13 maggio 2020

Il controsenso dell’allattamento al seno… a orario!

In passato – sul finire degli anni Settanta – i pediatri spesso consigliavano alle neomamme di non allattare a richiesta i figli, ma di attaccarli al seno a intervalli prestabiliti, non inferiori alle 3 ore. Ci sono donne che raccontano di aver sentito piangere disperatamente i figli nelle nursery ospedaliere e di non averli potuti attaccare al seno perché “non era ancora il momento”. Una sofferenza per il neonato ma anche uno schiaffone all’istinto materno, che doveva subito abbassare la cresta di fronte alle scelte di natura organizzativa: i turni del personale ospedaliero venivano prima delle richieste del bambino. Questa credenza era poi legata alla formazione che veniva impartita circa il latte artificiale, meno digeribile del latte materno e che quindi non poteva essere somministrato troppo frequentemente.

Oggi sappiamo che allattare al seno a orari prestabiliti non è rispettoso della fisiologia del bambino ma risponde a esigenze di tipo organizzativo. Ce lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che indica l’allattamento al seno a richiesta come la migliore forma di alimentazione del neonato e del lattante. Purtroppo ancora troppe neomamme allattano a orari prestabiliti, per l’assenza di adeguate campagne informative che possano aggiornare le indicazioni sbagliate ricevute da operatrici poco aggiornate o dalle madri di ieri, nonne di oggi.

A volte succede che gli operatori sanitari diano consigli inappropriati e, molto spesso, almeno per quanto riguarda l’allattamento, ciò deriva dal fatto che non sono stati formati sul sostegno alle mamme nella promozione dell’allattamento neanche durante le loro specializzazioni. Purtroppo, poi, questi consigli si diffondono anche fra i genitori” scrive il pediatra Sergio Conti Nibali su Uppa.it.

Aggiungiamo che l’allattamento a richiesta è molto faticoso, fisicamente e psicologicamente, e serve un grande supporto alla madre, che non sempre è disponibile nella società atomizzata di oggi. Se le problematiche di natura fisica sono più o meno comprensibili a tutti (tutti possono capire, ad esempio, cosa può voler dire non fare 5 ore di sonno continuativo per 6-8 mesi), il carico psicologico può essere meno comprensibile. Per una donna priva di un’adeguata rete di sostegno, l’allattamento a richiesta è un’esperienza alienante: ci si vede improvvisamente le giornate scandite da un neonato prima, lattante dopo, che a seconda dei suoi bisogni ti può chiedere di attaccarsi anche ogni mezz’ora. “E’ un capriccio, non lo fa per fame”, dicono le donne della vecchia scuola. Ma ci sono fin troppi esperimenti e prove che attestano che per un cucciolo di uomo il bisogno di contatto è importante quanto quello di affetto. E, scendendo più nel pratico, con la suzione alimenta la produzione di latte, scongiurando il rischio di trovarsi senza cibo. Insomma, attaccarsi al seno è biologicamente una strategia di successo per la sopravvivenza della nostra specie.

Quando invece si può procedere con l’allattamento a orari? Alcuni pediatri lo consigliano per ridurre il reflusso gastroesofageo, ma anche in quel caso ci sono pareri discordanti: se da un lato infatti è preferibile che il bimbo faccia pasti piccoli e frequenti, dall’altro può causare un peggioramento del disturbo ad esempio se la madre ha un riflesso di emissione forte o il bimbo è particolarmente goloso.

Oggi l’allattamento a orari viene suggerito principalmente a beneficio della madre, che potrà pianificare le proprie attività, riposarsi maggiormente e non implodere sotto il carico degli impegni familiari, domestici e/o lavorativi. Si considera l’importanza del benessere della madre, perché nessun bambino può stare bene se l’altro membro della diade è in sofferenza. Ed è un bel passo avanti rispetto a quando si considerava un neonato appagato solo da un pannolino pulito e da una poppata temporizzata.