12 febbraio 2009

Il cancro fa perdere il lavoro

Un figlio malato di tumore è già di per sé una tragedia. Ma ancora peggio è dover preoccuparsi ella sopravvivenza della propria famiglia dopo che si è perso il lavoro a causa delle assenze prolungate dovute alla malattia del figlio.
Un bambino o un ragazzo che affronta una battaglia così grande (spesso insostenibile per un adulto) non può essere lasciato a se stesso. Eppure si impone ai genitori di scegliere se dedicargli le attenzioni dovute o se continuare a portare a casa lo stipendio che serve per vivere. Come possono gestire una simile situazione i milioni di precari e di autonomi che spesso non sono tali per propria scelta ma perché le aziende non vogliono costi fissi?
Un genitore su quindici si trova in questa drammatica situazione.
La notizia sull'Ansa di oggi
TUMORI:SE FIGLIO MALATO, UN GENITORE SU 15 PERDE LAVORO
ROMA - Un genitore su quindici di bambini malati di tumore perde il lavoro a causa delle prolungate assenze fatte per assistere il figlio. Questo è uno dei risultati dell'indagine sulle famiglie realizzata dall'associazione Peter Pan, in occasione della VII Giornata Mondiale contro il cancro infantile. "Tenendo conto delle 5 fasi della malattia, diagnosi, chemioterapia, chirurgia, radioterapia e follow up - ha spiegato Raffaele Cozza, dell'Unità Operativa di Oncologia Pediatrica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma - le giornate dedicate all'assistenza sono circa 150 all'anno". Esistono già strumenti normativi a tutela dei genitori, come la legge 104/1992 che concede congedi parentali e un assegno di accompagno ma si tratta di un provvedimento "insufficiente e inadeguato" secondo Maria Teresa Barracano Fasannelli, presidente onorario dell'associazione Peter Pan, perché garantisce tutele solo ai lavoratori dipendenti, lasciando fuori artigiani, lavoratori autonomi e i lavoratori precari. Dall'indagine emerge anche un'altra questione cardine, per la quale la Fiagop, Federazione Italiana Associazioni Genitori Oncoematologia Pediatrica Onlus, chiede una rapida revisione della legge 104, vale a dire i tempi di attesa lunghissimi che intercorrono tra la presentazione delle domande e l'ottenimento dei benefici. Nel 26% dei casi trascorrono tra 1 e 2 mesi, nel 40% tra i 3 e i 4 mesi e nel 13% dai 6 ai 12 mesi. (ANSA)

A perdere il lavoro sono nella maggior parte dei casi gli stessi lavoratori in malattia. I tumori mediamente comportano periodi di terapie e convalescenze prolungate, se non addirittura invalidità permanenti. Per un malato che si sottopone a chemioterapia - e che magari non abita proprio a un passo dall'ospedale che gli fornisce le cure - ci sono viaggi continui da compiere, malessere a casa e difese immunitarie ai minimi storici. Andare in ufficio non è proprio indicato. Ma in caso di malattia, dopo un lasso di tempo indicato nel contratto collettivo, il lavoro viene perso. Ci sono passata con mio padre, che allora era l'unico ad avere in famiglia un reddito, e se non avesse avuto la "fortuna" di scoprire la sua malattia a settembre (a cavallo quindi tra 2 annualità diverse), avrebbe perso il lavoro entro l'anno nuovo. E i malati e i loro familiari sanno molto bene quanto costino le cure, quanto costi l'assistenza (sia che la facciano personalmente, sia che la deleghino a infermieri) e quanti prodotti o medicine che alleviano le sofferenze del malato non siano mutuabili.
Mi sembra che in Italia ci sia un'ipocrisia di fondo: si inneggia alla vita, al rispetto per i malati, ma questi sono sempre abbandonati alle loro famiglie, che per giunta si trovano a essere penalizzate lavorativamente per questa situazione. Da un lato politici e vertici religiosi portano avanti delle crociate per obbligare i medici e i familiari dei malati in condizioni disperate a non sospendere l'alimentazione e l'idratazione (meglio sospendere i farmaci causando trombosi o ictus?), dall'altro non si sostengono abbastanza le persone che stanno lottando per sé o per i propri cari e che avrebbero la possibilità e soprattutto che vorrebbero, una volta guarite, riprendere la loro vita di sempre, magari con maggiore forza interiore. Sempre che il lavoro sia lì ad aspettarli...

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