare un gigante che dorme".

Una portavoce del British American Tobacco ha tentato - prevedibilmente - di minimizzare la notizia spiegando come il polonio 210 sia presente in ben più consistenti quantità in altri alimenti, come le fragole. La signora in questione potrebbe anche avere ragione, peccato che le fragole non abbiano gli stessi avvocati difensori.

Il fumo fa male. Lo sanno anche i bambini. C'è scritto papale papale sui pacchetti. Ma, a differenza di quanto avviene con lo smog, almeno c'è la libertà di scelta. Le cose non sono mai semplici.
Il ruolo delle multinazionali nella promozione di quest'abitudine nociva è sempre stata rilevante. In passato, grazie a consistenti finanziamenti al settore cinematografico, avevano promosso una figura di uomo "vero" sempre con la sigaretta in bocca. I cattivi non dovevano fumare - a farlo erano solo i buoni - e non un colpo di tosse si doveva udire in tutta la pellicola.
Per anni si è parlato del fascino delle voci profondi e virili, vale a dire roche per il fumo prolungato. Nel frattempo milioni di persone sono morte di tumore alla gola, alla bocca e, soprattutto, al polmone, una patologia particolarmente insidiosa perché quasi sempre priva di sintomi nella fase iniziale, più facilmente curabile.

Mi sorge spontanea un'altra domanda. Arrivati a questo punto, dopo decenni di fumo virile e rassicurante, se le multinazionali avessero ammesso che le sigarette contengono polonio 210, le vendite sarebbero crollate? E' difficile crederlo, soprattutto pensando che i rischi erano comunque noti a tutti. Ma quando il vizio è troppo forte, non resta che evitare le informazioni che renderebbero più odiosa una bionda.
Ricordo un episodio al quale ho assistito qualche anno fa. Protagonista era un vecchietto (o è più politically correct parlare di "anziano signore"?). Aveva appena acquistato un pacchetto di sigarette, con la scritta minatoria "Fumare rende impotenti". Dopo averla letta aveva chiesto con molta tranquillità al tabaccaio di cambiargli il pacchetto. Il messaggio non gli piaceva. Dovendo scegliere era molto meglio "il fumo provoca il cancro ai polmoni".

Trovate assurdo che si consumino prodotti accompagnati da benauguranti messaggi di morte? La mente umana può essere all'occorrenza volutamente distratta e smemorata. In fin dei conti, se ci preoccupassimo di tutto, smetteremmo di vivere.
Io ad esempio che tempo il fumo per i suoi effetti, passo le mie giornate davanti a un pc, in balia delle onde elettromagnetiche. Francamente non credo che non facciano nulla al mio corpo (di sicuro stare seduta 8 ore al giorno non fa bene alla mia schiena). Ma semplicemente evito di pensarci.
Se fossi sigarette-dipendente, un messaggio minatorio sul pacchetto basterebbe a farmi smettere? Probabilmente no. Ma questo non giustifica le omissioni delle multinazionali che non dando tutte le informazioni del caso, non permettono agli individui di decidere, con cognizione di causa, dei loro vizi e della loro vita

26 agosto 2008

Settembre, tutti a scuola. Con il caro libri

Chi si ricorda il profumo dei libri nuovi? Una volta la carta aveva un sapore diverso. Quella moderna ha un vago retrogusto di petrolio e colla scadente che rovina la poesia. Eppure i libri costano cari: ben 286 euro per i testi di prima media. Scuola dell'obbligo, non dimentichiamocene. Per le superiori si superano i 300. Quindi una famiglia con un figlio in prima media e uno in prima superiore (3 anni di differenza non sono impossibili, vero?) spenderebbe quest'anno circa 600 euro (mezza mensilità di un impiegato medio o una mensilità di un precario sottopagato) per i libri. Se a questo ci aggiungiamo che i tetti di spesa stabiliti dal Ministero vengono periodicamente snobbati dagli editori (almeno dal 47% , secondo Altroconsumo), le famiglie hanno ben poco di che stare allegre.

Quest'anno in libreria non ci sono andati solo i genitori, usciti poi coi portafogli vuoti, ma anche i finanzieri. "Multe per chi specula" titola il Giornale.
Curiosando nella Rete ho trovato un interessante articolo di Gian Antonio Stella, dal significativo titolo di "I libri scolastici in conflitto d’interessi". Tutto vostro.
Ancora più significativo il parere dell'Antitrust:
Al centro della polemica "l'accordo stipulato, in data 9 giugno 2005, tra il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Scientifica e Poste Spa per il servizio, denominato Postescuola, di consegna dei libri di testo alle famiglie degli alunni della scuola secondaria di 1° e 2° grado", si legge nella relazione dell'Autorità garante. Ora arriva il parere dell'Antitrust: in sostanza, è vero che l'accordo favorirebbe una società del presidente del Consiglio, ma a firmarlo non è stato lui con le Poste, bensì il ministro Letizia Moratti che con le società del Presidente non ha alcun legame.

Davvero curioso. Evidentemente il fatto che la Moratti fosse un ministro del Governo Berlusconi - poi candidato sindaco di Milano per la Casa delle Libertà - non era sufficiente a legarla a doppio filo al Premier...

25 agosto 2008

Il business della meteorologia

Poco più di un anno fa una pioggia prolungata e particolarmente abbondante – tanto da essere riconosciuta come calamità naturale – ha affogato un piccolo paesino del Nord Est. Io ero là, ospite di mia madre. Ho passato due giorni a spalare e raccogliere acqua. La casa era ridotta uno schifo. Porte e mobili da buttare, tegole rotte, gasolio fuoriuscito dalla cisterna... Una piccola tragedia per chi non ha migliaia di euro da investire per risistemare una casa che fino al giorno prima era in perfette condizioni.
Una settimana fa sono piovuti dal cielo chicchi di grandine grossi come arance. Altre tegole distrutte, tettucci delle auto trasformati in piste per le biglie. Chi è stato colpito dalla grandine la ricorda come un’esperienza molto dolorosa. C’è anche chi ha conservato in frigo il “reperto” e l’ha misurato: diametro di ben sette centimetri.

Quando ero piccola mia nonna, religiosa e superstiziosa come solo alcuni anziani di provincia sanno essere, accendeva delle candele per allontanare i temporali. Ma quelli erano bei tempi.
L’unico rischio era rappresentato dal fiume che scorre a 3 chilometri di distanza. Ora il fiume è sempre capriccioso ma le case si allagano anche mentre scorre nel suo letto.
Mia madre e i suoi vicini vivono con l’incubo di ritrovarsi nuovamente un metro di acqua in casa. Ogni giorno ascolta le previsioni del tempo e alla frase “previsti grandi temporali nel Nord Est” rabbrividisce.
Ma il suo non è un caso isolato. In tanti, in tutto il mondo, si sono ritrovati con la casa momentaneamente o definitivamente inagibile a causa dell’impeto di un clima ferito.

Il global warming e un rinato interessamento alle tematiche ambientali ha ulteriormente contribuito a lanciare una vera e propria moda del meteo. I fanatici ascoltano le previsioni perfino per decidere come vestirsi in tempi di temperature variabili e per stabilire se prendere l’ombrello o meno. La meteorologia è diventata un business, per giunta molto remunerativo.

Ci pensavo giusto ieri sera, guardando la nuova proposta a fascicoli De Agostini: “Diventa un esperto di meteo e costruisci la tua stazione meteorologica”.
Entriamo nel dettaglio. Andando sul sito si scopre che
Sono previste 70 uscite, composte da un fascicolo e dagli elementi per realizzare una Stazione Meteorologica.

e che
La prima uscita costa 2,99 €; per le successive attualmente è previsto un costo di 9,99 €.
I 4 raccoglitori saranno venduti in edicola in corrispondenza delle uscite n. 10, 25, 40 e 55 a un costo di 6,50 € ciascuno.

Facendo un rapido calcolo, si arriva a 692,3 euro per i fascicoli e a 26 euro per i raccoglitori. Totale: 718,3 euro.
Mica male, no?

Passiamo alla televisione. Anche lì il meteo la fa da padrone: è uno dei programmi più amati.
Sociologi, psicologi ed esperti di marketing hanno fatto ricorso a 12 focus group di 140 partecipanti e a 70 interviste per svelare i consumi mediatici degli italiani: per il 34% degli intervistati le notizie meteo sono un appuntamento immancabile, al punto da rappresentare, per il 67% di loro, una sorta di “Carosello” moderno, dopo il quale non rimane altro che andare a coricarsi o un perfetto sottofondo per la colazione mattutina. Il meteo al risveglio non ha concorrenti: non gli tengono testa neppure gli oroscopi che registrano soltanto il 42% delle preferenze.
Insomma, il 34% degli italiani basa la propria giornata sulle indicazione dei moderni “Colonnello Bernacca” e un altro 22% ammette di non varcare l’uscio se prima non ha letto almeno un oroscopo.


Ma guardiamo a dati un po’ più interessanti e approfonditi sotto il profilo economico.
L’attenzione per le previsioni atmosferiche è in continua crescita, al punto da rappresentare un business ormai decisamente lucrativo.
Una testimonianza si è avuta anche di recente, quando il Weather Channel è passato dalla Landmark Communications alla Nbc Universal per una cifra considerevole, che si rumoreggia pari a 3.5 miliardi di dollari. La Rete dal canto suo sta producendo a ciclo continuo siti internet che forniscono previsioni, più o meno azzeccate, sul clima attuale e futuro.

Per l’economia, quanto per gli individui, ottenere informazioni attendibili è il miglior modo per mitigare gli effetti del brutto – o pessimo - tempo. Possono servire, ad esempio, a decidere consistenti investimenti, come la copertura di 5.200 metri quadri sul centrale di Wimbledon. Spendere 33 milioni di euro per un tetto per gli organizzatore è sempre meglio che pagare i costosi rimborsi richiesti per la sospensione delle partite in caso di maltempo.

Il business delle previsioni atmosferiche però va ben oltre. La meteorologia, che tanto può incidere sulla gestione aziendale delle imprese di tutti i settori, ha meritato una propria definizione tra le variabili di rischio: il weather risk. Per gestirlo sono stati creati i derivati meteorologici – o weather derivatives -, dei prodotti finanziari ad hoc in grado di controllare l’incidenza economica della variazione dei fattori climatici.
Lanciati nel 1997 da Enron, i weather derivatives stanno diventando sempre più popolari. Il valore dei contratti, dopo un piccolo calo nel 2007, hanno raggiunto a marzo un valore di circa 32 miliardi di dollari.
La maggior parte dei derivati meteorologi sono basati sulla temperatura. Le prime a farvi ricorso sono state le grandi compagnie energetiche, i cui profitti sono strettamente legati all’andamento del clima.

Anche per gli individui ci possono essere dei vantaggi. La società WeatherBill vanta un payoff che è tutto un programma: “Get Paid for Bad Weather”, ovvero “vieni pagato per il cattivo tempo”. In giugno una compagnia aerea, la Priceline, si è avvalsa dei servizi di WeatherBill per risarcire i vacanzieri flagellati dal maltempo. Un’offerta simile si potrebbe in futuro trovare in molti altri pacchetti turistici.
La pioggia continuerà a scendere, ma le soluzioni per indorare la pillola non mancano.

8 agosto 2008

Gelato al carciofo e al parmigiano. Lo provereste?

Il carovita ha colpito gli italiani al portafogli. In molti, in quest’estate 2008, si preparano a vacanze all’insegna dell’austerity. C’è però un prodotto che non conosce crisi e che, con la complicità dell’implacabile afa, ha registrato il boom dei consumi nelle ultime settimane: il gelato. Quasi una necessità in estate, un piacere che non si trascura neppure in inverno, al punto che per coppe, coni, bastoncini, cialde e vaschette gli italiani spendono ogni anno ben 5 miliardi di euro. E i gelatai ovviamente ringraziano.

La Coldiretti, riportando una ricerca dell’Eurisko, ha rivelato che ogni persona consuma annualmente 15 chilogrammi di gelato (contro i 3,7 del 2004). Chi lo evita lo fa soprattutto per questioni di linea (vai alla gallery sulle calorie) o per ben più serie intolleranze alimentari. I consumatori mediamente privilegiano la qualità del prodotto, tanto che nel 60% dei casi scelgono gelati artigianali al posto di quelli industriali.

Nelle vetrine refrigerate ci finisce però anche una fetta della tradizione culinaria italiana. Alcuni prodotti tipici, infatti, sono diventati degli improbabili gusti, riservati agli estimatori. Che dire, ad esempio del gelato all'aceto balsamico, al parmigiano, al barolo, al vincotto o al carciofo? Ma non ci si limita a questo: ci sono gusti a base di olio extravergine di oliva, pesto, ricotta, sedano, finocchio, rosmarino, alloro, rucola, salvia, fava e lenticchie, scamorza affumicata o limone e pepe. Li chiamano “gelati salati” e sono una delle nuove frontiere della produzione made in Italy.

C’è anche un’altra tendenza, quella salutistica, che sta portando nuovi sapori e ingredienti nel banco frigo. Dopo lo yogurt gelato e il gelato di soia o di riso, ecco moltiplicarsi i gusti al ginseng, coriandolo, miele, tè verde e tè nero, pappa reale, alloro, rosa canina, carota, tarassaco, zenzero, sambuco, ginepro o eucalipto, tanto per citarne alcuni. I gelati alle erbe, presentati al Salone Internazionale della Gelateria e Pasticceria di Rimini nel 2004, arricchiscono ulteriormente l’offerta nostrana, già apprezzata e riconosciuta a livello internazionale.

Buone vacanze!

6 agosto 2008

La fitta agenda del premier


Berlusconi in conferenza stampa ha sventolato davanti ai giornalisti un foglio denso di appuntamenti. Mossa azzardata. Ovviamente c'è stato chi si è messo a esaminare quello che c'era scritto. Gli incontri politici erano sicuramente numerosi, ma i "comunisti" hanno subito notato dei nomi scomodi che non appartenevano a esponenti politici: «Manna» e «Troise». Li ricordate?
Vediamo che dice Il Corriere della Sera (citato anche da Dagospia)
Accanto sono segnati appuntamenti con il deputato-avvocato Niccolò Ghedini e Gianni Letta. C’è un «tel. Bossi». Segue, alle 16, Cesare Previti. Quindi «Manna» e «Troise», due cognomi che richiamano le contestate «raccomandazioni» nelle telefonate con Agostino Saccà, ovvero le attrici Evelina Manna e Antonella Troise (quella che nelle intercettazioni il premier definì «pazza pericolosa»).

E ancora Staderini, ovvero Marco Staderini, il consigliere d’amministrazione Rai di area Udc. Più sotto si legge «Di Girolamo», cognome che evoca un altro bigliettino còlto dai fotografi: quello che il premier, alla Camera, inviò due mesi e mezzo fa alla deputata Nunzia De Girolamo e a una collega («...vi autorizzo ad andarvene! Molti baci a tutte e due!!!»).

La giornata si conclude con una nota familiare: «Sardegna per compleanno Barbara», la figlia. E un appunto a mano dove Berlusconi scrive del «Milan a. c. campione del mondo» e di se stesso: «Al presidente n˚1. Al presidente più vittorioso nella storia del calcio. N˚1 nella storia del calcio...».

4 agosto 2008

Bellezza autenticamente ritoccata

Dove, che da anni ha lanciato una rivoluzionaria campagna per la bellezza autentica (vi sembra scontata di questi tempi?), ha prodotto anche questo illuminante spot, sviluppato dalla Ogilvy London.

Sorge spontanea una domanda: che fine ha fatto la bellezza autentica?

Una simpatica pubblicità d'incontri con donne russe, che utilizza i ritocchi in photoshop solo per lo sfondo: le modelle non ne hanno bisogno.

Lagnanze...


Penso che parecchi si rispecchieranno in questa vignetta del mitico Altan...

1 agosto 2008

Stop global warming - 5

Comprate oggi una villetta a 7 chilometri dalla costa. Tra qualche anno avrete una casa in riva al male. Investite sul global warming!

Lo spot è stato trasmesso il primo aprile del 2007. L'agenzia RetEuropa e il lungimirante complesso di villette a Sant’Arcangelo di Romagna avevano suscitato clamore all'epoca. Nessun intento commerciale: era una campagna ben congeniata di La7 e Mtv nell'ambito del progetto Free Your Mind 2007 dedicato all'ambiente. Passato il primo aprile - e raccolte oltre 10mila telefonate ed e-mail - l'arcano è stato svelato da un messaggio aggiuntivo posto alla fine dello spot: "Oltre 45 chilometri quadrati di coste italiane rischiano di sparire per sempre. E questo non è un pesce d'aprile".
In questa giornata di caldo bestiale, un altro invito a combattere il surriscaldamento globale