13 maggio 2020

Il controsenso dell’allattamento al seno… a orario!

In passato – sul finire degli anni Settanta – i pediatri spesso consigliavano alle neomamme di non allattare a richiesta i figli, ma di attaccarli al seno a intervalli prestabiliti, non inferiori alle 3 ore. Ci sono donne che raccontano di aver sentito piangere disperatamente i figli nelle nursery ospedaliere e di non averli potuti attaccare al seno perché “non era ancora il momento”. Una sofferenza per il neonato ma anche uno schiaffone all’istinto materno, che doveva subito abbassare la cresta di fronte alle scelte di natura organizzativa: i turni del personale ospedaliero venivano prima delle richieste del bambino. Questa credenza era poi legata alla formazione che veniva impartita circa il latte artificiale, meno digeribile del latte materno e che quindi non poteva essere somministrato troppo frequentemente.

Oggi sappiamo che allattare al seno a orari prestabiliti non è rispettoso della fisiologia del bambino ma risponde a esigenze di tipo organizzativo. Ce lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che indica l’allattamento al seno a richiesta come la migliore forma di alimentazione del neonato e del lattante. Purtroppo ancora troppe neomamme allattano a orari prestabiliti, per l’assenza di adeguate campagne informative che possano aggiornare le indicazioni sbagliate ricevute da operatrici poco aggiornate o dalle madri di ieri, nonne di oggi.

A volte succede che gli operatori sanitari diano consigli inappropriati e, molto spesso, almeno per quanto riguarda l’allattamento, ciò deriva dal fatto che non sono stati formati sul sostegno alle mamme nella promozione dell’allattamento neanche durante le loro specializzazioni. Purtroppo, poi, questi consigli si diffondono anche fra i genitori” scrive il pediatra Sergio Conti Nibali su Uppa.it.

Aggiungiamo che l’allattamento a richiesta è molto faticoso, fisicamente e psicologicamente, e serve un grande supporto alla madre, che non sempre è disponibile nella società atomizzata di oggi. Se le problematiche di natura fisica sono più o meno comprensibili a tutti (tutti possono capire, ad esempio, cosa può voler dire non fare 5 ore di sonno continuativo per 6-8 mesi), il carico psicologico può essere meno comprensibile. Per una donna priva di un’adeguata rete di sostegno, l’allattamento a richiesta è un’esperienza alienante: ci si vede improvvisamente le giornate scandite da un neonato prima, lattante dopo, che a seconda dei suoi bisogni ti può chiedere di attaccarsi anche ogni mezz’ora. “E’ un capriccio, non lo fa per fame”, dicono le donne della vecchia scuola. Ma ci sono fin troppi esperimenti e prove che attestano che per un cucciolo di uomo il bisogno di contatto è importante quanto quello di affetto. E, scendendo più nel pratico, con la suzione alimenta la produzione di latte, scongiurando il rischio di trovarsi senza cibo. Insomma, attaccarsi al seno è biologicamente una strategia di successo per la sopravvivenza della nostra specie.

Quando invece si può procedere con l’allattamento a orari? Alcuni pediatri lo consigliano per ridurre il reflusso gastroesofageo, ma anche in quel caso ci sono pareri discordanti: se da un lato infatti è preferibile che il bimbo faccia pasti piccoli e frequenti, dall’altro può causare un peggioramento del disturbo ad esempio se la madre ha un riflesso di emissione forte o il bimbo è particolarmente goloso.

Oggi l’allattamento a orari viene suggerito principalmente a beneficio della madre, che potrà pianificare le proprie attività, riposarsi maggiormente e non implodere sotto il carico degli impegni familiari, domestici e/o lavorativi. Si considera l’importanza del benessere della madre, perché nessun bambino può stare bene se l’altro membro della diade è in sofferenza. Ed è un bel passo avanti rispetto a quando si considerava un neonato appagato solo da un pannolino pulito e da una poppata temporizzata.

8 marzo 2020

Coronavirus e l'ansia da scoop

"Oops, I did it again" cantava Britney Spears qualche anno fa. Lo potremmo eleggere a jingle per la stampa nostrana quando si tratta di annunciare i provvedimenti del Governo.
E' successo con la chiusura delle scuole. A ora di pranzo, quando chi è al lavoro può guardare le news, circola la notizia che il Governo ha stabilito la chiusura delle scuole per altre 2 settimane.
La notizia rimbalza e impazza, il ministro dell'Istruzione corre ai microfoni per dire che non c'è ancora nulla di certo. Keep calm e per il momento scuole aperte.
Nel tardo pomeriggio arriva la conferma ufficiale della chiusura, ma nel frattempo c'era stato un bel po' di trambusto.

Repubblica ha pensato bene di dare dei cialtroni a quelli del Governo, perché le loro fonti vengono prima di tutto. Ma in una situazione così delicata non si possono aspettare le comunicazioni ufficiali anziché affidarsi a Gola Profonda? Il diritto di informare viene prima del diritto dei cittadini di essere informati correttamente e con coscienza? Ma poi, possibile che non si dia neppure il tempo di diramare una comunicazione ai dirigenti scolastici e che debbano scoprirlo dalle chat dei genitori che seguono le pagine del quotidiani su Facebook?
 Ma dopo il caso scuola avranno capito... No. Ieri sera arriva l'annuncio che tutta la Lombardia entra in zona rossa. Nessuno potrà più entrare o uscire. Una notiziola insomma.
la Repubblica la presenta così, col bollino rosso. "Paura, eh?" direbbe Lucarelli.
Infatti. La gente si accalca nelle stazioni di Milano, sale sui treni senza biglietto chiedendo che venga fatto a bordo. Cerca in ogni modo di fuggire dalla Lombardia per timore di finire isolato, lontano da casa con scuole chiuse e lavoro in stand-by. 
Leggete l'ora dallo screenshot: 20:25. Il provvedimento del Governo è stato firmato alle 3.20 di notte. "È necessario chiarire quel che è successo - ha dichiarato il premier Conte - una cosa inaccettabile: un dpcm, che stavamo formando a livello di governo per regolamentare le nuove misure che entrano in vigore subito, lo abbiamo letto su tutti i giornali. Ne va della correttezza dell'operato del governo e della sicurezza degli italiani. Questa pubblicazione ha creato incertezza, insicurezza, confusione e non lo possiamo accettare".
Più che l'ansia da Coronavirus siamo in balia dell'ansia da scoop...


25 febbraio 2020

Coronavirus e giornalismo di disservizio

Sabato mattina ho partecipato a un evento pubblico a cui hanno aderito oltre 200 famiglie: adulti, anziani e soprattutto bambini. Tantissimi bambini, molti dei quali sotto l'anno di età. Tutti riuniti nello stesso luogo, al chiuso.
A distanza di poche ore, alcune delle persone che ho visto assaltare un buffet erano impegnate ad assaltare gli scaffali dell'Esselunga.
Che cos'era successo nel mezzo?
Che si era diffusa la notizia che un nuovo virus, il coronavirus mutante cinese, era arrivato all'ospedale San Raffaele.
In poche ore il clima di festa è diventato il secondo tempo di "Io sono leggenda". Su Facebook e nei gruppi locali si leggevano messaggi sempre più allarmati. Dopo ogni tg c'era gente, in evidente stato di agitazione, che parlava di tassi di mortalità pari all'ebola (che però uccide più di un contagiato su due, non 2 su 100 se versano in condizioni di salute precarie), accusava le istituzioni di tenerci nascosti chissà che esperimenti virali, chiedeva nome, cognome e indirizzo del "paziente 1" per poter ricostruire le sue frequentazioni.

Che cos'ha scatenato il panico? 

I giornalisti nostrani, che anziché fare informazione responsabile spiegando quali accorgimenti adottare e stimolando il senso civico ("temi di essere entrato in contatto col virus? Resta in quarantena, non prendere il treno per tornare a casa o andare nella casa vacanze") hanno iniziato a tempestare il pubblico con bollettini di guerra. I contagiati salivano a ogni edizione, senza spiegare che sì, il virus si stava diffondendo ma non è mortale come l'ebola. Neppure lontanamente.
A contribuire a questo terrore diffuso, l'insistenza nel presentare il Paziente 1 come sportivo, giovane e in perfetta salute. Un maroneta, praticamente Superman. Se era in punto di morte lui, ovviamente, non si trattava di una "poco più che influenza" come alcuni cospiratori volevano farci credere. Peccato che pochissimi abbiano sottolineato che lo stessero curando con antibiotici perché avevano completamente sbagliato la diagnosi per giorni e che due maratone in un breve lasso di tempo depotenziano il sistema immunitario, non ti rendono superman.

Che cosa avrebbero dovuto dire?

Semplicemente che si tratta di un virus poco letale ma molto contagioso, per cui non ci sono protezioni vaccinali e che può raggiungere facilmente gli alveoli polmonari causando complicazioni serie. Quindi si potrebbe diffondere rapidamente e colpire anche le categorie più a rischio, quelle che in tempi normali fanno il vaccino antinfluenzale per proteggersi dai malanni di stagione. Così come potrebbe causare una brutta polmonite in un paziente giovane, perché ogni sistema immunitario risponde a suo modo.
Avrebbero dovuto ripetere come un mantra che il vero problema è legato a quel 15-20% di possibili complicazioni polmonari, per cui si potrebbe rendere necessario il ricovero ospedaliero e per cui le cure sono lunghe e al momento del tutto sperimentali. E se ci fosse un picco esteso i reparti andrebbero al collasso, non ci sarebbero abbastanza posti per tutti i malati. In Cina hanno creato un ospedale in 12 giorni, in quel lasso di tempo in Italia forse si arriva a una riunione del consiglio dei ministri.
Servizio pubblico è spiegare come limitare la diffusione del virus, invitando a norme igieniche basilari, limitando i contatti pubblici e non facendosi prendere dal panico.
La chiusura all'improvviso dei supermercati di Codogno e comuni limitrofi è stata una buona idea? Ovviamente no, visto che i residenti hanno dovuto spostarsi in città per fare provviste. E l'assenza di comunicazioni da parte delle istituzioni ha contribuito al panico. Ma i tg avrebbero potuto dare un contributo a riguardo, se non fossero stati troppo impegnati a fare la conta schizofrenica dei contagiati.
Di fatto, hanno buttato benzina sul fuoco per la gioia degli investitori.


Il Corriere.it ha ripubblicato sulla propria piattaforma video un contenuto del medico Roberto Burioni, pubblicato originariamente su Medical Facts. Lo ha riproposto senza citare la fonte, apponendo il proprio marchio di "Corriere TV" e aggiungendo il preroll (l'adv iniziale) che l'editore originale non aveva previsto. Sono riusciti a fare un capolavoro: monetizzare su un servizio che era stato offerto gratuitamente.
Ora, perché questo delirio mi ha spinto a scrivere questo post? Perché penso che i giornalisti abbiano contribuito non solo a far volare alle stelle i prezzi dell'Amuchina o a svuotare gli scaffali dei supermercati con scene da Guerra Fredda. Perché hanno reso quasi introvabili le mascherine, che servono a medici, infermieri, soccorritori. Hanno colpe ben peggiori: anziché evitare una possibile crisi del sistema sanitario hanno immediatamente causato la crisi dei soccorsi. Il 112 è diventato quasi inutilizzabile. Ci sono tempi d'attesa drammatici per un numero d'emergenza. Leggiamo di giornalisti che si vantano di aver personalmente verificato - anche più volte! - come sia difficile parlare con un operatore. Mi sembra un'ottima idea intasare ulteriormente i centralini, questo sì che è giornalismo d'inchiesta. Quello utile.

Purtroppo a pagarne le spese sono sempre gli altri.

Oggi, nella mia città, un uomo è morto d'infarto mentre attendeva i soccorsi. Sono stati chiamati appena si è accasciato a terra, l'ambulanza è arrivata in meno di una decina di minuti... peccato che fosse trascorsa oltre mezz'ora nel tentativo di contattare il 112. Ed è morto così, una vittima del panico da coronavirus che non comparirà in nessuna statistica ufficiale.
E quindi lo ricordo io: il 24/02/2020 un uomo è stato vittima della psicosi da coronavirus.
Il giornalismo di disservizio causa morti.

2 settembre 2019

Disciplina Dolce o Disciplina Assente?

Quando si diventa genitori si scopre un’ecosistema di metodi, teorie e filosofie educative. Una di quelle che apprezzo maggiormente è la Disciplina Dolce, che parte da un assunto che approvo, ovvero di trattare i bambini con dignità ed empatia. Sembrerà scontato, verrebbe da dire. E invece no, perché la nostra società, nella pratica, ci ha insegnato a pensare al bimbo come a un piccolo adulto, al massimo a un adulto poco evoluto. Estevill, il guru di “Fate la nanna“, si è arricchito presentando neonati e lattanti come dei furbi manipolatori, pronti a soddisfare ogni vizio prosciugando energie vitali ai genitori. Non sentitevi in colpa se piangono, se lo meritano – sembra dirci.

La mia generazione è stata spesso cresciuta con attenzioni limitate agli aspetti materiali. Fin dal primo vagito siamo stati separati dalla mamma e messi in gelide (la mia lo era davvero!) nursery, assieme ad altri neonati urlanti. Ma se è scientificamente dimostrato che un cucciolo privato della mamma preferisce un peluche caldo a un freddo erogatore automatico di cibo, perché diamo per scontato che il cibo sia più importante del senso di protezione o di calore? Perché siamo diventati dei feticisti delle curve di crescita ma non spendiamo neppure un secondo a pensare se nel dare il biberon abbiamo abbracciato il pupo o abbiamo avuto un contatto visivo con lui? Perché i pediatri non chiedono quanto tempo passa un neonato a contatto con la madre e molti considerano una “scocciatura” l’eliminazione delle nursery ormai attuata negli ospedali?

Eppure lo scarso contatto con la madre può avere esiti negativi, come ben sanno nei reparti di terapia intensiva neonatale, dove i genitori sono invitati – per quanto possibile – a toccare i propri figli, favorendo così la corretta costruzione neurologica e la maturazione cerebrale (Schore, 2008). Perché staccarsi dal proprio “cucciolo” a 3 o 4 mesi viene visto come la “normalità” e non come un sacrificio imposto a madre e bimbo da una società sempre meno rispettosa della fisiologia umana, al punto che alcune donne che pur potrebbero tenere i bimbi con sé si chiedono se non sia il caso di mandarli al nido?

In questo scenario adultocentrico, chi sostiene l’allattamento al seno, il contatto pelle-a-pelle, il baby-wearing, il co-sleeping, l’autosvezzamento e tante altre pratiche che condividono l’idea di “assecondare i bisogni naturali” si trova naturalmente orientato alla Disciplina Dolce. Che non è un metodo, quanto un approccio rispettoso verso i propri figli (ma più in generale verso il genere umano, perché avrebbe poco senso non urlare al proprio bimbo e tirare pentole sulla testa del padre in sua presenza).

Il rischio è che la Disciplina Dolce si trasformi in un “fate come vi pare”: il lassismo.

Chiariamo, ci sono persone che fanno un lavoro egregio mantenendo sempre la calma, non alzando mai la voce (le mani non parliamone neppure) e insegnando il rispetto per il prossimo ai figli partendo dall’esempio (e i gesti quotidiani valgono più delle parole). Ma come le vittime de Il signor Distruggere hanno screditato per estensione tutta la categoria “mamme” (perché ormai se si allatta fino all’anno come consigliato dall’OMS ci si becca della “Pancina”), così i genitori troppo permessivi e iperprotettivi hanno reso la Disciplina Dolce una realtà da cui prendere le distanze per non essere giudicati negativamente dall’uomo della strada.

Un esempio pratico? Madre che in anonimo racconta in uno di questi gruppi che il figlioletto ha investito di proposito una bimba con la bicicletta e si è vantato del gesto. Il tutto avviene al parco giochi in presenza di entrambi i genitori. La madre lo spinge a pedalare altrove, il padre anche per dare “giustizia” ai genitori della vittima (che per fortuna non si è fatta un graffio) vuole reagire con un castigo (sequestro del mezzo); ne esce una discussione perché accusa la madre di avere un approccio troppo permissivo, tanto che i figli dicono che in casa nessuno comanda. Fin qui niente di strano, una dinamica familiare abbastanza normale, una madre chiede consiglio su come gestire la differente visione educativa col marito e cerca rassicurazioni sul proprio approccio. Che ovviamente non tardano ad arrivare.

Non si può giudicare un genitore da pochi commenti.

Astraendoci da questo caso specifico, che serve solo come esempio, noto una confusione di fondo tra riconoscere al bimbo la dignità di un adulto e riconoscerlo come pari di un adulto. Un bambino non è un adulto, deve imparare a rispettare le regole di una società che è sempre più spietata e competitiva ed è compito del genitore accompagnarlo in questo difficile percorso, scegliendo se farlo con uno stile autoritario o autorevole. Non col lassismo e il “è giusto che nessuno comandi”, perché una forma genitoriale troppo accondiscendente è inadeguata e potenzialmente nociva tanto quanto quella autoritaria.

In famiglia si ascoltano tutti i pareri, ma gli adulti sono i genitori, non è una tavola rotonda di pari.

La Disciplina Dolce non è lassismo. Ricordarlo non fa mai male.

24 luglio 2019

Allattamento al seno, le cose che nessuno (o quasi) ti dice per tempo

Alzi la mano chi è arrivata impreparata all’allattamento. Io sì, eppure avevo fatto un corso preparto che, rispetto ad altri, ha dedicato un sacco di tempo all’argomento. Comunque ho scoperto di essere in buona compagnia.

Purtroppo si parla tanto di gravidanza (spesso anche a sproposito) e poco di cosa accade dopo. Da un lato è facilmente spiegabile: le variabili in gioco sono troppe. Mentre le gravidanze più o meno procedono per tappe standard uguali per tutte – e se non lo sono, c’è un problema -, quello che avviene dopo il parto è molto meno prevedibile.

Me ne accorgo guardando le guide dedicate ai bimbi: in gravidanza puoi trovare mille siti che settimanalmente ti parlano dello sviluppo di tuoi figlio e dei sintomi che ti puoi attendere; dopo c’è poco e quel poco è così lontano dalla tua realtà che risulta quasi inutile.

L’altro problema è legato al fatto che le neomamme hanno pochissimo tempo e spesso poca voglia di confidarsi. Delle più ciarliere si sa tutto quello che accade prima, pochissimo di quello che accade dopo.

Quando si emerge dall’apnea il ricordo è annacquato. E’ questo uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire il blog: ricordare questi momenti e le montagne russe emotive che accompagnano la nascita del primo figlio.

Passiamo quindi a tutto quello che ho scoperto sull’allattamento solo all’atto pratico. 

  1. Fa male. Non per sempre ma fa male.
    Ai corsi preparto non ho mai sentito dire che attaccare il bimbo nei primi tempi è doloroso. Forse non si vuole scoraggiare le puerpere, ma è un errore perché il dolore c’è lo stesso e senza rassicurazioni una donna può pensare di avere dei problemi e scoraggiarsi. Perché l’intensità è variabile, ma fa male, in alcuni casi malissimo. Proverete dolore spremendo il seno, proverete dolore col tiralatte, proverete dolore quando vostro figlio con una fame vorace sembrerà sul punto di staccarvi il capezzolo. L’immagine della madre in allattamento con le unghie conficcate sulla poltrona non è necessariamente un’iperbole. Però pensate che è solo per i primi giorni, massimo la prima settimana, e poi non sentirete più niente. C’è anche chi dice sia piacevole. Abbiate quindi pazienza, fa bene a voi – sì, nonostante il dolore aiuterà il vostro corpo a riprendersi prima dalla gravidanza – e il latte materno è sicuramente la scelta migliore per un neonato. Se il dolore non passa, c’è un problema di attaccamento sbagliato che andrà corretto il prima possibile. Ci sono consultori e la Leache League a supportarvi.
  2. Ma è arancione! No è giallo! Ora è blu!
    Il latte materno varia col passare del tempo. Il più nutriente è quello che viene chiamato colostro, che è una sorta di prelatte (o superlatte se guardiamo alle sue caratteristiche) che viene prodotto appena dopo la nascita del bambino (e spesso fa la sua comparsa durante la gravidanza). Il colostro si trasforma via via in latte, quello di transizione è giallastro, per poi diventare sempre più bianco, trasparente, con riflessi bluastri (all’inizio potreste pensare di avere allucinazioni da stanchezza ma no, è proprio blu).
    Ho anche scoperto che il latte può cambiare colorazione in caso di malanni del bambino, perché la madre dà razioni extra di leucociti (fonte).
  3. Allenate i capezzoli
    Ai corsi preparto si parla tanto di pavimento pelvico e non una parola sui capezzoli. Perché basta dire “controllate che escano correttamente, altrimenti è il caso di allenarli per facilitare un buon attacco”. In vendita esistono dei formacapezzoli (dal nome sembra uno strumento di tortura, in realtà sono simili alle coppette raccogli-latte con i fori più piccoli) da utilizzare durante la gravidanza: a tantissime donne infatti l’aumento repentino del seno comporta introflessione del capezzolo. Potete tirarlo oppure mettervi durante la notte queste “formine” che faranno il lavoro sporco. A voi la scelta, l’importante è che sappiate che pensandoci prima vi risparmierete una scocciatura dopo (visto che ce ne saranno già abbastanza).
  4. The winter is coming
    I primi tempi di assestamento ormonale avrete delle vampate di calore alternate a momenti in cui sentirete freddo. Ma è un freddo che – almeno io – non avevo mai provato nella mia vita. E’ un freddo che arriva dall’interno, come se nelle vostre viscere al posto del sangue avesse iniziato a scorrere frozen yogurt. Non ve ne libererete con coperte o altro, anzi, si rischia solo di addormentarsi e svegliarsi in una pozza di sudore quando poi arriverà la vampata di calore. Quando sta per arrivare preparatevi una tisana bollente. Non passerà del tutto ma vi sentirete meno Regina di ghiaccio.
  5. Influenza? No, montata lattea
    L’arrivo della montata lattea può essere annunciato da sintomi gradevoli quanto un’influenza invernale. Sul petto possono fare la loro comparsa delle placche dure, le ascelle potrebbero gonfiarsi, vi sentirete completamente fuori fase. Ma non misuratevi la febbre mettendo il termometro sotto l’ascella: il vostro seno ha raggiunto temperature da piastra per toast e finireste per prendervi una tachipirina senza motivo.
  6. Oddio un nodulo!
    A un certo punto vi capiterà tra le mani un nodulo. E vi metterete a calcolare, in preda all’ansia, quando avete fatto l’ultima visita ecografica. Senza trascurare i sintomi, è probabile che non sia nulla di grave. Keep calm and… have a hot shower! Anche se verrebbe spontaneo farlo, non interrompete l’allattamento al seno: nessuno meglio di vostro figlio potrà sgorgarvelo.
  7. Normale, mucca o fontana?
    Ci sono donne che hanno poco latte, donne che ne hanno il giusto e donne che ne hanno troppo. E quando è troppo, è uno stress per la madre – che si trova costretta a fare più cambi d’abito di una soubrette sul palco di Sanremo – ma anche per il bimbo: per lui, soprattutto i primi tempi, sarà come farsi sparare in gola con una bottiglia seltzer. Se notate che il vostro seno zampilla o sgocciola eccessivamente e che il bimbo non è soddisfatto delle poppate, si agita, si stacca, urla e tossisce, non trascurate il problema. Alcune mamme arrivano addirittura a fraintendere la situazione (angosciate dal continuo “ma avrai abbastanza latte?” di donne che a loro volta se lo sono sentite chiedere) e a dare integrazioni di latte artificiale che il piccolo prende senza tante tragedie. Ci sono passata: nonostante sapessi di avere latte in abbondanza (al punto da mettere ko il tiralatte elettrico), di fronte ai pianti di mio figlio avevo comunque il dubbio che non fosse sufficiente. Perché tutti parlano della carenza di latte, non dell’eccesso. Per escludere questo problema, quando sentite la “scarica” che vi avverte della fuoriuscita del latte, verifica il flusso. Se zampilla, lo farà anche nella gola del pupo, causandogli ingestione d’aria, latte che gli va di traverso e così via. Io ho risolto con due semplici accorgimenti: allattamento in posizione totalmente sdraiata e sessione di tiralatte prima di farlo attaccare nel caso in cui il seno sia particolarmente gonfio.
  8. Maledette coppette d’argento
    Non servono a nulla se non a tenere lontano il capezzolo dolorante dai vestiti (quindi si può ottenere lo stesso risultato con una coppetta in silicone, una conchiglia o stando a seno nudo); di solito hanno una placcatura troppo blanda che si toglie dopo poco, sono rigide (a me si conficcavano nelle costole stando sdraiata) e se si perde molto latte peggiorano la situazione perché lasciano il capezzolo sempre umido. Ci sarà sempre qualcuno pronto a consigliarvele dicendo “mi faceva male, con quelle è passato tutto in un giorno e non ho avuto ragadi”. Bene, a me stava venendo una ragade ed è passata in una notte non mettendoci nulla. Se non ve le regala la nonna, risparmiate questi soldi per regalarvi un piccolo sfizio.
  9. Lo stress ruba il latte
    Se il bimbo si nutre di latte materno ma non riesce ad attaccarsi al seno, può capitare che abbia fame in un momento non previsto (più difficile col latte artificiale che è meno digeribile e sempre uguale a se stesso) o che il latte messo da parte non sia utilizzabile e che quindi dobbiate ricorrere al tiralatte in tutta velocità.
    Immaginate la scena. Sono le 2 di notte, avete appena nutrito il pargolo, il seno è svuotato. Stupido cercare di riempire il biberon in quel momento, col tiralatte ci mettereste un’ora. Decidete quindi di mettete la sveglia alle 4.30 per darvi il tempo di mangiare qualcosa e preparare il biberon delle 5. Peccato che il pupo abbia una serie di rigurgiti e si svegli alle 3.30 affamato come non mai. Vi svegliate di soprassalto, avete sete, mal di testa. Capite il problema e vi armate di tiralatte. Ma cercare di riempire un biberon mentre un neonato famelico urla come se lo stessero dilaniando è un’esperienza stressante (essì che – lavorativamente parlando – non mi sono fatta mancare le emozioni). E più lui urla, più voi vi agitate, più il latte si fa attendere.
    In quei casi non sentitevi la madre peggiore del mondo se fate l’unica cosa sensata: prendetevi una pausa. Andate in un’altra stanza, bevete qualcosa, mangiate qualcosa, ascoltate musica o guardate la tv. Spegnete il baby monitor mentre lo fate, tanto sapete che sta urlando dalla fame. Svuotate la mente. Tirate il latte mentre vi rilassate. In 5 minuti di relax avrete fatto quello che non sareste riuscite a fare in mezz’ora e potrete dare il biberon a vostro figlio con tutta la positività che gli serve.
  10. Il vostro latte potrebbe – occasionalmente – fargli schifo
    Mi riallaccio al punto precedente con una precisazione che è stata anche una scoperta. Vi chiederete: ma perché non lasciavi delle dosi pronte, in modo da non doverti trovare col pupo urlante? La risposta è lipasi. Gli esperti o i produttori di formaggi sanno bene di che si tratta, io l’ho scoperto dopo vari rifiuti da parte di mio figlio. Si tratta di un enzima pre-gastrico che si trova normalmente nel latte materno e che ha la funzione di aiutare il neonato o lattante a digerire i grassi. Tutto molto bello, se non fosse che quando lavora troppo a lungo dà al latte un caratteristico odore rancido. Sembra andato a male. Però il latte è commestibile, ha ancora tutte le sue proprietà e si può dare tranquillamente al bambino. Se accetta di assumerlo, ovviamente. E secondo voi mio figlio lo accettava?
    Un altro problema è legato ad alcuni cibi che possono dare un gusto “particolare” al latte. Cavoletti, broccoli, aglio, spezie… Anche in quel caso si potrebbe verificare un rifiuto. Mio figlio aveva l’abitudine di fare una ciucciata dal biberon e poi staccarsi. L’assaporava guardandoti, tipo sommelier, e poi decideva se riaprire la bocca e farsi mettere in bocca la tettarella oppure serrare le labbra.
  11. Ingorghi e dintorni
    Anche una volta che l’allattamento è avviato, possono capitare dolorosi problemi. L’ingorgo l’ho sperimentato dopo la prima vaccinazione, quando mio figlio ha avuto (stranamente) poco appetito il seno si era riempito eccessivamente. Durante le 4 docce e relative spremiture e sessioni di tiralatte ho pensato che non mi sarei più lamentata dei risvegli notturni a causa della maglietta zuppa di latte. Ho anche avuto per una pressione sbagliata delle dita sul seno, un dotto infiammato. Anche in quel caso dolore e malessere. La volta successiva ho avuto una bolla di latte sul capezzolo e dotto otturato: quando mio figlio si attaccava era come essere infilzati da uno spillone. Nonostante il dolore si deve continuare ad attaccare il neonato. Ringrazio l’ostetrica per avermelo detto o avrei fatto la fine di mia madre, a cui per un ingorgo trascurato venne la mastite.
  12. Fate ciò che vi fa star in pace con voi stesse
    Mio figlio si è riuscito ad attaccare a 50 giorni suonati. Stavo disperando di farcela. Posso dire con assoluta certezza che tirando il latte facevo il doppio della fatica e ci mettevo il doppio del tempo. Dubito avrei potuto far fronte al continuo “attacca e stacca” del mio assetato pargolo in periodo estivo (a 20 gradi il latte tirato può stare per ore a temperatura ambiente, a 30°C non regge da una poppata alla successiva). Ho avuto la fortuna di poter insistere, il supporto di un’ostetrica, la pazienza di mio marito. Non avevo altri figli. Altrimenti sarebbe stato impossibile. Quindi capisco che non ce la si possa fare. Capisco che tanti secondi figli non arrivino allo svezzamento col latte materno.
    Però rassicuratevi, l’ho visto con mio figlio: quando non poteva attaccarsi al seno usava il biberon per nutrirsi e il ciuccio come consolazione; quando si è attaccato io facevo da biberon e da ciuccio. Ma il nostro rapporto non è cambiato: io ero sempre la persona più importante per lui perché ero quella che lo accudiva giorno e notte. Il latte materno è una risorsa preziosissima, molto utile alla sua salute e per questo non deve essere subito accantonata per comodità o mancanza di supporto. Ma non si deve neppure arrivare agli estremi opposti, con una mamma deperita e distrutta dalla stanchezza.
    Cercate quindi di vivere con la massima serenità questi primi mesi di vita di vostro figlio: una mamma serena e felice di passare il tempo con lui è il più grande regalo che possiate fargli. E farvi.

Devo aggiungere in conclusione un disclaimer che quanto riportato non ha valenza scientifica e neppure pretesa di valere per tutte? No, vero?