L'episodio che ho seguito era questo:
Sensazione di déjà vu.
Ci ho pensato e ho buttato giù la trama dell'episodio:
- si presenta una situazione iniziale "drammatica" che solo l'eroe può risolvere (nello specifico un ristorante con un pessimo menù, uno chef incapace e una dispensa con muffa e vermi);
- l'eroe si impegna per cambiare lo status quo (cucina pulita, nuovo menù, nuovo design del ristorante);
- l'antagonista non ci sta e mette i bastoni tra le ruote dell'eroe (opposizione dello chef, tentativo di servire al critico gastronomico un piatto del vecchio menù);
- litigate furibonde davanti alle telecamere tra eroe e antagonista (con tanto di urla che arrivano dalla cucina mentre le telecamere inquadrano persone sedute ai tavoli che ascoltano tra il divertito e l'imbarazzato - e il pubblico scopre così che servire un piatto dozzinale è un atto di lesa maestà, ma fare bagarre davanti ai clienti crea atmosfera al pari dell'aroma di lavanda - con - ciliegina sulla torta - l'abbandono del campo da parte dell'eroe che sembra sul punto di arrendersi;
- l'eroe ovviamente non si arrende e riprende il grembiule;
- nel giro di 30 secondi il ristorante è salvo, l'antagonista e l'eroe si rivalutano improvvisamente a vicenda senza un valido motivo che possa spiegare un simile cambiamento e tra baci e abbracci partono i titoli di coda. Il ristorante è finalmente riuscito a fare degli incassi decenti. Il lieto fine perfetto (siamo pur sempre nella patria del capitalismo!).
Questo è lo schema di Propp tristemente o felicemente noto a tutti coloro che hanno studiato semiotica.
- Equilibrio iniziale (inizio)
- Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione)
- Peripezie dell'eroe
- Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione)
Studiando le fiabe, Propp si convinse che la struttura di ogni narrazione è relativamente stabile, con combinazioni tra funzioni di numero finito.
Quello che fa la differenza, e determina potenzialmente un numero infinito di storie, è l'ambientazione e la caratterizzazione/psicologia dei personaggi.
Nell'episodio in questione di Cucine da incubo ho scovato almeno una decina di funzioni. Tantine per un reality show di mezz'ora.
Abbastanza per dire che sia tutto il frutto di una sceneggiatura? No, però sufficiente a giustificare il mio déjà vu.
Rispetto ad altri reality show ho trovato discutibile lo sviluppo temporale. Una giornata può andare bene per rifare il make up o cambiare taglio di capelli, non certo per poter dire di aver salvato un ristorante. I risultati si vedono nel lungo periodo. In programmi come "Made", di cui ho apprezzato le due prime edizioni, si vedevano i progressi graduali e sul campo, giorno per giorno. Si ricordava che ogni cosa arriva grazie all'impegno, un messaggio sicuramente apprezzabile in un reality show rivolto ai giovani. In questo programma no. Un paradosso: proprio nel programma di uno chef si sostiene il fast food televisivo. E, tornando alle favole, si arriva all'assurdo ruolo dell'eroe che però è anche fatina e che con la sua bacchetta risolve magicamente tutti i problemi: toglie la muffa, cambia il menù e mette dei nuovi tendoni. Ma se il cuoco non sa cucinare, se dopo due settimane ci sono i sorci in cucina o se la gente è così affamata che se le mangia le tende nuove, il ristorante può chiudere. Ma non è un problema. Per allora le telecamere saranno già altrove...
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