10 febbraio 2009

Eluana è morta

Sulla vita di Eluana Englaro, sia sulla "ragazza" vanitosa e vulcanica tanto ostentata dai media che sulla donna ormai scheletrica nascosta al pubblico nel suo letto di ospedale, si è chiuso il sipario. Eluana è morta a soli 4 giorni di distanza dalla sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione artificiale. Il governo non ce l'ha fatta a salvarla (ma da chi? dal destino? dai medici? da se stessa? da quando lasciare che la natura segua il suo corso è un omicidio?)
E il padre, che in tutta questa vicenda ha dimostrato un'umanità e un amore per la figlia a cui i sostenitori della vita che gli danno dell'assassino dovrebbero ispirarsi, ora vuole per sé solo silenzio.
Riporto due dei pochissimi articoli che in questa bagarre mediatica - tra dibattiti fiume e bestialità scientifiche sparate da esponenti politici intenti a giustificare una presa di posizione opportunisticamente morale - permettono di capire davvero com'era la vita "vegetativa" di Eluana (che non mangiava la minestra col cucchiaio come ho sentito dire da un noto politico cattolico) e com'è invece il padre, che nel suo incredibile dolore si è sentito anche accusare di aver ucciso la figlia.
Il silenzio è d'oro.

Da Repubblica.it
Fisioterapia e un'ora nel parco un giorno nel non-mondo di Eluana
dal nostro inviato PIERO COLAPRICO

Il papà di Eluana con le foto della figlia
LECCO - Eluana Englaro oggi ha i capelli corti. Dire che se ne sta a letto è già un mezzo inganno, perché, quando la si vede, quando la si osserva, si percepisce qualcosa che potrebbe essere anche la forza di gravità: qualcosa che non la lascia semplicemente adagiata tra le lenzuola, ma sembra risucchiarla giù, verso un altro luogo, mentre la ragazza, inerme in tutto, non può opporsi. Gli occhi, che nelle foto pubblicate dai giornali, sono spesso ironici e lucenti, colpiscono.

Sono strabici, perché questa forza oscura e le ferite cerebrali hanno vinto i muscoli, ormai appannati. Anche le giunture sono anchilosate, lo si vede dai polsi che escono dalla camicia da notte candida. Diteci com'è Eluana oggi, perché fate vedere le sue vecchie foto e non mostrate com'è adesso? Sono richieste anche legittime, quelle dei lettori nei blog e nei forum (non tutte, certo, perché in qualcuno si percepisce una curiosità che sconfina in un territorio meno nobile). Ma Eluana non è speciale. Se frequenti gli ospedali, sai che appartiene a una nuova umanità disgraziata, che si sta moltiplicando grazie ai progressi della medicina, quella degli esseri umani in stato vegetativo.

Solo in Italia sono circa tremila persone e in qualche modo si assomigliano tutti: alternano momenti di veglia (stanno con gli occhi aperti) a momenti di sonno (stanno con gli occhi chiusi), emettono suoni, gemiti, sospiri senza alcuna attinenza con quanto accade intorno al loro capezzale. I neurologi sostengono che non esiste alcuna possibilità di entrare in contatto con loro, perché non reagiscono in maniera intelligente. Possono avere un soprassalto se c'è un rumore, o una smorfia se si fa loro del male, si tratta però di riflessi. Respirano da soli. Ma se su quegli occhi aperti si avvicina la punta di una matita, restano aperti: nessuna minaccia li muove o li chiude. Perciò la giornata di Eluana, intesa come giornata, non esiste: esiste il non-mondo di Eluana.

Oggi questa donna di 36 anni sta al secondo piano della clinica, in una stanza da sola, dove siamo entrati anche noi. Non raramente è in penombra, con suor Rosangela quasi sempre accanto a lei. Lo fa dal 7 aprile del 1994. Prima, per quasi due anni, Eluana, finita fuoristrada con l'auto, spedita d'urgenza in rianimazione, a poco più di vent'anni - tanti ne aveva... - era stata ricoverata nel reparto di lungodegenza riabilitativa dell'ospedale di Sondrio. Risultati della rianimazione? Deprimenti. Ma "faremo il possibile", aveva promesso il primario di Sondrio.
Le hanno in effetti tentate tutte. Anche in questo caso, miglioramenti pari allo zero. Un giorno una compagna di scuola di Eluana è andata a trovarla proprio mentre la spostavano dal letto, usando un paranco: "Come se fosse un sacco di patate, lei che non voleva farsi mettere le mani addosso da nessuno...". Lo shock è stato tale da tenere questa ragazza lontana dall'ospedale per un bel po'.

Ogni briciola di quella speranza invocata qualche settimana fa in una lettera fraterna anche dal cardinal Tettamanzi è sparita in fretta. E non da sola. Anche la mamma di Eluana, restando accanto alla figlia, "si è consumata". Non compare mai, nelle interviste o in pubblico, perché si è ammalata di cancro e sta malissimo. Papà Beppino le fa da scudo, come fa da scudo alla figlia. I medici gli avevano suggerito: "Pensa alla tua vita, per Eluana non puoi fare più nulla, ci pensiamo noi". Ma questi Englaro, a dispetto di tutto, erano e sono una famiglia unita: e il papà non ha mai mollato per pensare a sé stesso, perché "Eluana intendeva la vita come libertà di vivere, tra noi c'era come un patto di rispetto reciproco delle nostre volontà". Parlando della figlia, l'ha definita "un cristallo". I pezzi di quel cristallo, i cocci della fragilità di una creatura, forse potranno avere sepoltura grazie a un tribunale, o forse no.

Al momento, accanto alla ragazza in questo stato "da 6082 giorni, 16 anni sette mesi e ventitré giorni", come scandisce il papà, ci sono i peluche, le sue foto al mare e sugli sci, i cassetti sono colmi di quegli abiti, di quella biancheria che la mamma esausta e piangente ha continuato a comprare, perché voleva che la figlia, bella, fosse bellissima. La sua bellezza ancora traspare, una bellezza di porcellana, dove qualcuno scorge il soffio della vita, e qualcuno no: ne intravede solo il diafano ricordo, un fantasma traslucido. Ma d'altra parte, gli stessi medici, al papà che chiedeva lumi, non avevano risposto: "Non abbiamo risposte, non abbiamo soluzioni"? Sua figlia, gli avevano detto, è una "non-morta, con gravi handicap".

Tutti, compresa e forse soprattutto la suora, e anche il professor Carlo Defanti, il neurologo che si è detto disponibile a staccare il sondino di questa sua paziente, hanno spiato la quotidianità di questa "non-morta". Mai un cenno, mai hanno percepito uno sguardo, mai una sensazione che qualche cosa della sua volontà, della sua energia sprizzasse all'esterno del guscio della pelle. E così non restano da fare che alcune cose pratiche. C'è stato chi, nelle polemiche venate di crudeltà che caratterizzano questa vicenda umana, clinica e giuridica, si è spinto sino a dire che Eluana fa anche ginnastica. La situazione è, in sintesi, questa.

Ogni pomeriggio alle 17 una sacca beige, con dentro un "pappone", un composto di nutrimenti e medicine, viene pompato, attraverso il sondino nasogastrico, direttamente nello stomaco di Eluana, che ha perso la capacità di deglutire, non potrebbe cioè essere imboccata. Questo pasto dura dodici ore. Poi viene sostituito dalla sacca dell'acqua, per l'idratazione. Per evitare le piaghe - e non se n'è mai formata una, tanto è efficiente l'amore di suor Rosangela - Eluana viene spostata dal letto.

E qua non c'è il paranco, come nell'ospedale, e non ci sono infermieri che protestano per la fatica: questa religiosa con spalle da artigliere l'abbranca, circonda con le sue forme e la sua forza quel fragile essere dalla testa ciondolante, mette Eluana a sedere sulla carrozzella, per un paio d'ore circa. Quando non ci sono giornalisti e fotografi (sarebbe vietato fotografare e pubblicare chi è incapace di intendere e volere, ma non si sa mai), la trasporta nel piccolo giardino, con panchine di pietra e fiori profumati. Comunque, Eluana va sorvegliata a vista, perché se non è imbracata, può cadere in avanti.

Poi c'è la fisioterapia passiva, cioè "le mani altrui", un concetto che per Eluana equivaleva a una violenza, la toccano, la muovono, danno tono per quel che si può ai muscoli inerti come gomma. Succede anche tre volte al giorno, il tempo deve passare, le cure si devono eseguire. Ed è così che "la mamma si è consumata come una candela accanto alla figlia", lamentandosi perché "non l'hanno lasciata morire". Lo stesso papà Beppino, vincendo il pudore che tante volte lo frena, una volta ha detto al cronista che "Sati è morta dentro quando è morta Eluana, e poi è sopravvissuta a se stessa, distruggendosi".

Eluana, nel letto, senza fame, senza sete, senza riconoscenza, senza affetto (lo affermano i neurologi) resta ignara di questa battaglia e di questi dolori dei suoi amatissimi genitori, e pure dei tanti pensieri e delle emozioni che causa la sua tragedia. Il papà, invece, convinto, forse anche da socialista vecchia maniera, che "la sola libertà è dentro la società" non ha accettato quel concetto di "portatela a casa, la facciamo morire di nascosto". Ancora ieri ripeteva: "Da quello che si è creato clinicamente, solo clinicamente si può uscire".

Dal Giornale.it, che presumo abbia una redazione diversa da quella del cartaceo diretto da Mario Giordano, viste le sue prese di posizione e i suoi editoriali, è tratto questo bellissimo articolo sulla famiglia Englaro. Una commovente descrizione dell'impegno silenzioso e dignitoso del padre e della malattia della madre, lacerata dalla perdita della figlia.
Una volta, era la primavera del 2005, incontrai Beppino Englaro nella sua casa di Lecco. Non mi conosceva, ma fu molto gentile e ospitale. Chiese soltanto se mi andava di parlare su una panchina del giardino condominiale, vicino a un abete, sotto un timido raggio di sole. Accettai volentieri, anche perché respirai netto un certo disagio dell’ospite: sicuramente non gradiva parlare di sé e di Eluana nel salotto di casa. Là dove solitamente la vita di una famiglia pulsa come un cuore, ma dove in quei giorni aleggiava soltanto una gelida sensazione di vuoto.

La casa vuota di Beppino Englaro era vuota della figlia per i motivi che sapevo. Ma non capivo perché fosse vuota anche di una madre. Parlando di tutto, della sua storia dolorosa e lancinante, papà Englaro mi chiarì il dubbio. In quelle stesse giornate, anche la moglie Saturna era in ospedale: operata per gravi complicazioni vertebrali, al termine di un’altra odissea personale.

Restai di sasso. Ma come, provai a dire, anche la sua signora sta così male? Beppino mi disse una frase che da allora non ho più scordato: «Se vuole immaginarsi l’inferno su questa terra, pensi a noi».
Poi, con calma, senza un solo aggettivo strappalacrime, usando parole essenziali e ruvide come la pietra della sua Carnia, mi svelò i risvolti umani, privati, intimi di quello che già allora era un grande caso politico. Un mezzo sorriso amaro, ricordò le dannate coincidenze della sua disgrazia: «La notte tra il 17 e il 18 gennaio 1992, quando Eluana volò fuori strada, io e mia moglie eravamo in settimana bianca in Val Pusteria. Era la prima volta che Eluana non veniva. Avevamo deciso di andarci dopo tanti ripensamenti. S’immagini: avevamo preso persino la Y10, la «baracchina», come la chiamava Eluana, per lasciarle la mia Bmw, così che lei si muovesse eventualmente più sicura... Niente. L’incidente successe di venerdì sera, tardi, ma i suoi amici riuscirono a raggiungerci soltanto il sabato mattina: stavamo caricando le valigie per tornare a casa. Posso dirlo: in quelle cinque ore di viaggio, mia moglie ha cominciato a morire...». Dov’è la mamma di Eluana? Perché non parla? Perché si sente e si vede sempre il papà? Alle domande di questo periodo, umane e legittime, io trovai risposta quel giorno, proseguendo nel dialogo sulla panchina, sotto il primo sole d’aprile.

Beppino continuò senza tacere e senza enfatizzare nulla. Raccontò con tenerezza di come la sua prima vita - così la definì - si fosse snodata nel modo più bello. L’incontro negli anni Settanta, a Basilea, dov’era per lavoro, con una studentessa di Urbino dal nome strano, Saturna. E poi il matrimonio in Italia, la decisione di far nascere la bimba fuori Milano, nel verde di Lecco. «Eluana arrivò nel 1970: fino a quella notte del 1992, mi creda, lei e sua madre sono vissute in perfetta simbiosi».

Ricordo che mi riuscì di pronunciare solo parole vuote e insulse, qualcosa del tipo: «Chissà quanto ha sofferto, dopo quella notte, sua moglie...». Beppino Englaro non aveva dimenticato nulla, neppure un giorno, del calvario familiare: «Per due anni, Saturna ha fatto la spola con l’ospedale di Sondrio, dove inizialmente avevano ricoverato Eluana. Quindi, quando la nostra piccola è tornata qui a Lecco, combinazione nell’istituto di suore dov’era nata, sua madre ha passato tutti i giorni allo stesso modo».

Le parlava, l’accarezzava, le sorrideva. Le portava peluche e fotografie. Le comprava biancheria e abiti di pregio, perché diceva che Eluana, già bella, doveva essere bellissima anche mentre dormiva. «Per nessun altro al mondo Eluana è quello che è per me», diceva. Questa madre mutilata aveva deciso di continuare la «simbiosi», una cosa sola con la sua creatura, delegando al marito il compito di combattere, fuori, la battaglia contro i sondini. Lei rinchiusa nel bozzolo del dolore, lui in trincea.
Non era però una vita che potesse tenere alto lo spirito e le difese organiche di una mamma annientata. «Già un paio d’anni dopo l’incidente a Eluana - raccontò Beppino su quella panchina - comparve un tumore al seno. Così, assieme alla battaglia per nostra figlia, ci trovammo a combattere anche questa. All’inizio ci sembrò di farcela. Ma nel 2002 ecco un’altra mazzata, una recidiva. Nuova operazione, nuova paura. E adesso ancora, un altro intervento, perché sono sorte complicazioni alla colonna vertebrale...».

In quel pomeriggio di aprile, compresi quanto dolore fosse confluito, tutto assieme, denso e concentrato come piombo, in questa anonima famiglia della nostra provincia. Soprattutto, mi fu chiaro il dettaglio più straziante dell’intera parabola: la povera madre, colpita dal male, non poteva neanche soffrire per se stessa, per il proprio futuro, presa com’era dall’angoscia inenarrabile per un altro futuro, quello di una figlia che aveva bisogno delle sue carezze, ma che lei non sapeva fino a quando avrebbe potuto accarezzare. Mi rimbombava opprimente e pietosa la domanda che già milioni di volte, certissimamente, aveva avvelenato l’esistenza di quella povera donna: come farà Eluana senza di me? Chi le darà carezze di mamma?

Ora sappiamo com’è andata. Come sta finendo. Mentre il papà combatte l’ultima battaglia, giusta o sbagliata che sia, la mamma sta malissimo. Beppino le fa da scudo, Beppino pretende di lasciarla fuori. Nel libro uscito qualche tempo fa, così ha descritto l’agonia spirituale della moglie: «Saturna si consumò come una candela, fin dal primo giorno, in attesa di un qualunque segno della sua Eluana. Ogni ora, ogni gesto erano riservati ad Eluana. Ma non entrarono più in contatto. Fu e rimase per lei un dolore acuto, insostenibile e inconsolabile. Un saccheggio dell’anima, cui non fu mai più possibile rimediare».

Dov’è la madre? Perché parla solo il padre? Alle giuste domande di queste ore, la prima risposta sembra elementare: la madre non c’è, la madre non parla, perché a sua volta è molto malata. Ma è una spiegazione troppo semplice. In realtà, la mamma non c’è e non c’è mai stata, in questa cruenta e interminabile storia italiana, perché s’è fermata là, a quella notte, quando la sua creatura, la sua stessa vita, ha smesso di sorriderle.

1 commento:

Anonimo ha detto...

GRAZIE AL GIORNALISTA DE ILGIORNALE.IT .... NON PER AVERMI FATTO PIANGERE OGGI 26 LUGLIO 2009, MA PER AVERMI RICORDATO LA DOLCEZZA DELLA SATY. CONOSCO MOLTO BENE LA FAMIGLIA ENGLARO E "RIVEDERE" LA SATY MI HA SCALDATO IL CUORE. SAPERE DI NON POTERLA PIU' RIVEDERE MI RATTRISTA PROFONDAMENTE. UN BACIO ... CARA SATY E CARO BEPPINO!