19 febbraio 2011

Non accade qui, ma adesso...


Sono uscita dalla mostra di Paolo Pellegrin con un malessere che dura ormai da qualche giorno. Vedendo quelle immagine di guerra, povertà, carestia, malattia ho avuto una sensazione strana, indecifrabile. Come se d'inverno qualcuno ti rompesse il vetro del salotto per farti notare che fuori c'è una bufera di neve. Sapevo che le tragedie raccolte in quelle decine e decine di fotografie erano successe. Le avevo seguite, come tanti, attraverso i resoconti (mai molti in Italia) dei giornali e degli approfondimenti televisivi. Vederle tutte riunite, tutte registrate da una stessa persona che, a dire il vero, non ha neppure molti anni più di me, è come se avesse reso tangibile per la prima volta tutto il dolore che c'è nel mondo. Nel mondo in cui io vivo, non in quello che c'era prima della mia nascita. Nel mondo che conosco bene, dove ho così tanta disponibilità di cibo da potermelo dimenticare nel frigorifero per settimane, dove il superfluo riesce a trasformarsi in necessità e dove ci riempiamo le giornate con passatempi che ricordano quelli dei criceti in gabbia. Due mondi così distinti e inconciliabili come fanno a convivere nello stesso momento?
Oggi, mentre assieme ad altre centinaia di persone sprecavo il pomeriggio in coda alla cassa di un ipermercato, comprando merci fabbricate chissà dove, chissà da chi e a che prezzo, sono riusciuta a dare un nome al mio malessere: l'ho chiamato senso di colpa...
In una striscia di Quino, Mafalda chiede a Felipe di immaginare come potrebbe essere la realtà se non esistessero le distanze e tutto accadesse qui e adesso. "Ti rendi conto?".

Una bellissima campagna di Amnesty International, da cui è preso il titolo di questo post, si propone proprio questo: annullare lo spazio, far saltare la difesa psicologica della distanza. Il risultato è questo:

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